Mito e Logos: Eros

Eros
 
 

Rivisitiamo i miti. Non sarà un cattivo esercizio, tutt’altro! Oltre che una riscoperta piacevole, questa breve indagine sintetica riporta la nostra attenzione alla radice dell’essere, a ciò che Carl Gustsv Jung ha chiamato “archetipi”, ovvero paradigmi comuni della psiche, ritrovandoli identici nei sogni e nelle tradizioni diacroniche e sincroniche del genere umano, identiche nel tempo e nello spazio, tempo conosciuto come patrimonio storico, divenuto sedimento metastorico. Con modestia mi accingo a compiere questo viaggio appassionante, insieme a chi vorrà seguire le mie brevi escursioni nell’enciclopedia racchiusa in noi.

 

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Eros è il primo personaggio incontrato. Nel mondo antico ogni tratto della psiche e delle leggi di natura veniva antropomorfizzato. Possiamo chiederci perché… tale è la caratteristica dell’inconscio collettivo: la tendenza a individuarsi. Che poi i contenuti abbiano un aspetto numinoso, divino, non dipende da ignoranza, piuttosto dal sentire profondo che oltre la nostra volontà, esiste un volere cosmico (Schopenhauer) molto ben sincronizzato, armonico. Gli Stoici, ancor prima dei Cristiani, l’hanno chiamato Provvidenza.

Eros.. quale dio cattura tutto il nostro essere quanto lui, in modo cosi totale, infiammandoci? Secondo Esiodo (vedi la sua “Teogonia“, scritta circa 700 anni a.C.) è il primo dio, dalle ali brillanti, nato dal Caos e dalla Notte. Ecco il desiderio degli antichi, rivalutato come sappiamo da Freud che ha posto l’istinto del piacere come base di tutta la vita psichica. Anche secondo i testi sacri vedici induisti, la vita si compie grazie a “Tapas“, l’entusiasmo. Platone nel “Fedro” afferma che la “mania” sovrana è la mania d’amore. Poi nel “Simposio” la musa del filosofo, Diotima (la saggezza) afferma che Eros non è ancora un dio ma un demone, una creatura di mezzo tra l’umano e il divino, in quanto non possiede l’eternità, ma vi aspira.

Con le sue ali ci trasporta fino al Sommo Bene. Quanta poesia nelle immagini che hanno ispirato gli artisti per millenni! Contemplarle è opera di intuizione, a cui in seconda battuta si affianca la ragione per classificarle. Perfino Nietzsche, il demolitore di ogni tradizione per eccellenza, capace però anche di ricostruire… perfino lui nello “Zarathustra” grida appassionatamente: “Io t’amo, eternità“.

Eros ed eternità sarebbero dunque sinonimi? Oh, e dunque perché i nostri amori sono molto spesso brevi e lasciano il cuore a pezzi?

Intanto perché la ricerca dell’anima gemella richiede esperienza, lacrime, tempo… Sempre secondo Platone (vedi ancora “Simposio“) all’origine l’essere umano era un androgino, mezzo uomo e mezzo donna, ma a causa della sua tracotanza, “hybris” ovvero superbia, voler essere come Dio e contrapporglisi, Giove irato lo tagliò in due. Da allora ricerchiamo la nostra metà. A volte non basta una vita per compiere la ricerca. A volte troviamo tratti desiderabili in un partner ma ne rifiutiamo altri. È necessario intraprendere un cammino di conoscenza interiore; comprendere che molto spesso quanto rifiutiamo nell’altro è una nostra componente misconosciuta e/o repressa, da reintegrare, secondo la teoria junghiana della proiezione.

Nel processo amoroso tutti mutiamo e cresciamo. Si opera una catarsi, purificazione, e conversione.

Molte sono le ferite provocate da Eros. È il dio che colpisce con la freccia, estratta dalla sua faretra. Anche tale simbologia è rivelatrice di un dato: nessun dono è privo di sacrificio, dolore. Quest’ultimo è una componente essenziale dell’esistenza, per renderla sacra, ossia unica e preziosa, separata nel senso di “individuale“. “Sacrum facere“, sacrificio.

Vorrei ancora ricordare il nostro insuperabile Leopardi. Nella prima delle “Operette morali” intitolata “Storia del genere umano” egli racconta che Eros è solo in prestito sulla terra! Non può restare a lungo tra noi, gli dei dell’Olimpo lo reclamano a gran voce. Nessun paradiso è paradiso se manca Eros. Il dio viene in soccorso all’umanità con la sua gentilezza (gentilezza dantesca dell’anima, non della “gens” di casta, il “cor gentile” del “Dolce Stil Novo“) ma, secondo il Poeta, non ne siamo sufficientemente degni e il dio s’invola, lasciandoci.

Faremo in modo di godere la sua compagnia il più a lungo possibile, quindi. Desiderando il “sempre“. Quella “pura durata” di cui parla Bergson, il filosofo più vicino agli artisti.

Non ho toccato gli aspetti crudeli e negativi dell’amore. Certo esistono. Ma essi non sono amore, sono la sua brutta caricatura.

Ne “L’elisir d’amore” Donizetti canta che dopo aver conosciuto Eros “Si può morir” (librettista Felice Romani). L’amore sconfigge la morte, la rende accettabile quindi innocua.

Nel “Cantico dei cantici” troviamo il versetto “Forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6).

Graziella Atzori