Defrost, Diletta D’Angelo (Interno Poesia Editore, 2022, vincitore del Premio Ritratti di Poesia Si Stampi 2022).
Più che un libro di poesie, Defrost di Diletta D’Angelo è un pastiche espressivo composto da brani in prosa e lacerti di versi, se circoscritti o meno all’endecasillabo o ad altro metro della nostra tradizione non fa alcuna differenza, perché la ricerca metrica all’interno di questo volume non è l’elemento-gabbia attraverso cui l’autrice vuole esprimere il suo messaggio. O quasi, in quanto anch’esso insieme al peso portato dalle parole è l’indizio di una dicotomia che attraversa il libro come una doppia voce: da un lato la totale libertà nella forma, dall’altro la gabbia del contenuto. Ci troviamo così di fronte a un rovesciamento di paradigma: là dove la prima tradizione novecentesca – e ancor di più prima di essa – ha cercato in una personale forma la liberazione del senso, qui è la totale liberazione della forma ad esprimere la gabbia del senso.
Si parla di ‘gabbia’ non a sproposito, come ha osservato bene nella sua nota finale Carmen Gallo quando sostiene che Diletta D’Angelo in Defrost si confronta con «ricordi-fratture, traumi-contusioni, che si consumano in uno spazio altamente connotato, la casa-famiglia, oggetto di una costante trasfigurazione che attinge al mondo animale e soprattutto all’immagine della gabbia»1. Il libro – vincitore al Premio Camaiore del Proposta 2023 e del Siae Under 35, non ultimo del Premio Pordenonelegge Poesia 2023 – vibra tanto più del suo sentimento portante, che è la paura, quanto più il linguaggio usato si dimostra distaccato, analitico-informativo, come chi portando in una seduta psicoanalitica il proprio trauma tentasse di rimuoverlo senza balbettio alcuno, senz’anche un minimo accenno di patimento. Da qui si deduce il ‘disgelamento’ cui allude il titolo e si motivano i lemmi tecnico-scientifici utilizzati dall’autrice.
Diletta D’Angelo è allora un medico-chirurgo che scrive la propria anamnesi per riflesso (i titoli delle sezioni – Anamnesi, Auscultazioni, Incisioni, Anatomie – ne rendono conto), osservando i traumi e le storie altrui e celando la sua voce addolorata dietro la loro. Raro è, infatti, l’uso della prima persona, come se riconoscere il proprio dolore esclusivamente come suo fosse un peso troppo grande da portare, mentre dividerlo o meglio condividerlo con la storia di Altri e così renderlo intelligibile al lettore ne abbia reso meno arduo il compito.
Eppure, non s’intuisce, a fine lettura, se l’autrice abbia, con questo metodo, trovato un modo per uscire dalla ‘gabbia-trauma’ di cui parla, dall’urto ripetuto di un corpo contro quel limite invalicabile che si avverte sottotraccia in tutto il libro. Sembra, dunque, che il ‘disgelamento’ nel titolo alluda solo all’inizio di un percorso pseudo-terapeutico, evochi piuttosto il passo fondativo di chi da una posizione di freezing comincia a sfidare i mostri familiari che l’hanno, appunto, freddata. Forse è in questa chiave che si può interpretare quanto scritto dalla D’Angelo, a partire dalla foto della mucca posta a prologo del volume: un animale ‘spalle al muro’, al cui orecchio è applicata una targhetta numerata, con lo sguardo di chi, messo a nudo il proprio corpo espiatorio, chiede di essere riconosciuto innocente.
Fabio Barone
Freezing I
Le paure, come le malattie, vanno nascoste. Diffuse, indistinte, perseguitano senza ragione. Sai che la carogna attrae le bestie, che se non la ricopri, demolisce.
Si stringe la piccola vita tra le braccia,
si stringe, si stringe e non respira non si deve sentire,
nel quadrato sporco di sabbia rappresa aggrappa le dita
si piega, il naso sulle ginocchia, si stringe, si stringe le costole
se non lo tiene, se non lo tiene stretto al suo interno
esce il rantolo di bestia, in silenzio si stringe e si scava le ossa,
le aggrappa per non perderle, per non cadere nello scarico, portate dall’acqua
Diletta D’Angelo a Una Scontrosa Grazia
Ora sembra di sbattere le ossa agli architravi delle porte di ogni stanza
la clavicola le costole l’anca le falangi delle dita frantumate piano
senza usare la forza
A quelle porte mi appoggiavo con lo sterno e la fronte
entravo nel legno a cercargli le radici
una notte lo stipite mi spaccò in due la testa
le scosse della terra disorientano
le scosse della terra a volte ossigenano
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