Il biografo greco Plutarco, in un opuscoletto dedicato alle Virtù delle donne, la racconta così: quando la flotta dei superstiti di Troia fu sbattuta da una tempesta non lontano dalle foci del Tevere, gli uomini scesero sulla terraferma, alla ricerca di informazioni su quei luoghi e sulle genti che li abitavano; le donne allora, stanche di una navigazione che sembrava non giungere mai alla meta, approfittarono dell’occasione e si accordarono per dare fuoco alle navi sotto la guida della più intraprendente tra loro, chiamata Roma. I Troiani, alla vista delle fiamme, si precipitarono verso la costa, nel tentativo di spegnere l’incendio e salvare le imbarcazioni, ma fu tutto inutile; quanto alle donne, temendo la punizione per il proprio gesto, esse andarono incontro ai loro compagni abbracciandoli e coprendoli di baci e di carezze. Riuscirono a scongiurarne la rabbia e a ottenere finalmente che il gruppo si insediasse nella terra in cui era casualmente sbarcato. L’iniziativa della troiana Roma, anzi, finì per essere così apprezzata che dal nome della donna fu tratto quello della città fondata di lì a poco sui colli prospicienti il Tevere; inoltre, da quell’episodio nacque un’usanza che Plutarco dice ancora viva ai suoi tempi, quella per cui le donne romane salutavano i loro congiunti baciandoli sulla bocca.
Quello raccontato dall’autore greco è, con tutta evidenza, un mito eziologico, un racconto cioè che mira a spiegare l’origine di una pratica sociale. Si tratta in questo caso del cosiddetto ius osculi o “diritto del bacio”, che imponeva alle donne romane l’obbligo di lasciarsi baciare dai propri congiunti maschi e da quelli dei loro mariti fino al sesto grado di parentela incluso, quando per la prima volta li incontravano nel corso di una giornata. Di questa consuetudine parlano anche altre fonti, e in particolare lo storico greco Polibio, che ne danno però una spiegazione molto diversa e, va detto, assai meno romantica di quella immaginata da Plutarco: il bacio rituale non serviva a mantenere un clima di buoni rapporti tra la matrona e i suoi familiari, ma doveva semmai consentire a questi ultimi di verificare che la donna in questione non avesse bevuto vino, violando così una delle regole che disciplinavano nella Roma arcaica il comportamento femminile. Il consumo del vino era infatti interdetto alle donne, al punto che lo stesso fondatore Romolo aveva autorizzato un marito a giustiziare la propria moglie non solo in caso di adulterio o di aborto compiuto senza la sua autorizzazione, ma anche per una colpa solo apparentemente meno grave come la sottrazione delle chiavi della cantina.
Quanto poi alla ragione di questa norma, è presto detta: i Romani vedevano nel vino, per così dire, un facilitatore dell’adulterio, capace di travolgere i già deboli freni inibitori di una donna e di spingerla verso quei comportamenti trasgressivi che rispondevano alla sua natura più profonda, ma che avrebbero macchiato l’onore del marito e quello della più vasta cerchia parentale. Ed è per questo che nel controllo della moralità femminile erano coinvolti non solo gli stretti congiunti della donna, i suoi familiari diretti, ma l’intero gruppo dei suoi consanguinei e di quelli del marito. Al tempo stesso, il bacio aveva anche una seconda funzione: il limite che definisce i parenti autorizzati allo ius osculi, il sesto grado incluso, coincide infatti con quello al cui interno la cultura latina vietava di contrarre matrimonio. A Roma, insomma, una donna baciava esattamente gli uomini che non le era lecito sposare.
Certo, con le regole, sul Tevere come in qualsiasi altra parte del mondo, si può sempre giocare, magari piegandole ai propri inconfessabili scopi. Accadde così che alla metà circa del I secolo d.C. Agrippina, la bellissima e spregiudicata pronipote di Augusto, approfittasse proprio del bacio rituale che il costume le imponeva di concedere a Claudio, imperatore in carica nonché suo zio paterno, per irretire l’attempato principe e indurlo infine a sposarla, con tanto di legge ad personam che autorizzava un matrimonio sino a quel momento considerato incestuoso. Non fu una scelta saggia: di lì a poco, Agrippina provvide a liquidare Claudio con un piatto di funghi velenosi, allo scopo di spianare la strada verso il trono al figlio di primo letto Nerone. Un esito al quale certamente le intimidite compagne della troiana Roma, un millennio prima, non avrebbero mai potuto pensare.