Asterischi – Emilio Di Stefano


Asterischi - Emilio Di Stefano

Asterischi, Emilio Di Stefano (Samuele Editore, 2021, collana Scilla, prefazione di Vincenzo Guarracino, saggio conclusivo di Marisa Brecciaroli).

 

Se dovessimo racchiudere la poetica e più in generale la filosofia esistenziale di un autore come Emilio Di Stefano che già vanta significative note critiche di autori come quella dello stesso prefatore della raccolta Vincenzo Guarracino basterebbe affacciarsi sui territori affidati ai versi iniziale di quest’opera laddove egli, con notevole resa prospettica, afferma di stare

 

nell’ozioso brulicare dei pensieri
a riscaldarmi vergognoso
in ogni attimo ubriaco di sole

 

Una sorta di girasole montaliano che ama ‘impazzire’ di sole e di luce mentre l’esistenza si produce vorticosa, affastellata nei meandri più o meno recònditi della mente. Il poeta rammenta i percorsi dell’infanzia e di un tempo ormai consegnato al ricordo ed è proprio nel “riportare al cuore” ch’egli intravede quel barlume di gioia strozzata nel “pallone da cinquanta lire” orribilmente squarciato dall’anonimo vicino, una sorta di presagio del male che l’esistenza reca in sorta all’uomo a mano a mano che si acquisisce piena coscienza di sé:

 

insieme al grido che s’era fatto tardi
per fare qualcosa di ogni cosa

 

rendendo così vacuo il persistere di un’emozione, la progettualità, il rincorrere una serenità quotidiana mentre

 

si consumava, banale e naturale,
l’inesplicabile rigurgito del male

 

Tornano sovente nella poesia di Di Stefano le ‘malvagie cose’ che eruttano come lava creando una sorta di torpore malinconico come nel ricordo dell’animale scuoiato “in un inferno di grugniti” o la similitudine che rinveniamo tra la persona e il borgo fonte di disincanto e disillusione

 

Triste,
come un paese senza piazza
e senza scuole;

 

che anticipano la sensazione di distanza, assenza, vuoto in un silenzio quasi irreale e, pertanto, fragoroso nel suo inesplicabile significato. L’autore ricorre sovente all’utilizzo proprio dei “silenzi” che appaiono talvolta “disamorati” o elementi necessari per ascoltare

 

gocce di luna nell’aria
che raccontano favole

 

che suggella uno dei versi più puri e cristallini con la tremolante, morente luce della sera a inazzurrarsi nell’occaso.

Ma non possiamo dimenticare o omettere che in omaggio al titolo della raccolta, Asterischi appunto, s’ha da cogliere, da vagliare attentamente il messaggio che l’autore intende lanciare e che sovente va oltre, al di là dell’immediata configurabilità etimologica del termine o dell’espressione, come ci aiuta a comprendere questo verso finale di una delle poesie contenute nel volume:

 

e l’asterisco pareva rimandare
alla nota concludente,
la sinossi a pié di pagina mancante

 

C’è, ordunque, una mancanza, un non detto che si fa strada qua e là sul rigo e che richiede un’ulteriore opera di comprensione dopo la presa visione dello scritto. In materia è più che egregio il lavoro promosso da Marisa Brecciaroli in appendice con l’approfondita lettura psico-critica dell’intera opera che dispiega spunti anche notevoli.

Se poi vogliamo soffermarci sulla concezione quasi panica della natura in Di Stefano avremmo gioco facile a recuperare suoni onomatopeici, descrizioni di vite anche ipogee, immagini di animali che costellano le pagine, forma primigenia di una pertinente, quasi compulsiva osservazione di ciò che sta intorno a sé e che egli ha così bene introiettato:

 

Perfino i cardi avevano sorrisi
quando accarezzavi spine
bagnandoti le dita
nell’umore di ogni frutto
come coi fiori nel nettare le api
e dal giardino mi dicevi.

 

La natura, apprendiamo, non è corrotta né si può corrompere:

 

la rosa anche se perde un petalo
resta tale

 

mentre l’uomo è preda di vizi, contorcimenti morali, brutture ideologiche. Ed allora non resta che cogliere e riconoscere quel dono, “spina della nostalgia” per richiamare l’ultimo Caproni,

 

e sentire
il pianto che affratella
il piano immensa vetta,
la forza onnipotente dell’inchino

 

Eliminando in noi gli orpelli della superbia e della vanità troveremo, forse, il senso più vero dell’esistenza, sembra in conclusione dirci Di Stefano:

 

E in quell’attimo accogliere
felice ogni alito di vita

 

Federico Migliorati

 
 
 
 
 
 
Asterischi
 
C’era scritto sulla costa dell’ultimo libro,
lì, sulla destra, al quarto scaffale dell’esagono sacro:
“Paralipomeni”.
 
E dentro le pagine intonse,
in un quasi vergognosissimo romantico brusio,
le traversine, le aspre e sconosciute balze
posavano in uno slargo da confino.
 
Più avanti, rannicchiate, si raccontavano
le foto di Delia e di Guevara,
le ricette stilate a mano da Lucia,
l’adulta dottoressa adolescente
che si accaniva coi ragguagli sul mio cuore
 
Restavano tra i nodi gli “inutili davvero”:
i vinili da scartare per i graffi,
i rossi bevuti per piacere,
e quelli consumati
per volti e seni da tempo senza nome,
compitati nei disegni infantili alle pareti.
 
Tra quei residui inanimati,
argenteo il pesciolino dei libri
aveva lasciato la sua traccia;
e l’asterisco pareva rimandare
alla nota concludente,
la sinossi a piè pagina mancante.
 
 
 
 
 
 
Mattino
 
Come le stelle all’aprirsi del giorno
arrendersi
per bagnarsi di fresco
prima che scaldi l’asfalto.
 
Lasciarlo poi scivolare quel dito
su incerti capelli di case,
su cime di abeti recisi da tagli impudenti.
 
Poi, sul limpido sbreccato dell’aurora,
fermare a memoria
lo stridere acuto del grido
di ogni innocente mattino.
 
 
 
 
 
 
L’aquilone
 
Va tra licheni arrugginiti
il canto di trecce imbizzarrite
nel filo d’arpa all’improvviso ingarbugliato.
 
Piange il bambino
ed è inutile tormento per quei nodi
la parola raccontata:
il soffio d’aria,
l’invisibile tappeto sulle ali.
 
Più su dei sassi rugosi
si librava, forse, l’odore di marzo.