Per esempio – Roberto Sanesi


Sono trascorsi ormai oltre vent’anni dalla scomparsa del milanese Roberto Sanesi, poeta, traduttore, critico d’arte, cultore in specifico della letteratura anglo-americana, eppure la sua è e resta una poesia che si conferma straordinariamente attuale, attenta all’essenziale, imbevuta di molteplici influssi europei, ricettiva e costantemente aggettante su una dimensione della parola che reca in sé il “dramma” della finitudine. Nell’opera in oggetto dal titolo Per esempio (Interlinea Edizioni, 2022), apparsa postuma per le cure di Giuseppe Langella, sono raccolti versi inediti, tutti risalenti al periodo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila. Con Sanesi, è ormai assodato, viviamo l’incantamento dell’esistenza, scevro però da orpelli o taumaturgiche situazioni e troviamo una assidua proliferazione di visioni, di bagliori di pensiero, di lampi fugaci verso territori altri che talvolta si scontrano con l’imperitura, travagliata realtà. Figlio di un’epoca di orrori (nasce, come sappiamo, nel 1930, quando i regimi fascisti e comunisti sono in fase di consolidamento e di lì a poco il nazismo orienterà i suoi tentacoli su tutto il continente) Sanesi è ben conscio che non ci si debba rifugiare nei vaticini di sterili propalatori di verità rivelate bensì accogliere il suono, l’armonia della natura («un archivio delle meraviglie») a cui assistere con stupore e deferenza lungo «il millennio che si sgretola». Ciò non deve tuttavia limitarci né velare la nostra percezione poiché la bellezza dell’universo può stare anche nel «glicine non concluso», in un fiore che diventa un «fallimento» e ci conduce, questa mancanza di sguardo, questa impossibilità di osservare il cerchio che si chiude, a rattenere tutta la fragilità dell’uomo e del cosmo.

I versi di Sanesi ricorrono qua e là ad ossimori per rafforzare un concetto, l’accezione di una parola o di un’espressione per non tacere del ricorso a un uso sapiente, parco, calcolato di termini stranieri o scomparsi a rendere universale un’astrazione poetica. Lungi da ogni pretesa di moralità e men che meno di moralismi, come questo nostro tempo invece sembra saturarci, Sanesi pone sul tappeto il tema della violenza della parola, dell’ignominia del verbo (e che dire dei social negli anni di tregenda che attraversiamo?) tale per cui «è perfino conveniente al pensiero morale» «la variabile oscurità del dettato»: porsi dunque in una condizione di tenebra della conoscenza, con i dovuti distinguo, non è rinuncia al rapporto umano bensì fuga/lontananza dall’horribile dictu.

Emerge lungo i versi la sapida esperienza di traduttore che al di qua della «riva» di poeta mostra come Sanesi sia in grado di percepire con straordinaria lucidità la traslazione del significato di un termine da un idioma all’altro preferendo quello che maggiormente si adatta e più si fa resiliente all’architettura del componimento. E analogamente egli ci invita a mantenere desta l’attenzione al «rumore continuo della vita» di cassoliana memoria, laddove la lingua della natura, per esempio degli uccelli, «è lo spazio che abbiamo attraversato senza sapere», in ciò marcando una defaillance tutta umana alla inavvertita bellezza del creato. Echi di fragilità risuonano in alcune strofe, segnatamente «Per il momento» laddove emerge tutta l’incertezza sul valore, sulla verità della ragione:

Certo ci vuole una particolare
disposizione dell’animo, a volte può bastare
un chiodo, una mandibola,
la foto di un sospetto a intorbidare
la trasparenza della ragione, la sua
fragile costruzione –
                      solo un fedele onanista
si attiene all’evidenza virtuale,
giura in tempo reale
sulla sua verità

Si diceva più sopra dei fantasmi, delle immagini ricreate dalla mente: la poesia sanesiana è fortemente visionaria/concettuale poiché raccoglie stimoli, influenze, accadimenti, flussi di coscienza, reminiscenze, scarti del pensiero che la vivacissima esperienza umana e intellettuale di questo originale autore contemporaneo ha introiettato: così il tempo viene bypassato, ingannato da quelle voci e quelle ombre che «sopravvivono alla maturità» e che ora spaventano, percuotono l’animo e ci richiamano alle nostre responsabilità. Ed anche il giuoco solleticante della spiritualità applicata alla geometria, dove tutto si tiene tra le virtù teologali (come ben noto, tre) e i lati del triangolo si fondono in un unico pensiero.

Andando tra i versi, accogliendo il loro più spontaneo senso, si viaggia nel tempo e nello spazio (la regina Vittoria, la Cornovaglia, la Corea, Stazio, la Divina Commedia, i miti greci), in territori desolati e sperduti, in tutta quella vastità terrestre che Sanesi ha calpestato o studiato assaporando, grazie a una curiosità intellettuale mai doma fino alla fine, altre culture, altre conoscenze, altre discipline, tra cui la fenomenologia e i territori ad essa afferenti (memore degli insegnamenti ricevuti da Husserl ed Enzo Paci).

Ed è anche con riguardo ad essi che nasce la volontà di titolare la raccolta di cui in oggetto Per esempio, una sorta di invito, scrive con acume Langella, a mantenere lucidità di giudizio e capacità di liberarsi da artifizi, luoghi comuni, pregiudizi, per porsi in una posizione «esemplare» di ascolto, di riflessione. Così si addiviene a una scrittura proteiforme, variegata, vorace, intrisa di esotismi, avanguardia e sperimentatrice di un dire nominante cose «che resistono all’emozione», in direzione della conoscenza che è seme e alimento di ogni profonda costruzione poetica purché il viaggio dell’esistenza non tolga troppo tempo per saper ascoltare e ascoltarci.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Passano a volte rapidi, imbastiscono
suggerimenti, adii, vegetazioni
che strisciano verso la Stimmung: che cosa
avverte la durata, la misura
dei nomi in prospettiva?
Rabbrividiscono.
Fingono di spiegarsi.
nelle distese che sostano accanto
ai confini invisibili di un sonno
durato troppo a lungo
restano ancora segni.
Tutti i colori e i letti dell’autunno.
 
 
 
 
 
 
Perché portare a termine
Quando nessuno, in giardino,
ha mai visto il mio glicine concluso.
Se allora fosse il fiore il fallimento,
questa, diremmo, è la bellezza del mondo,
la sua esperienza visibile
 
 
 
 
 
 
Gli amici ormai parlano solo dell’aldilà,
ascoltano il millennio che si sgretola,
distesi a terra appoggiano l’orecchio
al minimo brusìo, come se il fragile
tegumento, un oracolo, il corpo, una specie
di pergamena enigmatica,
potesse rilasciare indiscrezioni
di qualche utilità.
                       Ma non sarebbe altro
Che una modesta, ansiosa e prevedibile
Predizione di sonno, quando il verde affonda
Nella sua primavera, e già disegna
Un altro archivio delle meraviglie,
mentre il dove e il quando
discutono tra loro.
 
 
 
 
 
 
Dice ho perduto la parola come
si perdono i guanti, gli occhiali.
Gli resta soltanto
la parola parola,
e non sa cosa farsene. Alla fine
l’immagine descritta altro non è
che la sua interpunzione a metà del segno,
la siepe,
la piega che giustifica
questo insolito bianco da naufragio.