Eleonora Rimolo


 

Michele Paoletti intervista Eleonora Rimolo

 

Potremmo / davvero esserci tutti senza nient’altro, stare nel mondo senza farne parte in un silenzio assente, privo di domande. Sarebbe più semplice spendere meno sangue possibile per tenerci lontano dal dolore e dalla sofferenza, mettendo una distanza tra noi, gli altri e le cose. Sarebbe semplice – forse è un percorso che abbiamo già iniziato con più o meno consapevolezza – ma a cosa porterebbe questa distanza asettica? Chi scrive trova più domande che risposte, ogni interrogativo che pensa di aver risolto apre nuove prospettive, rovescia il punto di vista. Ma è questo che ci tiene vivi, la continua ricerca di un punto di appoggio, un nuovo equilibrio, un’idea che scavi dentro, un lembo di pensiero che allontani la tentazione di svanire.

 
 

Come nascono le tue poesie?

La mia poesia nasce con me, fin da quando ho iniziato a saper leggere e scrivere. È un atto necessario, perché è una maniera di amare, una richiesta di contatto e di condivisione con il mondo esterno: una lente con cui guardare le cose da altri punti di vista, con altre letture, attraverso una serie infinita di nuovi simboli.

 

La poesia può salvarci dalla tentazione di svanire?

La poesia può salvare; sicuramente salva me da questa forte tentazione: è l’unica cosa, infatti, che riesce a farmi sentire parte di un Tutto misterioso quanto affascinante. Giorno dopo giorno vivo per quel solo momento di immacolata comprensione che ci sembra di raggiungere quando leggiamo un testo o sciogliamo nel verso un nostro nodo interiore.

 

Gabriella Sica, grande poetessa contemporanea, ha firmato la prefazione della tua terza raccolta, Temeraria Gioia (Giuliano Ladolfi Ed., 2017). Quali sono i tuoi autori di riferimento, i tuoi maestri?

Non smetterò mai di ringraziare Gabriella Sica per la sua prefazione e per l’accoglienza ricevuta. Ci sono tanti maestri che mi hanno accompagnato negli anni. Cito solo alcuni di coloro che hanno ‘vissuto’ con me questi ultimi mesi: Fernando Pessoa, Eugenio Montale, Mario Benedetti, Antonio Machado, Fabio Pusterla, José Hierro, Umberto Piersanti.

 

Sei direttore editoriale insieme a Clery Celeste di Atelier on line, sito che si occupa di promozione e diffusione di letteratura, poesia e critica. Che idea ti sei fatta della poesia italiana contemporanea?

La poesia contemporanea deve entrare nelle scuole con la sua viva testimonianza per aprire nuovi spazi di interpretazione, per fornire altri orizzonti di senso, per dimostrare di essere sempre e da sempre uno strumento efficace di indagine emotiva, un mezzo per raggiungere la bellezza. Credo che la poesia contemporanea debba evitare di cadere nella tentazione – facile quanto dannosa – dell’isolamento, del far parte solo per se stessi, evitando di mettersi in gioco in un progetto comune, qualunque esso sia. Stare con gli altri significa arricchirsi, sempre.

 
 
 
 
Sono cresciuti insieme a te i miei capelli,
io meno. Ancora sono tentata dallo svanire
se ogni giorno scavo un lembo di pensiero
e mi riduco a un liquido vischioso, irriflessivo,
che non lascio bere a nessuno. Potremmo
davvero esserci tutti senza nient’altro
– solo nutrirsi ogni tanto – umane necessità.
Cosa riempierebbe allora le coscienze,
quale commento, quante penose idee.
 
 
 
 
Con i muscoli rotti dall’umido passo
trasciniamo le settimane, pronunciamo
distintamente tre parole sole. Essere
stanco significa soffocare dentro a un letto,
spendere meno sangue possibile per non
replicare il dolore: in questo modo
non ricrescono le voglie, si eradicano
tutti i contagi e in me non resta
che il deserto asettico dove ci siamo
contaminati, in cui siamo stati lasciati.
 
 
 
 
L’arancio violento mescolato nel fuoco
fuma profuma di morte la stanza
ed io caduto fuori dalla vita non ho
ancora imparato a rialzarmi, sempre
in posizione orizzontale mi sforzo
di ricordare il primo giorno – quanto
avrò gridato, pianto, protestato?