Alessandro Canzian suggerisce Chiara de Luca
Sabato 5 agosto 2017, l’antiquario Galeazzo Bartolucci, poco prima dell’arrivo dell’ufficiale giudiziario che avrebbe reso esecutivo lo sfratto dalla sua casa nella piazzetta di famiglia, ha ucciso moglie e figlio con un colpo alla testa mentre dormivano. Poi ha dato fuoco alla casa e ha raggiunto il portico di Boccacanale di Santo Stefano, dove si è sparato alla testa.
Piazzetta Bartolucci. Regina la pace
s’insinua dall’arco, scivola nel centro,
ciottoli convergono per accerchiare
le case, bussare insolenti alle porte,
aperte sulle mura decorate dai panni
appesi su fili sottili che non smuove
alito di vento nell’alcova del silenzio.
Chino di spalle sul vetro immacolato
lui lustra con cura come porcellana
la vetrina che protegge dalla strada
i segreti della sua bottega antiquaria
in un caleidoscopio di lacerti di vite
gettate da altri e con cura riesumate.
All’improvviso si risveglia dal sogno
si volta di scatto e getta uno sguardo
nell’ovale dove sul legno mi rifletto
allo specchio nel centro della porta
verde brillante eternamente aperta.
Eva di fronte fa un inchino d’invito
al gioco, oppure canino benvenuto.
Siamo le punte di un triangolo strano:
lui alla vetrina, lo straccio nella mano,
dentro l’obiettivo da cui lo immortalo;
io in piedi un po’ discosta sulla destra,
dentro lo specchio ovale sulla porta;
Eva tra ori e tesori esposti in vetrina,
davanti a lui quando capisce infine
che il cane ed io non siamo visione.
Sul volto si apre un sorriso bambino,
si raddrizza e arcua in un antico inchino.
*
Sotto il portico di Via Boccacanale
sentore di morte ancora permane,
lentamente ondeggia e ci riviene
incontro tra le colonne nel primo
sole beffardo del mattino estivo.
Rifacciamo quello che credo
sia stato il percorso, il più corto
per arrivare dove sei morto:
barcollando per via del Turco,
serpeggiando lungo le curve
di Cortevecchia dove la gatta
dall’occhio citrino sta di vedetta.
Vede i cani e si gonfia, poi taglia
la strada e sfreccia all’altezza
di Saint-Etienne sulla destra.
Resta solo il passaggio finale
di Boccacanale fino al varco
accanto alla lastra di marmo,
bianco, lo sparo alla tempia,
il tonfo, il rantolo, il niente.
*
Hai ucciso moglie e figliolo,
non per paura di partire solo,
per non consegnare anche loro
all’abbandono, in sonno un solo
colpo per ciascuno dal mistero
della mente che cade nel nero.
Senza più sguardo, ubriaco
di dolore per le strade buie
sei andato a finire nel cuore
gelato del tuo quartiere.
Perdendo ogni cosa hai voluto
morire come anche in passato
il nobile una volta decaduto.
Dietro di te il fuoco ha divorato
la vostra amata casa, la preziosa
collezione di pellicole antiche,
prima che quell’eterno mattino
fossi costretto a cadere dal nido
dalla piazza dove giocavi da bambino.
*
Le strisce bianche e rosse sono infrante
intatta la macchia bordeaux sull’asfalto
qualcuno ha posato dei fiori lì accanto
e un biglietto vibra nel vento: Quante
solitudini strette fianco a fianco
nella disperazione. La maschera
è ormai obbligatoria sul volto.
Sussurrano al bar Sarà stato il caldo
prende alla testa, di punto in bianco
dai di matto e sei morto.
È stato proprio un brutto colpo,
chi l’avrebbe detto, e chi mai
se n’era accorto.
I fiori nuovi appoggiati alla colonna
spariscono sempre prima dell’alba,
come se quel gesto potesse ripulire
l’orrore di un abbandono animale.
*
A sera, lungo il portico dell’Oca Giuliva
tre goffe caricature di ragazze starnazzanti
traballano maldestre su tacchi troppo alti
per chi non possiede la grazia di portarli.
Per volgarità chiocciante imbarazzanti,
in gran tiro d’acchiappo per l’aperitivo,
(oppure per un qualche carnevale estivo),
ridono di gusto commentando la morte
dei due gatti di casa durante l’incendio
che oggi all’alba ha eclissato un mondo.
*
Un anno dalla tua morte. Una mano
ostinata incolla una rosa alla colonna
in oltraggio alla città senza memoria
del presente, bel Giano monofronte
ipnotizzato dal suo estense trapassato.
Il dono non resiste fino al mattino,
la rosa sparisce nel sudario del buio,
ma noi non scordiamo, mite antiquario,
l’innocenza del tuo sorriso bambino.