Defrost – Diletta D’Angelo


Defrost, Diletta D’Angelo (Interno Poesia Editore, 2022, vincitore del Premio Ritratti di Poesia Si Stampi 2022).

L’incipit è simbolicamente espresso dall’immagine di un bovino con l’etichetta auricolare, schedato per essere destinato alla macellazione. In parallelo è riportato il caso di Phineas Gage e della sua modificazione di personalità e comportamento causati da una lesione bilaterale dei lobi frontali, a seguito di un incidente sul lavoro. Così Defrost, opera prima di Diletta D’Angelo edita da Interno Poesia Editore nel novembre del 2022, tende il suo bigliettino da visita al lettore, con un primo piano d’impatto.

La raccolta, già vincitrice della prima edizione del Premio Ritratti di Poesia, arricchita delle note al testo dei poeti Alberto Bertoni e Carmen Gallo, si compone di quattro sezioni che prendono in prestito il frasario medico: ‘anamnesi’, ‘auscultazioni’, ‘incisioni’, predittivi di una esplorazione per gradi che si conclude con uno scavo ulteriore per essere condotti sino alle interiora delle osservazioni attraverso la riflessione poetica nella sezione ‘anatomie’.

Il lessico è mutevole, un registro variabile e multiforme che ha il suo primo segno distintivo nel titolo della silloge, in inglese, e nei titoli di alcune poesie. Compare anche un accenno in vernacolo, alcuni modi di dire e di locuzioni scientifiche appartenenti alla sfera anatomica. I corsivi irrobustiscono la tensione del verso, ne sottolineano la forza evocativa: “ormai è fatta di frammenti, della sabbiolina che senti se/ capovolgi/ le cose rotte dentro”.

La presenza della prosa è un accostamento apparentemente svincolato dalla poesia ma ne eredita totalmente da essa “le malentendu”, il fraintendimento e il mistero di cui parlò il poeta Pedro Salinas, abbandonando l’esigenza di fornire un possibile contenitore semantico.

L’allusività della D’Angelo appare quasi come un sogno interrotto dalla realtà e dalla concretezza del patimento circostante, la materia è filtrata da una ricerca poetica che oscilla tra un lirismo e una de-lirizzazione, propria di un movimento che ‘congela’ e ‘scongela’ l’io in tutta la raccolta, l’emblema di uno sguardo freddo che si di-stacca.

In molti versi ricorre lo slittamento nel riferimento dall’uomo all’animale o viceversa, talvolta sovrapponendosi o fondendosi in un unico magma. A volte il soggetto resta indefinito divenendo fondamentale l’angolatura dello sguardo, chiedendo al lettore di soffermarsi maggiormente sul riverbero del verso.

Questa casa è un mattatoio a cielo aperto”: l’abitazione è una scena domestica remissiva, fatta di comuni tragedie quotidiane dove “Tutto il bene lo trovi da sempre nel fondo dei piatti/ amore residuo di sugo e di grasso/ bucce scorticate” e in cui sentire il richiamo di un’appartenenza “Ho tre dita dei piedi come mio padre, le ultime due/piegate (come mia madre)”.

La paura, più volte enunciata, occulta l’impotenza dell’essere umano di fronte agli imprevisti che possono deviare, complicare o danneggiare per sempre l’esistenza, con il timore permanente di poter palesare una certa viltà: “le paure, come le malattie, vanno nascoste”. La cadenza ritmata di alcuni verbi fornisce l’idea di una paura e di un’aggressività crescente: “tagliate riempite ricucite ripetete/ rimpolpando le ossa” che si ricrea nell’operazione “di sacrificio e di amore” rendendo vivida e attuale la questione etica.

Ne avranno visto le grida, tra le tende, i vicini
forse l’erba accecata dagli aghi ne coprirà le tracce
ma i crociati spezzati, le corde ammucchiate, le esili
                                           incrinature
ho guardato ogni giorno nel giardino
tutto il sangue assorbito da questa terra
è marcito tra le radici, ha seppellito l’embrione della
                                           violenza

Un altro personaggio si alterna, la figura di Tonino “un altro animale in gabbia (pestato deriso abbandonato in un sacchetto)” dove la costrizione non è solo fisica ma anche mentale giacché “scompigliava l’aria il suo respiro diverso”. Emerge l’esplorazione della paura anche per il ‘diverso’ che incontra – e si scontra – con l’aggressività e la prepotenza dell’uomo insita nella sua natura: “Si parla di anatomia della violenza di radici biologiche del/ male e di come/ alcuni individui non possano avere il pieno controllo/ delle azioni/ non dispongano di libero arbitrio”.

Occorrono diverse riletture per riordinare i tasselli della scrittura poetica della D’Angelo e per cogliere che, sullo sfondo, diverse figure presenti nei versi si uniscono tra di loro in una tacita familiarità: Phineas Gage, Tonino, l’animale chiamato Tiresia, gli studenti di Stanford scelti per un esperimento chiamato “Effetto Lucifero”. Essi conducono tutti a uno stesso punto focale fatto di violenza, di convinzioni che vacillano e di scosse nella moralità dell’essere umano che si accostano metaforicamente a quelle della superficie terrestre. La violenza in contrapposizione al sacrificio apre uno squarcio etico e antropologico culminante nella sperimentazione sociologica dei versi della poeta la quale consente la riflessione e l’interrogazione sulla vera natura dell’uomo/donna aleggiando perciò il quesito di come si presenterebbe l’essere umano al di fuori delle sue costruzioni sociali.

Serena Mansueto

 
 
 
 
Tutto il bene lo trovi da sempre nel fondo dei piatti
amore residuo di sugo e di grasso, di bucce scorticate
                                           (spellate al millimetro)
nelle pratiche meticolose: tagliate riempite ricucite ripetete
                                           rimpolpando le ossa
nel tenerti puliti gli angoli più interni delle pareti, farti
uno spazio per nasconderti
 
Ho tre dita dei piedi come mio padre, le ultime due
                                           piegate (come mia madre)
 
 
 
 
 
 
Tiresia brucava e lei gli toccava il collo e la pancia
era cosa ancora calda, cento chili di cassa toracica
 
i vitelli hanno le orecchie morbide fino al punto in cui
                                           non hanno fori
e pupille folte che ringraziano
se gli scrosti la pelle dalle mosche
 
 
 
 
 
 
Replaced
 
È un ticchettio che non viene ascoltato
non sanno come non sanno
dove appoggiare l’orecchio
ormai è fatta di frammenti, della sabbiolina che senti se
                                           capovolgi
le cose rotte dentro
 
 
 
 
 
 
Phineas Gage
 
Dopo l’incidente Phineas Gage visse altri dodici anni, aprì
a nuovi orizzonti l’asta di metallo che gli trapassò il cranio.
 
Riportò una ferita al lobo frontale sinistro, un operaio
                                           statunitense
con le sue disgrazie fece nascere una dottrina
                                           pseudoscientifica,
 
divenne attrazione principale nelle fiere di paese.
 
 
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