Io da piccolo mangiavo le mosche morte – Alessio Orsetti

Marcatura domestica
 
Mia madre è la solita madre
taggiasca:
di taglia grande e robusta
orecchie e lingua ben sviluppate
e territorio marcato.
 
 
 
 
Pleniluni domestici
 
Nella pentola pediluvi
di sale e rosmarino
al tempo dei pleniluni
e io bambino
(mia madre)
la pensavo una strega.
 
 
 
 
Nitido domestico
 
È che vista da là
dal nitido delle fàsce1
mia madre era eterna.
 
da Pungiratti domestici (Ensemble, 2022).

 
 
 
 
Asciolvere domestico
 
Io da piccolo mangiavo le mosche morte.
Mia madre non l’ha mai saputo.
 
 
 
 
Dialoghi domestici
 
Mia madre potava impaziente il limone:
“Ste tesuie nu sun ciü bone
cuscì i nu rende
i sun da muà, in tu weekend”2.
 
 
 
 
Paremia domestica
 
Quando non volevo fare l’erba
mia madre diceva: “Fijöi e merda
castigu de Diu”3.
Odiavo gli antichi che in un presagio
legittimavano mia madre, col motto
a usare quelle parole malvage
che altrimenti lei mai avrebbe detto.
 
 
 
 
Amnesia domestica
 
Mia madre quando guidava la macchina
scordava di usare il dialetto
così, tutto ad un tratto.
 
inediti
 
 
 
 

I Pungiratti domestici di Alessio Orsetti sono brevi epigrammi nitidi e pungenti, come i pungitopi appunto, piante rare e per lo più e protette, sempre una sorpresa a chi cammina nel bosco, col rosso vivo delle bacche nel grigio dell’inverno.

Sono immagini che pungono, bucano lo schermo, arrivano all’improvviso dall’infanzia, senza chiedere il permesso. C’è una madre, sempre, e suo figlio piccolo, l’autore. Dobbiamo pensare al bambino e a questa madre grande, molto attiva e decisa.

È sempre lei infatti che agisce e, soprattutto, parla, in un nitido e meraviglioso dialetto. Il bambino non risponde mai, egli soltanto ascolta, e il suo ascolto sembra infinito, non si è mai fermato. Il bambino non parla perché forse non sa ancora parlare, è incantato dalla madre e per lui esiste solo lei.

Sono scene, atti, motti, che sono avvenuti un tempo, ma il tempo di queste poesia è senza tempo, anzitutto perché al centro è la terra, i campi, il duro lavoro agricolo sulle “fasce” liguri del ponente estremo, ma anche perché nella memoria del bambino sono eventi eterni, pur se semplici e familiari, “domestici”, sono eventi mitici.

Il dialetto (taggiasco) spunta dall’italiano, lo buca, e abbisogna sì della nota, ma lingua e dialetto sono entrambi nitidi e semplici, senza tempo, e dipendono l’uno dall’altro come in una unione simbiotica, che ce li fa amare entrambi. Ecco questo è molto bello, e originale: lingua e dialetto non sono contrapposti, non si escludono a vicenda, ma si integrano l’uno nell’altro.

Alessio Orsetti è nato a Sanremo nel 1974 e vive ad Arma di Taggia dove svolge l’attività di agricoltore. Ha pubblicato nel 2016 Il punteruolo rosso per le Edizioni Cicorivolta e nel gennaio del 2022 la raccolta poetica Pungiratti domestici con la prefazione di Lamberto Garzia per Edizioni Ensemble. È segretario dell’ Associazione “Mondo Fluttuante” di Sanremo. Suoi testi sono presenti su varie riviste e antologie.

Dei sei epigrammi che pubblichiamo i primi tre sono usciti in Pungiratti domestici, Ensemble, 2022, gli altri sono inediti.

 
 
 
 

1 Fàscia: “striscia di terra”, terrazzamento tipico della Liguria.

2 Ste tesue nu sun ciü bone cuscì i nu rende i sun da muà: “queste forbici non sono più buone, così non rendono, sono da molare”.

3 Fijöi e merda castigu de Diu: “bambini e merda, castigo di Dio”, modo di dire ligure.