The holiness of attention
Your songs, Dante.
The shore below
was where i bent
my eyes first. Then i raised
them to the sun, and marvelled
we were so struck
by it from the north.
it should have blazed, in summer, south.
Out of the dark the light
that flies on the wings of music.
It is the dead who know
something we do not.
They know that dancing
on one foot the other
is not forgotten.
Dopotutto e il pensiero della
morte che ci aiuta a vivere.
You say that it is love that sweeps
all before it. to look, to see,
to live in the light of her eyes.
That glancing smile.
That wakes in you
the light of yourself.
to bring the far more near,
when you say the heart has reasons
that reason cannot know.
In all weathers of the heart,
it is this radiance that shines;
your canticles a light
in the world’s ear.
All my thoughts speak of love.
and who would want to silence any song.
This is called the holiness of attention.
Michael Harlow
La santità dell’attenzione
Dante, i tuoi canti.
La spiaggia laggiù in basso
fu dove io chinai
dapprima gli occhi. Quindi li rivolsi
verso il sole, e fui meravigliato
che dai suoi raggi fossimo colpiti
da settentrione.
In estate, avrebbe dovuto splendere a sud.
Fuori dal buio, la luce
che vola sulle ali della musica.
I morti conoscono
cose a noi sconosciute.
Loro sanno che danzando
su un piede solo l’altro
non è dimenticato.
Ed è il pensiero
della morte che, in fine, aiuta a vivere
tu dici che l’amore spazza via
davanti a sé ogni cosa. Guardare, vedere,
vivere nella luce dei suoi occhi.
L’accenno di un sorriso.
Che in te risveglia
la luce di te stesso.
Ciò che e lontano si fa più vicino,
quando dici che il cuore ha ragioni
che la ragione non può conoscere.
In tutte le stagioni del cuore,
è questo il fulgore che scintilla;
i tuoi cantici sono luce
all’orecchio del mondo.
Tutti i miei pensieri parlano d’amore.
E chi vorrebbe tacere ogni canto.
Si chiama santità dell’attenzione.
Claudio Pasi
Terrace of wrath
the thorns and vines cut with anger
grew back with more anger
swallowing everything in their path
ripping at the house in anger.
Where one plant was cut
two more would grow in its place.
every time the patio was swept
a thousand leaves fell.
the kettle poured poison
the years spent in resentment
all boiled down
to liquid, bituminous, boiling hate.
i brought a jar with me
and when i took the lid off
a thousand things like bats flew out.
the lights went out. darkness of hell
and of a night deprived of every planet
came over me like toxic smoke.
What should i do with these heirlooms?
if i have gone astray, in me is the cause.
every plant is known by what it seeds.
All i could do was keep walking
through the smoke until it cleared
white light and the beating of wings.
So i edged through the foul and bitter tide.
he kept on saying – i can hear it still –
‘don’t get cut off from me.’
The world is blind and we come from the world.
it was up to us, not the stars.
as we went we loosed the knot of anger.
Airini Beautrais
Terrazza dell’ira
Le spine e le viti tagliate con rabbia
crebbero di nuovo e con più rabbia
ingoiando tutto sul loro cammino
squarciando la casa con rabbia
dove una pianta veniva tagliata
altre due vi sarebbero cresciute.
Ogni volta che il patio veniva spazzato
mille foglie cadevano.
Il bollitore versava veleno
gli anni trascorsi nel risentimento
tutti bolliti
nell’odio liquido, bituminoso, bollente.
Ho portato con me un barattolo
e quando ho tolto il coperchio
mille cose simili a pipistrelli volarono via.
Le luci si spensero. L’oscurità dell’inferno
e di una notte priva dei suoi pianeti
mi venne addosso come fumo tossico.
Cosa devo farne di questi cimeli?
Se mi sono smarrita, in me è la causa.
Ogni pianta è nota per ciò che semina.
Tutto quello che potevo fare era continuare a
camminare, attraverso il fumo finché non si diradava
luce bianca e il battito d’ali.
Così ho attraversato l’amara e tremenda marea.
Continuava a dire – lo sento ancora –
‘non separarti da me.’
Il mondo è cieco e noi veniamo dal mondo.
Dipendeva da noi, non dalle stelle.
Intanto scioglievamo il nodo della rabbia.
Bianca Battilocchi
The Fall
Dropping through the troposphere
in little more than a wingsuit
blazoned with the blazon of the White guelphs,
the Poet – i’m so close
i can glimpse his tuscan nose,
so erudite, so aerodynamic –
i can hear his voice in my headset
polyp… pillip… lip –
(the signal breaking up, or his mind)
youple… up… YOU PEOPLE…
the big picture grows small towards us –
blackened deltas, plastic seas –
WHAT HAVE YOU DONE TO MY EARTHLY?
tree pixels browning, two thousand a minute,
scars on the landscape, each with its gift shop –
YOU’VE BUILT MY HELL.
and this exhausted air we fall through?
You’ll have to use your imagine-engine,
you’ll have to use your art… heart… fish…
YOUR ARTIFICIAL INTELLIGENCE.
over Chile’s lithium pans, a paint chart by resene,
Wild thing and i dare You fade to
Yes Please and She’ll Be right:
pump your best ideas to the surface –
avarice will suck them up, apathy will watch.
CAN’T YOU FUCKING SEE THAT LIFE IS
IMAGINING LIFE WITHOUT YOU?
and then the voice cantankers eerily away:
i recall a girl in the street, and some trees.
a sweet unchanging air fondled my brow,
the soft force of a breeze bending the trembling boughs
to that point where the mountain’s shadow first falls.
in silence we plunge into the invisible greenhouse.
Andrew Johnston
La Caduta
Attraversando in caduta la troposfera
con poco più di una tuta alare
stemmata con lo stemma dei guelfi bianchi,
il Poeta – gli sono così vicino
da intravvedere il suo naso toscano,
erudito, aerodinamico –
sento la sua voce in cuffia
domani… omini… mani… –
(il segnale, o il suo pensiero, interrotti)
vumani… voi… VOI UMANI…
La vista totale rimpicciolisce davanti a noi –
delta anneriti, mari di plastica –
COSA AVETE FATTO ALLA MIA TERRESTRITÀ?
i pixel degli alberi rinsecchiscono, duemila al minuto,
cicatrici sul paesaggio, ognuna con negozio di souvenir –
AVETE COSTRUITO IL MIO INFERNO
e questa aria avvelenata in cui stiamo cadendo?
dovrete usare il vostro motore-immagine,
dovrete usare la vostra arte… aorta… facile…
LA VOSTRA INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Sopra le batterie al litio del Cile e a uno schema colori resene,
Creatura Selvaggia e Ti Sfido sfumano in
Sì Per Favore e andrà tutto Bene:
pompa le tue migliori idee in superficie –
l’avarizia gli leccherà il culo, l’apatia starà a guardare.
CAZZO, MA NON VEDETE CHE LA VITA STA
IMMAGINANDO LA VITA SENZA DI VOI?
e quindi la voce incazzosa irrequieta sfuma:
ricordo in strada una ragazza e qualche albero,
un’aria dolce e immobile mi accarezzava la fronte,
la forza calma della brezza piegava i rami tremolanti
verso il punto dove per prima cade l’ombra della montagna.
in silenzio ci tuffiamo nella serra invisibile.
Marco Bini
(Aa.Vv., Miglior Acque – 33 poeti neozelandesi e italiani rispondono al Purgatorio di Dante, Samuele Editore, 2022, prefazione di Matteo Bianchi, a cura di Marco Sonzogni e Matteo Bianchi)
La grande poesia colma le distanze geografiche e temporali, e certamente una bella occasione di riflessione in questo senso è la prossima pubblicazione, oggi in anteprima in occasione del Dante Day 2022, di Miglior acque – 33 poeti neozelandesi e italiani rispondono al Purgatorio di Dante, a cura di Marco Sonzogni e Matteo Bianchi (Samuele editore, 2022).
L’idea di intessere un dialogo con la poesia dantesca, proprio attraverso gli strumenti propri del linguaggio poetico, è un’eccezionale dimostrazione della grandezza dell’opera del Nostro: in primo luogo, esattamente nel momento in cui le tematiche classiche con impressionante e lucida plasticità riescono ad immergersi in questioni e problematiche attuali, nel linguaggio che ci è prossimo, attraverso il filtro di una nominazione extra italiana; e, allo stesso tempo, è una conferma dell’universalità (sia cronologica che geografica) degli argomenti trattati, del modus con cui sono stati affrontati, e infine – della poesia stessa.
I tre testi qui citati, a titolo di esempio, ne sono un’efficace attestazione; in quello di Michael Harlow (tradotto da Claudio Pasi), l’espiazione che avvolge la cantica del Purgatorio caratterizza l’esistere dell’uomo al di là dell’allegoria ultraterrena, fino ad assumere tratti esistenziali, che ci appartengono in senso stretto: “è il pensiero / della morte che, in fine, ci aiuta a vivere / tu dici che l’amore spazza via / davanti a sé ogni cosa”: solo in questo passaggio c’è una bruciante identità di tempo e spazio tra culture, epoche, vicende umane dei singoli e delle civiltà.
Oppure la riflessione più essenziale sulla relazione tra ragione e sentire (“il cuore ha ragioni / che la ragione non può conoscere… è questo il fulgore che scintilla”), il riconoscimento della poesia dantesca come occasione di riscoperta umana (“i tuoi cantici sono luce”), fino alla riappropriazione di un messaggio universale che parte dall’esperienza individuale (“tutti i miei pensieri parlano d’amore”).
Quello di Airini Beautrais (tradotto da Bianca Battilocchi), rielabora il peccato dell’ira mostrandone la velenosa distruttività, che, anche qui, diventa riflessione sul sé e sulla propria responsabilità di essere umano (“Se mi sono smarrita, in me è la causa. / Ogni pianta è nota per ciò che semina”), riavvicinando la metafora dantesca a una stringente logica dell’esserci: “Il mondo è cieco e noi veniamo dal mondo. / Dipendeva da noi, non dalle stelle”, non senza una divergenza di intenti, tutto sommato, se il tema del peccato capitale viene sviscerato al fine esclusivo di sciogliere “il nodo della rabbia”.
Nel testo finale, di Andrew Johnston, è il personaggio di Dante che “lancia un messaggio” dal passato all’umanità dei nostri giorni, ed è un messaggio di accusa (“Voi umani … avete costruito il mio inferno”, espresso con sferzante ironia, basti notare “il suo naso toscano, / erudito, aerodinamico”), nel riconoscere “questa aria avvelenata in cui stiamo cadendo”.
La riconciliazione con il passato e con il mondo non è così difficile da comprendere e raggiungere; nuovamente, è l’espiazione il medium che consente il superamento della colpa, e basta il silenzio accogliente in grado di comprendere il valore di “una ragazza e qualche albero, / un’aria dolce” che “accarezzava la fronte … verso il punto dove per prima cade l’ombra della montagna”: messaggio che accomuna la tradizione e la memoria al presente e al nostro esistere, e si estende dalla Pietra di Bismantova a quella dell’Aoraki.
Mario Famularo