Attraverso Ganimede: Teognide, Teocrito, Callimaco


 

Attraverso Ganimede è la prima serie di traduzioni ospitata nella rubrica L’arte del quasi di Laboratori Poesia. È anche il titolo di un personale Quaderno di Traduzioni, in fase di costituzione complementarmente alla ricerca che sto conducendo per il dottorato sullo sviluppo greco-latino e la ricezione italiana di questa figura del mito.

Ganimede, come scrive Omero, è il ragazzo più bello nato tra tutti i mortali (Il. 20.235): un giovane principe della famiglia reale troiana (figlio di Troo, secondo la genealogia omerica) portato in Olimpo per essere il coppiere di Zeus eternamente giovane. Ganimede è per eccellenza una figura della sospensione, teso tra terra e cielo, umano e divino; nel corso dei secoli, tra le diverse variazioni e trasfigurazioni assunte, sarà il prototipo del fanciullo amato, un simbolo di morte prematura, e subirà un catasterismo nella costellazione dell’Acquario.

Per la I puntata propongo tre traduzioni dal greco che fanno di Ganimede il prototipo dell’amato (ἐρώμενος): Teognide, Teocrito, Callimaco.

Francesco Ottonello

 
 
 
 
Teognide, Elegie (1345-1350), VI/V a. C.
 
Canto simposiale
 
Soave amare i fanciulli, se una volta di Ganimede
si innamorò anche il Cronide, re degli immortali,
che rapendolo lo elevò in Olimpo e lo rese divino
cogliendo il bramato fiore di fanciullezza.
Dunque non ti stupire, Simonide, se anche io
per un bel fanciullo sembro dal desiderio domato.
 
 
 
 
Παιδοφιλεῖν δέ τι τερπνόν, ἐπεί ποτε καὶ Γανυμήδους
ἤρατο καὶ Κρονίδης, ἀθανάτων βασιλεύς,
ἁρπάξας δ’ ἐς Ὄλυμπον ἀνήγαγε καί μιν ἔθηκεν
δαίμονα, παιδείης ἄνθος ἔχοντ’ ἐρατόν.
οὕτω μὴ θαύμαζε, Σιμωνίδη, οὕνεκα κἀγώ
ἐξεφάνην καλοῦ παιδὸς ἔρωτι δαμείς.
 
 
 
 
 
 
Teocrito, Idilli (12.34-37), IV a. C.
 
La gara dei baci alle feste Dioclee
 
Felice chi dà giudizio ai fanciulli per quei baci.
Certo prega spesso il radioso Ganimede
di avere la bocca pari alla pietra lidia, con cui l’oro
stimano non falso ma vero i cambiavalute.
 
 
 
 
ὄλβιος ὅστις παισὶ φιλήματα κεῖνα διαιτᾷ.
ἦ που τὸν χαροπὸν Γανυμήδεα πόλλ᾽ ἐπιβωτᾷ
Λυδίῃ ἶσον ἔχειν πέτρῃ στόμα, χρυσὸν ὁποίῃ
πεύθονται, μὴ φαῦλος, ἐτήτυμω ἀργυραμοιβοί.
 
 
 
 
 
 
Callimaco, Epigrammi (AP 12.230), IV a. C.
 
Niente di più
 
Quella bellezza, il moretto Teocrito, se mi odia,
quattro volte tu possa odiare, e se mi ama, amare;
eh sì, per Ganimede bei capelli, o Zeus celeste,
anche tu un tempo amasti – altro più non dico.
 
 
 
 
Τὸν τὸ καλὸν μελανεῦντα Θεόκριτον, εἰ μὲν ἔμ’ ἔχθει,
τετράκι μισοίης, εἰ δὲ φιλεῖ, φιλέοις,
ναίχι πρὸς εὐχαίτεω Γανυμήδεος, οὐράνιε Ζεῦ,
καὶ σύ ποτ’ ἠράσθης – οὐκέτι μακρὰ λέγω.