La Gerioneide di Stesicoro nella palingenesi di Anne Carson

Nuovi codici di riscritture del testo: un’ipotesi di trasduzione letteraria: la Gerioneide di Stesicoro nella palingenesi di Ann Carson.

Capitano strani incontri nella vita di una filologa. Può accadere, per esempio, di imbattersi in un libro assolutamente rosso, e di trovarvi, sul finale, un’intervista. L’identità di chi la inizi non ha molta importanza. L’intervistato è Stesicoro.

I: “Un critico parla di una sorta di teatro della dissimulazione presente nella sua opera una specie di particolare attenzione ai modi e ai tempi di reazione di chi si scopre negata un’informazione cruciale il che potrebbe avere a che fare con un’estetica della cecità o addirittura un desiderio di cecità sempre che questa non sia una tautologia”.
S.: Le parlerò della cecità
I.: Mi dica
S.: Prima devo parlarle del vedere.

Chi scrive non ha dimenticato di riportare le virgole. Ma, per il momento, preferisce omettere il nome dell’autrice e concentrarsi sull’intervistato. Stesicoro, appunto. Ricordato nei manuali di letteratura greca come il primo poeta lirico, originario della Magna Grecia, vissuto a lungo a Imera, tra VII e VI secolo a. C., avrebbe cercato di allertare i suoi concittadini circa il pericolo dell’incombente tirannide di Falaride, per passare poi a Catania. Il suo vero nome, presumibilmente Tisia, sarebbe ben presto stato scalzato dallo pseudonimo che ne descriveva, almeno in parte, l’attività. Di lui sappiamo poco o nulla. Della sua immensa opera, organizzata in età alessandrina in circa 26 libri, ancora di meno. Restano alcuni aneddoti, pochi e poco estesi frammenti, qualche titolo che indulge al gusto della contaminazione e della sperimentazione letteraria, e una vicenda che lo assimila al mito: quella della cecità improvvisa provocata da Elena di Troia (o di Sparta, o di Sparta e di Troia), furiosa per essere stata da lui oltraggiata nei suoi versi.

I.: Che mi dice del suo piccolo eroe Gerione
S.: Per la precisione a piacermi è il rosso e c’è un nesso tra geologia e carattere
I.: Quale sarebbe questo nesso
S.: Me lo sono chiesto spesso
I.: Identità memoria eternità i suoi temi costanti
S.: E come il rimpianto possa essere rosso e potrebbe esserlo
I.: Il che ci porta a Elena
S.: Non c’è nessuna Elena
I.: Credo che il nostro tempo sia scaduto
S.: Grazie per questo e per tutto
I.: Sono io a ringraziarla
S.: Sono proprio contento che non mi abbia chiesto del cagnolino rosso

Si chiude più o meno così Autobiografia del rosso firmato da Anne Carson1; si apre, invece, con due introduzioni (Carne rossa, cosa cambiò Stesicoro; Carne rossa: Frammenti di Stesicoro) e tre appendici, la prima delle quali dedicata alle testimonianze, e l’ultima alla delucidazione sulla questione dell’accecamento di Elena.

La seconda appendice riporta il frammento 192 Davies, La Palinodia, in questa forma:

No questa non è la storia vera.
No non andasti mai sulle solide navi.
No non giungesti mai agli spalti di Troia.

Ma l’Autobiografia del rosso è un romanzo, incastonato tra le sue estremità: il rosso è Gerione, il mostro del mito che Eracle uccide nella sua decima fatica, insieme al cane Ortro, mentre sorveglia una mandria di vacche rosse. Ma è anche il protagonista della Gerioneide di Stesicoro: una delle opere attraverso cui l’ordinatore di cori mette alla prova il codice epico, rendendo nuove le storie antiche, animato dalla brama di cambiare2. E soprattutto, se il titolo che accompagna le edizioni ufficiali è giusto, assume il punto di vista del barbaro, del mostruoso e diverso abitante di Erizia – Eriteia: il luogo rosso.

Tutto è rosso in questa storia: nel poema lirico narrativo di Stesicoro e nella riscrittura, sotto forma di romanzo di formazione, della Carson, che insegna a non aver paura di scuotere e stravolgere il classico per penetrarne profondamente la sostanza, sconcertarsi e disorientarsi, recuperando all’oblio ciò che manca tra un frammento e l’altro, tra ciò che ancora leggiamo e quanto abbiamo irrimediabilmente perduto.

fr. S15 col. 2 14-17.
ἀπέκλινε δ’ ἄρ’ αὐχένα Γ̣α̣ρ̣[υόνας

ἐπικάρσιον, ὡς ὅκα μ[ά]κ̣ω̣[ν
ἅτε καταισχύνοισ’ ἁπ̣α̣λ̣ὸ̣ν̣ [δέμας

αἶψ’ ἀπὸ φύλλα βαλοῖσα̣ ν̣[

 

(E Gerione) piegò il collo di lato,
come quando un papavero
sfigurando il delicato aspetto,
d’un tratto, lasciando cadere i petali…”

Trasduzione3 di Anne Carson

 

XIV. La Freccia di Eracle

Freccia significa uccidi Spartì il cranio di Gerione come un pettine
Fletté Il collo del ragazzo Con una lenta piega laterale come
Quando un
Papavero arrossisce per una folata di Brezza Nuda

Olga Cirillo

 
 
 
 

1    Ann Carson, Autobiografia del rosso, La nave di Teseo 2020.

2    Vengono riportati alcuni tra i giudici delle fonti antiche su Stesicoro (Suda; Dionigi di Alicarnasso).

3    La scelta del termine per indicare la rielaborazione del testo originale è di chi scrive. La trasduzione indica, nel linguaggio tecnico, trasmissione di energia da un punto a un altro di un sistema, soprattutto quando i livelli energetici siano bassi; in genetica, il trasferimento di geni o di gruppi di geni batterici operato da batteriofagi; nel linguaggio letterario, la definizione è ancora in fase di elaborazione.