Dove inizia l’amore. Un viaggio nella Vita Nova di Dante – Melania Panico

Dove inizia l’amore – Un viaggio nella Vita Nova di Dante, Melania Panico (CartaCanta Editore 2021).

Dove inizia l’amore – Un viaggio nella Vita Nova di Dante di Melania Panico è un libro intelligente, sensibile e brillante. E, nonostante sia un libro che tratta in modo accurato, appunto, la Vita Nova di Dante Alighieri, è anche una lettura avvincente, piacevole ed appagante: ma andiamo con ordine.

Non ci troviamo di fronte a uno studio filologico, metrico stilistico, retorico sull’opera dantesca, anche se il testo è ricco di rimandi puntuali, dove necessario, senza mai scadere in un tono cattedratico o inutilmente accademista; la scelta di Melania Panico è stata al contempo la più adatta e la più ambiziosa per affrontare un testo così risalente nel tempo, e un poeta così autorevole: quella di incentrare il focus sull’uomo, rivivendo attraverso le sue parole l’intera esperienza umana sulla propria pelle per restituirla vividamente al lettore.

Il libro ruota attorno a nove parole chiave, attraverso le quali si ripercorre il viaggio del Sommo in quanto essere umano, innanzi tutto, e se ne illustra abilmente la grandezza nel confronto serrato con il proprio tempo, gli autori coevi, le scelte utilizzate per ritrasmettere la potenza del proprio vissuto: queste parole chiave vengono universalizzate ed estese alla vita di ognuno di noi, anche attraverso brevi passaggi narrativi che la Panico utilizza per avvincere il lettore alla pagina, mentre al di sotto di tale struttura ricollega l’esperienza di Dante a quella di ogni uomo, antico o moderno che sia.

Amore, Dono, Miracolo, Mancanza sono solo alcune di queste parole, che l’autrice, dietro l’apparente approccio “leggero”, sviscera con competenza e riferimenti precisi, ricollegandole infine al testo dantesco, per comprendere a fondo il valore rivoluzionario della poesia senza tempo, quella che riesce a ritrasmettere il senso ultimo delle esperienze di vita attraverso proiezioni di significato universali: le citazioni presenti non sono solo riferibili a poeti trecenteschi o a studiosi di poesia dantesca, ma si estendono all’etimologia delle parole utilizzate o al confronto serrato con poeti come Eliot o Ungaretti, proprio per evidenziare come determinate esperienze annullano le distanze temporali e culturali.

Restituire l’esperienza di un poeta come Dante nel suo presente umano è il tipo di approccio necessario ad appassionare, soprattutto i più giovani: è di libri come questo, che riescono a far rivivere l’autore come uomo, contestualizzando in tale realtà vivida l’opera poetica, che la poesia ha bisogno per rimuovere, definitivamente, l’ombra di “materia” inaccessibile, difficile ed elitaria con cui ancora in troppi, con diffidenza, la osservano da lontano, per riconsegnarla alla propria natura più autentica di parola assoluta, puntualissima e sintetica – capace di far rivivere le pulsioni, le afflizioni e le illuminazioni di una mente brillante ed irrequieta nel sangue e nella carne di chiunque – anche dopo sette secoli.

Il libro di Melania Panico è appassionato e contagioso, ed è in questo approccio che “inizia l’amore”: mentre finisce, mi permetto di aggiungere, quando la poesia (ma non solo) diventa una salma da inchiodare a un vetrino da laboratorio per essere analizzata esclusivamente come un corpo senza vita.

 

Mario Famularo

 
 
 
 
 
 

Dove inizia l’amore – Un viaggio nella Vita Nova di Dante, pag. 63-65

 
 

miràcolo s. m. [dal lat. miracŭlum «cosa meravigliosa», der. di mirari «ammirare, meravigliarsi»].   1. a. In genere, qualsiasi fatto che susciti meraviglia, sorpresa, stupore, in  quanto superi i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere o vada oltre le possibilità dell’azione umana.

 

Delle nostre mattinate al riparo dagli altri, lunghe passeggiate nei filari di vite, dove c’è ancora solo l’idea del frutto, raccolta nella grande foglia a cuore.
Nel bel mezzo della primavera, di fronte alla distesa di terra che deve essere messa a posto, posso finalmente fare i conti con il totale fallimento del mio metodo razionalistico. Credo di aver dovuto ricominciare a riappropriarmi degli occhi grazie a un ritorno nelle cose essenziali, ciò che abbiamo a disposizione sempre. Le cose essenziali non sono mute: tutto prosegue anche senza di noi. Prendo un quadernetto ora che non fa più poi così freddo e posso camminare sul retro della casa di campagna e sedermi sugli scalini della vecchia cantina con i muri in tufo. Di fronte a me la distesa di terra da rassodare. Ma la meraviglia non è solo qui. È nel cambiamento dello sguardo.

Mio padre è un puntino in lontananza che man mano diventa sempre più vicino e presente. Ora sentire che si avvicina mi fa stare in pace, ora che abbiamo imparato i nostri rispettivi modi e silenzi. Il passo di mio padre è ingombrante, la terra crolla sotto i suoi piedi e mentre affonda il piede sinistro mi chiama:
«Vieni!»
Non so ancora cosa significa affidarsi, forse l’ho disimparato o è qualcosa che compete ai puri, a chi sa che il verbo perdonare riguarda il nostro essere su questa terra pienamente. Il miracolo del giorno mio è alzarmi senza scudi, senza difese.
«Vieni, ti insegno».

Quando Dante scrive la Vita Nova, essenzialmente, fa un ritratto di se stesso. Tecnicamente, come abbiamo già visto, la Vita Nova è un prosimetro diacronico e cioè un’opera in cui poesia e prosa non sono state scritte contemporaneamente. Non voglio dilungarmi molto sulla data di composizione delle poesie, sappiamo per certo che alcune sono state scritte precedentemente e poi riattualizzate (in un periodo che va dal 1273-74 al 1293-94), altre contemporaneamente all’opera.
Fare un ritratto di se stesso significa progettare. Per Dante poi si tratta di progettare sulla base di una figura femminile che appare, si manifesta, qualcosa di meraviglioso che non solo suscita stupore ma va oltre lo stupore: Beatrice.

 

La Beatrice della Vita Nova è una persona storica: essa è realmente apparsa a Dante, lo ha realmente salutato, più tardi gli ha realmente negato il saluto, lo ha deriso, ha pianto un’amica perduta e il padre ed è realmente morta. È vero che questa realtà potè essere reale soltanto nell’esperienza di Dante, giacché un poeta forma e trasforma nella sua coscienza ciò che gli accade, e bisogna prendere le mosse solo da quel che vive nella sua coscienza, non da una realtà esteriore. E bisogna altresì tenere presente che per Dante anche la Beatrice terrestre è fin dal primo giorno della sua apparizione un miracolo mandato dal cielo, un’incarnazione della verità divina. La realtà della sua persona terrena non è dunque desunta da certi dati di una tradizione storica, come nel caso di Virgilio o di Catone, ma dalla propria esperienza, e questa esperienza la faceva apparire a Dante come un miracolo. Ma un’incarnazione, un miracolo, sono cose che accadono realmente; i miracoli accadono soltanto sulla terra, e l’incarnazione è carne.

 

Beatrice è un miracolo. Non è molto importante l’elemento biografico ma come questo elemento sia stato fondamentale per l’esperienza poetica di Dante non solo con la Vita Nova ma in vista della Commedia.
Beatrice è un miracolo, come ci ricorda anche Montale, ma non è mai un idolo.

 
 
 
 
 
 

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