Il mito di Persefone: la parola che trasforma


 

Persefone, Proserpina per i Romani, è la figlia di Demetra, dea delle messi, e di Zeus. La tradizione mitologica curiosamente tace le circostanze del suo concepimento.

Il mito di Persefone è incentrato sul suo rapimento da parte di Ade, re dell’oltretomba, e viene raccontato nell’Inno a Demetra, attribuibile ad Omero, datato alla fine del VII sec. a.c. Questo mito fonda storicamente la pratica cultuale del misteri eleusini, destinata a sopravvivere fino al V sec. d.c., attraverso una narrazione densa di simbolismi che proveremo qui a ripercorrere, sulla scorta dell’illuminante saggio – da riscoprire – di J. S. Bolen, Le dee dentro la donna.

La giovane Persefone stava cogliendo fiori su un prato con le sue amiche, quando venne attratta da un bellissimo narciso e fece per coglierlo; in quel momento il suolo si spalancò e ne emerse Ade, che la afferrò e la condusse con sé negli abissi sul suo carro d’oro trainato da cavalli neri.

[…] e la terra, nell’ampia contrada di Nisa
si spalancò, ne balzò, sui suoi corridori immortali,
il Dio figlio di Crono, che tutti i defunti riceve;
e la rapí riluttante, piangente la trasse sul carro
d’oro. […]

(Inno a Demetra, vv. 16-20)

Alle grida della figlia, Demetra accorse, ma era ormai troppo tardi; iniziò così la sua disperata ricerca. Dopo nove giorni e nove notti si recò da Helios, il Sole, il quale la informò che l’artefice del rapimento era Ade e che questi aveva agito con il beneplacito di Zeus. Da questo momento Demetra, colma di rabbia e di tristezza, rifiutò di adempiere al suo ruolo di dea dell’agricoltura. In conseguenza di ciò, la terra fu devastata dalla carestia e la specie umana rischiò l’estinzione.

[…] E, seduta nel tempio,
la bionda Dèmetra, lontana da tutti i beati Celesti
stette, poiché la struggeva il desiderio della figlia perduta.
E un funestissimo male suscitò sulla terra,
il più crudo fra quanti ne fossero mai: dalle zolle
non uscivano più germogli: la dea li teneva nascosti.
E invano i buoi sui campi tiravano il curvo aratro,
e molto candido orzo fu gettato invano nei solchi.

(Ibid., vv. 324-331).

Alla fine Zeus si vide costretto ad inviare da Ade il messaggero Hermes con l’ordine di restituire Persefone. Il dio degli Inferi dovette acconsentire, ma, prima di lasciarla andare, offrì a Persefone – che aveva consumato i suoi giorni da prigioniera nella più totale afflizione, senza nutrirsi – alcuni chicchi di melograno, che lei accettò. Quando la dea ebbe fatto ritorno a casa, riabbracciò la madre, con grande gioia di entrambe; quindi Demetra le chiese se avesse per caso ingerito qualcosa nel regno dei morti. Persefone rispose di aver mangiato i semi di melograno in quanto costretta con la forza da Ade (cosa non vera). Se la giovane fosse rimasta digiuna, sarebbe stata del tutto libera; ma poiché aveva mangiato cibo dell’Averno, si decretò che avrebbe trascorso due terzi dell’anno sulla terra con Demetra e un terzo nel mondo sotterraneo con Ade.

E [Zeus] consentí che per un terzo dell’anno che compie il suo ciclo
sua figlia restasse nella caligine d’abisso,
gli altri due terzi, presso la madre, e i beati celesti.

(Ibid., vv. 468-470)

Così Persefone rimase da un lato l’eterna fanciulla accanto alla madre, dall’altro divenne regina degli Inferi.

Questa vicenda allude ad un ciclo di morte e rinascita, ad un processo di trasformazione. Persefone corrisponde all’archetipo psicologico della Kore, l’adolescente inconsapevole di sé, indecisa del proprio ruolo nella vita, incline a compiacere gli altri, a vivere nell’iperprotezione, al riparo dai possibili rischi. È refrattaria al matrimonio, più o meno inconsciamente avvertito come un pericolo, come un’esperienza di morte. Assimilabile alle figure di Biancaneve e della Bella Addormentata, l’archetipo Persefone si lascia scegliere, resta metaforicamente in attesa di un principe che la risvegli. La Kore rapita, prigioniera e depressa, rinvia ad una fase di malessere psichico di cui l’archetipo è pure portatore. Quando si sente dominata e limitata, Persefone può manifestare varie forme di disagio mentale; la rabbia, il dissenso, la percezione di impotenza si rivolgono all’interno in una modalità autodistruttiva, fino a determinare il distacco dalla realtà, il ritiro in un mondo proprio. Tuttavia il prosieguo della vicenda mitica vede la fanciulla diventare regina, donna adulta, conscia dei propri desideri e del proprio compito. In qualità di guida dell’Averno, Persefone accoglie Odisseo durante la discesa negli Inferi, mostrandogli le anime delle donne leggendarie; si contende con Afrodite l’amore del bellissimo Adone e riesce a trattenerlo con sé per un terzo dell’anno. Nella sua versione matura, Persefone simboleggia l’attitudine a rinascere in seguito all’immersione nel sé profondo, grazie ad un’opera di mediazione con la dimensione ordinaria; è la donna saggia che, attraverso esperienze di natura psichica o mistica, sa attingere ad una sorgente di spiritualità in grado di dissipare le paure; è colei che ha imparato a dominare il mondo infero e padroneggia i linguaggi della psiche, l’arte e la poesia. Nel suo eterno ritorno, il mito di Persefone è parola che racconta l’abisso e il viatico per l’emersione, gesto salvifico in quanto delucidazione, testimonianza.