Anche se viene notte è solo un’aperta luce – Biagio Accardo

Biagio Accardo
 
 
 
 
Fammi tornare alla fonte
dove abbiamo raccolto acqua
da bambini: vorrei metterla
ancora nelle brocche
e impregnarmi del suo sapore.
Fammi rifare il bagno
in quella pozza, nonostante
il fango. Fammi risentire addosso
il sapore di quel primo dio.
 
 
 
 
 
 
Non intorbidirti con me, resta alta,
lontana, resta tua; però ti prego
non preservarti, dividiti ma resta una;
alloggiati nei distretti della vita,
ma sappi sempre dove tornare;
accompagnati a ciascuno di noi
e resta fedele al gradino della tua casa.
È alta la tua scuola, sa di orizzonti
che si sfanno, di cieli che si stingono.
Tu passi col tuo piede leggero,
invaghita solo di ciò che non muore.
Insegnami tu il tuo sguardo, insegnami
a vedere, a guardare dove già è oltre.
 
 
 
 
 
 
Sono aspre le mie montagne, e il suo
raro bosco non tradisce la sua vocazione
ad essere bosco. Qui la voce di Dio
può aprirsi strade tra le fessure
delle pietre, lungo i brulli sentieri,
i rovi che tagliano la strada.
Qui anche tu potrai sbalordirti
della pigna che cade, del ramo
che spezzi, della gazza che ti osserva
dal folto dei rami. E potrai qui
ascoltare delle voci. Non confonderle
con i tuoi pensieri: quelle voci ti sono date;
quelle parole ti nascono dentro
quando tutte le altre tacciono;
sono il nostro presente e il seme
del nostro futuro. Con loro
la ferita si chiude e anche se viene notte
è solo un’aperta luce.
 
 
da Ascetica del quotidiano (Samuele Editore, 2019)
 
 
 
 

Ascetica del quotidiano di Biagio Accardo è un libro importante. Affermazione che solitamente va evitata quando si parla di Poesia ma nel caso specifico è più che azzeccata in quanto intercetta non tanto il valore, ad ogni modo indiscutibile, del libro, quanto il suo contenuto e l’approccio che l’autore muove verso esso.

Dio, questa domanda importante e necessaria quanto controversa, viene vissuto come un elemento “fratello” dell’uomo, sofferente quanto lui, assente non di rado quanto lui.

Muoversi tra le strade della vita non è mai semplice, ma Accardo è capace, con la consapevolezza di un lettore della poesia classica ma con un piglio del tutto contemporaneo che prescinde dalla propria territorialità (l’autore è siciliano, ma va ben oltre le istanze della poesia siciliana), di contare le parole dando ad esse il giusto peso, la giusta misura.

Il verso è sempre calibrato, armonico e mai dissonante. Il grumo contenutistico, a tratti di luziana e ad altri di caproniana memoria (il Caproni de Il franco cacciatore), tende in un unicum compatto a fotografare realtà e riflessione senza abbandonare la complessità di un dettato necessariamente intricato (quanto è intricato il pensiero umano di Dio, e il suo bisogno, e parimenti il vivere in questa terra).

Ma più di tutto è l’umiltà sottesa e mai esposta che fonda il verso stesso, il sangue e le cartilagini delle parole. Un’umiltà quasi sapienziale, di chi ha vissuto una vita osservando e imparando. Un’umiltà che abbandona la retorica della verità per affondare, a tratti dolorosamente, nella poesia dell’umano.

Che chiede, che ha bisogno, di Dio quanto degli uomini. A volte li trova, a tratti fa più fatica. Ma, come ci insegna Accardo con la sua poesia, purtroppo questo è il nostro vivere.

Importantissimi gli ultimi versi: “Con loro / la ferita si chiude e anche se viene notte / è solo un’aperta luce”.

 

Alessandro Canzian