I Romani, i “piccoli dèi” e il mondo incantato

Nelle stanze appartate di una casa di Roma, in un momento imprecisato della sua storia più antica, una matrona è in stato di avanzata gravidanza. Da tempo ha smesso di invocare Mena, la dea che presiede al ciclo mestruale, venerando piuttosto Fluonia, che trattiene quel flusso nei mesi della gestazione, o Alemona, che assicura al feto il suo nutrimento, o ancora Ossipagìna, che presiede alla formazione delle ossa e ne assicura la necessaria compattezza. Ora che il parto si avvicina, poi, è tempo di rivolgersi a Lucina, la divinità che assiste le puerpere nei lancinanti dolori del travaglio, e alle sue assistenti Prorsa e Postverta, a seconda che il bambino si presenti con la testa in avanti o piuttosto, evenienza irta di pericoli, abbia i piedi rivolti verso il basso. Infine, il piccolo è appena venuto al mondo e già la madre coglie nel suo vagito l’invisibile presenza di Vaticano, il dio che nelle due lettere iniziali del suo nome ricorda i primi balbettamenti del nuovo nato.

Deposto a terra, il bambino viene levato in alto dal padre sotto il vigile controllo della dea Levana, in segno di riconoscimento e di accettazione all’interno della famiglia. Al momento di attaccarlo al seno si invoca Rumina, signora dell’allattamento, poi sarà la volta di Educa e Potina, che presiedono all’assunzione del cibo e dell’acqua da parte del neonato, e più tardi ancora di Abeona e Adeona, chiamate a scortare i piccoli nei passi con i quali si allontanano e ritornano dalla madre nelle loro aurorali esplorazioni del mondo. Quando cala la sera, il bambino viene infine deposto nella culla, ma non senza prima invocare Cunina, affinché allontani ogni forza ostile da quelle carni ancora vulnerabili. E non sarà male rivolgere una preghiera anche a Pavenzia o Paventina, la dea delle paure infantili.

Adesso allarghiamo lo sguardo al mondo esterno. Possiamo immaginare che il padre del nostro bimbo sia un contadino, come lo sono quasi tutti i Romani nei primi secoli della loro storia; di certo anche lui, nella sua fatica quotidiana, ha intorno a sé un complesso sistema di protettori divini dei quali deve assicurarsi la benevolenza. Anzitutto, a seconda che i suoi campi si trovino in pianura, in collina o in montagna, invocherà rispettivamente Rusina, Collatina o Iugatino; se poi lavora la terra in una vallata, sarà il caso di pregare la dea specifica di queste aree, Vallonia. Anche i cereali che coltiva vengono sorvegliati da un gran numero di dèi: Seia preserva il seme, Segezia prende in consegna la pianticella che spunta dal terreno, Noduto governa la formazione dei nodi lungo lo stelo delle spighe, Patelana fa schiudere i gusci con i chicchi di grano, Ostilina cura che le spighe abbiano tutte la stessa altezza, Tutilina protegge il frumento nei magazzini. Né va trascurato il dio Spiniense, chiamato a tenere lontane dai campi le piante spinose, o il suo compagno Robigo, per evitare che le spighe si coprano di ruggine. E sicuramente abbiamo dimenticato qualcuno.

Il fatto è che questi “piccoli dèi”, come li chiamavano i Romani, o “divinità dell’attimo”, come li hanno a volte definiti i moderni, si contano a decine, forse a centinaia, chiamati come sono a governare su una porzione molto ridotta dell’esistenza. Una circostanza che irritava moltissimo i primi autori cristiani in lingua latina, cultori di un dio unico e proprio per questo incapaci di comprendere perché i Romani dell’età arcaica si fossero affidati a una miriade di agenti divini, ognuno capace di occuparsi solo di un singolo atto o momento. Il che, sia detto per inciso, è stata per noi una fortuna, perché senza quelle citazioni polemiche e quelle sprezzanti prese di distanza oggi sapremmo ben poco dei “piccoli dèi”.

Sotto l’influsso della cultura greca, infatti, questa folla divina cedette poco a poco il passo a una religione in cui a dominare erano grandi figure come Giove, Minerva o Apollo, mentre di Rumina o di Spiniense quasi tutti finirono per dimenticarsi. Il mondo, però, rimase ugualmente pieno di dèi: dèi diversi, più moderni e sofisticati, ma sempre dèi, capricciosi o benevoli, indifferenti al dolore umano o viceversa impegnati nelle storie dei mortali, dèi con i quali era comunque necessario fare i conti. E così sarebbe stato ancora per secoli, fino a quando la scienza e la cultura del XVIII e del XIX secolo produssero quello che qualcuno ha chiamato, con bellissima espressione, il disincantamento del mondo.