I decaloghi spezzati – Sebastiano Mondadori

I decaloghi spezzati, Sebastiano Mondadori (Stampa2009, 2021).

 

I decaloghi spezzati (Stampa2009, 2021) è la prima opera in versi di Sebastiano Mondadori, il noto autore del pregevole Gli anni incompiuti (Marsilio, 2001); quest’ultima opera, edita dalla Marsilio, che per contrappunto è il suo esordio in quell’altra branchia della letteratura che è la narrativa, nel 2001 venne insignita del Premio Rhegium Julii.

Dunque, ci troviamo davanti ad un paio di esordi importanti. Oltretutto, c’è un dettaglio intrigante cui prestare attenzione: ambo gli esordi di Mondadori – prima nella narrativa e successivamente in poesia, ora, con questa silloge a cura di Maurizio Cucchi – sono scanditi da un intermezzo di una durata non indifferente, pari a vent’anni; un tempo che ha permesso allo scrittore di maturare una coscienza poetica fluida (e, in tale direzione, predisposta anche ad aperture nei confronti di una certa malleabilità), ma altrettanto salda e stabile.

Difatti, i testi che compongono questi «decaloghi spezzati», ben ponderati sia nella loro architettura visivo-espressiva che nella loro fisionomia sonora e metrica, reiterano decisamente una struttura compatta, non indifferente al gesto di “guardarsi alle spalle” e, di conseguenza, all’abbandonarsi alla tentazione di lasciarsi andare al poetare, narrando prosasticamente la «farsa / delle […] affinità» e le loro «assonanze col martirio».

L’esordio poetico di Sebastiano Mondadori deve il suo titolo ad un frammento di quanto scrisse Francis Scott Fitzgerald in una lettera del 7 dicembre 1940, indirizzata a sua figlia Scottie, che Sebastiano Mondadori cita in esergo al suo libro: «I malati di mente sono sempre semplici ospiti sulla terra: eterni stranieri, che portano con sé decaloghi spezzati che non sanno leggere». I decaloghi spezzati si divide in cinque sezioni: Sull’Arno (che consta di sette componimenti); Fallimenti notturni, bestemmie mattutine (di nove componimenti); Mentre ricordi (di otto componimenti); Gli sguardi commessi (di otto componimenti); Le ricompense della memoria (di sei componimenti).
Tra le poesie di Sebastiano Mondadori serpeggiano prevalentemente fiumi allegorici – e non –, che rispecchiano un “io” e il suo amoreggiare con luoghi e donne desiderate, nelle ripulse e nei sorrisi altalenanti che essi regalano al poeta. Le dimensioni interiore ed esteriore sono distribuite all’interno di legami «rosi dal certo al pari dell’impossibile, / fedeli soltanto all’invisibile» (come si può leggere nel terzo testo della terza sezione, intitolata Mentre ricordi), peraltro resi estemporanei da «una quotidianità molto instabile» (come scrive Maurizio Cucchi, nella Prefazione).

Eppure, Mondadori scrive «per accettare questo tempo d’oggi / o ribattezzare il destino». Difatti, all’occhio vigile del poeta non sfuggono i mali che affliggono il nostro presente vivo: oltretutto, «dal paradosso con cui scambiamo / il contagio per un’apparizione / rosa e furtiva di un’ombra piangente», parrebbe emergere a galla – per poi farsi strada fra percorsi che sopravvivono lungo fiumi di pazzia, malattia, nevrosi –, un “noi”, «in un’oltranza d’attese ferite / […] e le stesse facce ringiovanite». Un noi, dunque, evidenziato da un «tu e io diversi da oggi, / addirittura innamorati».

A fare pendant con i luoghi delle incomprensioni di coppia e dei problemi che la affliggono, sono anche i luoghi concreti, quelli della dimensione esteriore, quelli in cui scontare il peso di un’inquietudine alimentata dalle domande scaturite dagli affanni e dal distacco.

Il ventaglio metrico eletto dall’autore per scandire i versi di questa raccolta è sicuramente caratterizzato da un repertorio di endecasillabi. È possibile notare che quasi tutti i testi di ciascuna sezione sono sapientemente organizzati con cognizione e ripartiti in strofe che spesso presentano, e ripropongono, lo stesso numero di versi: si tratta, in molti casi, di una serie di quartine, terzine e/o sestine.

Infine, a livello cromatico, tornano sempre certi usi che furono cari a tutta quella lunga serie di testi che fanno capo alla tradizione simbolista, tant’è che alcuni versi, sebbene pochi, parrebbero ammiccare proprio a Mallarmé. I colori prevalenti all’interno del corpo di alcuni testi sono, oltre a descrizioni che restituiscono alla nostra percezione il candore del bianco, il giallo, l’azzurro e l’arancione (questi sono altresì complici di associazioni numerose, come quelle riferite all’alba e al tramonto, perciò si pensi a: «un miele aranciato»; «un’alba di rose»); ma, per finire – quest’ultimo tratto lo si può riscontrare molto spesso all’interno delle chiuse di Mondadori – un chiaroscuro assale il lettore, che sente prevalere una tonalità sempre più tendente al buio oppure “aspirare” alla cecità (si pensi a: «buio salmastro / di spoglie chiese sconsacrate»; «abbagli inceneriti dal domani»).

Tuttavia, permangono «la sorpresa / del verde nell’azzurro ostinato» e «la gloria pomeridiana del giallo» a reiterare quell’«umor ladro» che «nei pertugi scolorati d’erba» continua a puntare il dito in direzione della comparsa di quelle prime rughe, che a loro volta segnano la fine di una bellezza, «nell’indecenza di non averlo capito».

 

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
Scombussolata e piena di sorrisi
ti difendi dai miei complimenti
aspettando il caffè tra le coperte.
«Vengono prima i sogni o i ricordi?»
 
cerchi di tardare la veglia, pigra
e già stanca del giorno. Indolente
nella parsimonia di gesti lunghi,
paventi fantasie religiose,
losca protettrice dei traditori.
Nell’incanto studiato d’una resa
 
senza parole, nascondi le mani,
neghi il pianto davanti alle lacrime,
ripeti no, che non volevi dirlo,
ieri sera hai mentito per onestà.
Ringrazi e l’appoggi sul comodino,
 
la tazza piena di gatti, bollente:
il caldo fortifica i rancori,
allenta i vincoli dell’omertà,
l’acredine si fa fretta e insulti.
«Finisce così»: farfalle d’ansia
 
gremiscono le distanze d’umori
notturni, spopolano i ricordi,
li spolpano allo stremo dicibile,
si posano sul corpo che ti rimane,
nudo e senza la vestaglia di mia moglie.
 
 
 
 
 
 
L’ho già tutto compilato in testa,
il censimento delle tue risate,
divise per colore, suono, stagione.
 
Conosco la tua bocca a memoria,
il tremore accidentale indeciso
sul crinale di un impeto vermiglio
ribollente nel buio del sospetto,
 
i presagi zuccherati d’estate
gli indugi e le finte, la sorpresa
del verde nell’azzardo ostinato
dove affonda lo sguardo, e chiama,
prima di sparire nel bacio.
 
 
 
 
 
 
La fortuna arriva sotto la pioggia
nel malore esangue dei gelsomini
tra rivincite d’azzurri scialbati
e la scena dimenticata in pianto –
plagi inascoltati nel torto
di chiamare le cose come vengono.