Antonia Pozzi

Antonia Pozzi

 

Non ingannino l’amore per la natura, per i quadretti pastorali, per la misura dell’endecasillabo, per la fede: il voto alla morte in Antonia Pozzi (1912-1938) percorre tutta la copiosa produzione, dalle poesie adolescenziali a La vita sognata, celebrazione dell’amore impossibile, e in tutta la ponderosa raccolta Parole. E dunque torto si farebbe al padre per il diniego presunto alla relazione con il suo professore di greco o come presunto censore delle poesie postume. Quale curatore di poesie postume non le aggiusta un po’, sia pure per acribia?

Piuttosto Antonia cercava un alter padre da amare.

Se è vero dunque che la fascinazione per la morte compare prestissimo e si rinnova via via, trovando nuovi spunti, acquista un altro senso il tragico destino, compiuto con un gesto a lungo preparato, in giovane età. A nulla valsero a proteggerla la cerchia di amici riuniti intorno ad Antonio Banfi, lo studio dell’estetica, l’amicizia con Vittorio Sereni, la tenerezza per la madre.

Riletta a distanza di decenni, Parole, rivela tutta la fragilità di un soggetto femminile che si smemorava nell’amore per la montagna, fino a comunicare malessere a chi legge. Ciononostante, la breve parabola resta incisa nella poesia del ‘900, con le sue anafore in stato di grazia. Parole, a cura di Alessandra Cenni (che curerà anche Tutte le opere, sempre per Garzanti) è una parabola che anticipa addirittura la fascinazione per la morte della società italiana. E sono parole, che come visto già da Montale, dureranno. Anche se Già troppo soffersero / del mio rancore / le cose: e vivere non si può /a lungo / se silenziosamente piangono / le cose, su noi.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Risveglio notturno
 
Riemersa da chissà che ombre,
a pena ricuperi il senso
del tuo peso
del tuo calore
e la notte non ha,
per la tua fatica,
se non questo scroscio pazzo
di pioggia nera
e l’urlo del vento ai vetri.
Dov’era Dio?
 
 
 
 
Il cielo in me
 
Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.
 
Tu
eri il cielo in me,
che non parlavi
mai del mio volto, ma solo
quand’io parlavo di Dio
mi toccavi la fronte
con lievi dita e dicevi:
Sei più bella così, quando pensi
le cose buone.
 
Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi per la mia persona
ma per quel seme
di bene
che dormiva in me.
 
E se l’angoscia delle cose a un lungo
pianto mi costringeva,
tu con forti dita
mi asciugavi le lacrime e dicevi:
Come potrai domani esser la mamma
del nostro bimbo, se ora piangi così?
 
(…)
 
 
 
 
Convegno
 
Nell’aria della stanza
non te
guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà
nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora – in lontani istanti –
sul mio volto