Il quinto tempo – Paolo Parrini


Mi ha subito colpito il titolo del nuovo libro di Paolo Parrini, che conosco da molti anni ormai. Mi ha fatto pensare immediatamente al film di Spike Lee, “La Venticinquesima Ora”. Il Quinto Tempo è un tempo di speranza, un tempo conquistato oltre quello concesso, un tempo di fede e mistero. Un tempo possibile, ma di cui non si sa nulla di certo. Un tempo che potrebbe accadere, che sarebbe bello accadesse, ma che resta sospeso (o magari è già accaduto). Un tempo che viene dopo i quattro tempi naturalmente concessi (fanciullezza, giovinezza, età matura o adulta, vecchiaia). Un tempo oltre le quattro stagioni… Un tempo forse sognato. Forse il quinto tempo è il tempo possibile della rinascita, della resurrezione. Forse è il tempo del dopo, quando la nostra esistenza sulla terra finisce, ma di certo non finisce la vita, perché la vita è eterna, infinita, come annuncia ogni alba nuova.

Forse è un tempo necessario, senza il quale nulla sarebbe completo. Perché quello che si vede, quello che si sa o si crede di sapere, quello che scopriremo, non è abbastanza, non è tutto. Noi siamo completi solo se consideriamo e contempliamo il Mistero. E la poesia è per me uno dei più fitti e meravigliosi misteri. Resta un enigma da dove venga la voce che canta dentro di noi e ci spinge alla scrittura in versi, per dire qualcosa, affermare un dolore o uno slancio di gioia, dichiarare la scintilla d’amore che arde nei cuori di tutti, spesso non vista. Quella scintilla senza la quale nessuna poesia troverebbe sulla terra dimora, perché fatta dello stesso fuoco. Senza questo mistero sarebbe difficile spiegare come da uno dei momenti più duri della vita del poeta Paolo Parrini (il libro accompagna con tenerezza e sofferenza il tempo della morte del padre), possa essere nato questo libro, che malgrado non risparmi nulla del dolore dal quale è scaturito, non nasconde nemmeno la luce, una luce sempre viva, accesa, una luce capace di guidare, come un faro, capace di indicare, appunto, un tempo quinto, forse un tempo che nessuna voce, se non quella poetica, può cantare. Pur sempre un tempo che, dal momento che è stato dichiarato, esiste. Perché la poesia ha il potere di nominare le cose e metterle al mondo.

Massimiliano Bardotti

 
 
 
 
In questo deserto d’oro e di luci,
dove le voci sono rauche
e non risplendono mai le stelle,
i tuoi occhi presentimento.
Piante grasse di là dal vetro
e suoni conosciuti,
ma dov’è amore in questo mare,
solo i muti flutti della riva,
solo i giorni sui giorni
tra i bisbigli freddi dei metalli.
Eppure, fuori scroscia il mattino
come una sorgente.
 
 
 
 
 
 
Ti dono questa luce,
l’odore buono del sapone,
i panni stesi al sole ad asciugare.
Tutto si purifica nel vento
il grigio delle nubi
e il richiamo forte della sera.
Ti dono questa vita,
tutti gli errori in fila nella notte,
soldati stanchi di troppi temporali.
Ti dono il solco che traccio sul mio foglio,
questo volto che risplende
quando ascolto il cielo.
 
 
 
 
 
 
Forse anche per me
fiorirà la sera
su questo angolo
tagliato dal vento
e dal rumore delle auto in fuga.
Forse davvero quei colli
gridano primavera.
Una donna anziana piegata
dalla vita mi racconta la sua storia.
Siamo frammenti d’anima e ossa,
siamo un cammino da finire.
 
 
 
 
 
 
Dio di speranza
di vicinanza e distanza.
Dio che invoco
a parlare con me
come a un amico.
Dio che si fa nebbia
Dio che ritorna sempre
Dio che mi manchi tanto
e che vorrei abbracciare.
Dio che ti vorrei accanto
qui nella macchina vuota
per farti guidare
a occhi chiusi
addormentando il tempo.