Mito e Logos: Hypnos, padre dei sogni

Hypnos, padre dei sogni
 
 

Hypnos, il sonno, è un dio potente a cui tutti sono soggetti, non escluso Zeus. Nell’ “Iliade”, su richiesta di Hera, Hypnos fa addormentare il signore dell’Olimpo per sostenere Poseidone a fianco dei Greci, cosa non gradita al suo regale consorte.

Dormire allontana le preoccupazioni, ripristina la salute con il riposo e la riparazione dei tessuti secondo i ritmi circadiani, andamento del tempo che segue il percorso del sole. L’aspetto altamente benefico di Hypnos si rivela nel suo innamoramento per Pasitea, una delle tre Grazie, il cui nome significa rilassamento. L’insonnia è una delle patologie più disturbanti, incapacità ad abbandonarsi tra le braccia del sonno, fra i cui fratelli, o figli secondo un altro mitologema, ci sono Morfeo, il sogno, e Fantasio, la fantasia, non inutile e sterile divagare della mente ma contributo creativo che bilancia la ragione e ne corregge gli eccessi e gli schemi.

Suo simbolo è il papavero, il fiore dell’ipnosi. Il suo aspetto è quello di un giovane alato; tipica espressione della libertà interiore è il nostro saper volare sulle ali dei sogni.

Gli antichi conoscevano bene questa importante funzione, utilizzata nella diagnostica e nella terapeutica. Ad Epidauro i seguaci di Esculapio, dio della medicina, sottoponevano i pazienti alla tecnica dell'”incubazione”, consistente nell’addormentare i malati in un recinto sacro per farli sognare. Al loro risveglio un medico sacerdote interpretava i contenuti onirici, materiale prezioso per l’individuazione della patologia, delle cause e spunto per la cura. Caduto in disuso e considerato quasi superstizione, il metodo, nella sua sostanza, viene ripreso da Freud che scrive l’ormai mitico “L’interpretazione dei sogni“, strumento principe per il superamento delle nevrosi.

Hypnos è dunque signore dell’inconscio, di cui Jung analizza il lato duale d’ombra infera e di luce numinosa. Ombra che va conosciuta, portata alla coscienza affinché le nostre pulsioni profonde non vengano negate, compresse piuttosto che trasmutate, per poi esplodere in modo distruttivo. La repressione è madre dei conflitti più gravi, sia a livello individuale che collettivo, fino alla follia della guerra.

Hypnos nasce accanto al fiume Lete, l’oblio. Ma quanto è utile dimenticare e quanto invece è necessario ricordare? La letteratura, dal grande sogno di Dante in poi, passando per Shakespeare, dà rilevanza, anzi quasi priorità alla vita onirica, considerata la radice dell’essere. Dante sviene di fronte alla passione ardente di Paolo e Francesca, cade “come corpo morto cade“. A volte la tensione dei ricordi diventa insostenibile.

Fratello gemello di Hypnos è Thanatos, la morte. La saggezza del mito rivela quanto affini siano i due stati in cui pare che la coscienza scompaia. L’esoterista e mistico Paul Brunton nel suo “Alla ricerca dell’io supremo” afferma che “La morte è un sonno con sogni“. Gibran ne “Il profeta” esorta “Fidatevi dei sogni, essi racchiudono la porta dell’eternità“. Eternità che è memoria. Nei canti finali del “Purgatorio” la bellissima e pietosa Matelda, prefigurazione di Beatrice, immerge Dante in due fiumi, il Lete per dimenticare il male, e successivamente in un altro fiume, invenzione del poeta, l’Eunoè, in grado di far ricordare il bene, lo stato estatico edenico. L’etimologia del nome richiama i termini greci “eu“, bene, e “nous” mente, intesa come intelletto superiore.

La letteratura attuale, memore del mito, edotta dalla psicanalisi, specie nella corrente del modernismo, onora Hypnos e Morfeo, riportandoli agli antichi fasti. Ezra Pound, fondatore dell’imagismo, nei “Canti pisani” dedica al sogno versi che lo considerano indispensabile ed essenziale: “Rendi forti i vecchi sogni / Perché questo nostro mondo non perda coraggio / A lume spento”.

Senza la facoltà di sognare tutto diventa buio, buio dell’anima, depressione.

Pascoli in “Alexandros, Poemi conviviali” scrive il verso splendido “Il sogno è l’infinita ombra del vero“. Ombra in quanto nostra ignoranza, infinita perché rompe gli schemi finiti delle forme ritenute reali.

L”imaginifico” d’Annunzio, nella visione di Roma sotto la neve, sente come la realtà trasfigurata dalla poesia diventi sogno arcano. “Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio, un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. L’aria pareva impregnata come di un latte immateriale; tutte le cose parevano esistere d’una esistenza di sogno, parevano imagini impalpabili come per un irradiamento chimerico delle loro forme.” (“Il piacere“).

È un panorama intriso di magia che incantò James Joyce, tanto da indurlo a riprenderlo nel finale del suo racconto capolavoro “I morti“, dove la neve ricopre il mondo, accompagnata dalla presenza dei trapassati intuiti e indistinti.

Eliot giunge a sognare da sveglio, in modo chiaroveggente, “l’altro” che siamo: “Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto? / Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme / Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca / C’è sempre un altro che ti cammina accanto / Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato / Io non so se sia un uomo o una donna / – Ma chi è che ti sta sull’altro fianco?” (“La terra desolata”, vv. 360-66).

Non posso tacere sul valore del sonno e del sogno come portatori di idee di valenza scientifica. Il fisico Niels Bohr sognò il sistema solare, i pianeti rotanti intorno alla stella-nucleo. Al suo risveglio comprese l’analogia: quella era la struttura dell’atomo.

Graziella Atzori