Ancestrale – Goliarda Sapienza

Quella di Goliarda Sapienza è una poesia intima, ma altamente sociale. Il titolo Ancestrale (La vita felice, 2013, prefazione a cura di Angelo Pellegrino, postfastione di Anna Toscano) richiama alla forma una parola primordiale, quasi nascente. Un’opera che ha raggiunto il lettore solamente dopo cinquant’anni dalla sua stesura. Sapienza, infatti, non ha voluto mai pubblicare i suoi testi. «Tu hai mani di uomo pesanti / sul mio seno pesanti / legano le mie vene in nodi /di febbre». In tutta la raccolta si respira una vita di carne e verità, si sente nuda la gioia e la desolazione umana, rispecchiando appieno i tempi di un’Italia degli anni Cinquanta. La purezza dell’autrice traspare in ogni verso; lucida visione di una donna libera oltre il suo tempo, pioniera di un femminismo che non aveva ancora visto la luce. Non esiste in tutta la sua opera una struttura stilistica ben definita: si tratta di perle incastonate in versi, slacciate da ogni forma, da ogni pregiudizio o confine.

La scrittura di Goliarda è asciutta, essenziale, scatti di una realtà liberata da ogni orpello. Una poesia a tratti aspra che non ama gli aggettivi e che predilige un verbo all’infinito, quasi a voler rendere eterni i sentimenti. Ancestrale è soprattutto una raccolta dolorosa, che svela i suoi drammi personali: la perdita della madre (Maria Giudice) e una maternità tanto desiderata, ma che a causa di una malformazione congenita non sarà possibile. «Ventre vuoto / bara senza fondo / notte d’agosto / grida le sue stelle». Tanta sofferenza e nessuna vera rassegnazione. Un grido silenzioso e nascosto tra le pareti del cuore.

Se il poemetto alla madre è una lunga epigrafe funerea, quello dedicato al padre è la glorificazione dei luoghi cari, dei ricordi vivi e sentiti: «M’insegnasti un amore senza dio / un amore difficile terreno / per le donne e i carusi del quartiere / nero grumo di lava sotto il sole». Un modo di vivere e leggere la realtà con occhi a tratti disillusi, ma carichi di umano. «M’insegnasti a discernere l’afrore / della fame rappreso nei capelli / dell’amica di banco a non temere / il nitore sprezzante del suo basso».

Il libro si conclude con una sezione di poesie in dialetto siciliano. Liriche che non contengono nessuna traduzione in italiano, dunque, lasciate libere di esistere. Ennesima dichiarazione di una Goliarda senza filtri, nuda e coraggiosa nella sua essenziale bellezza. Quasi metafisica.

Patrizia Baglione

 
 
 
 
La muffa del silenzio germina ombre
fra i tuoi e i miei capelli.
Schiude i tuoi polsi
al buio delle mie palme. Alla finestra
la notte gira su cardini di stelle.
 
 
 
 
 
 
A te che hai gli occhi
azzurri
e i gesti lenti
e ti guardi le mani e non mi vedi
non restarmi vicina
non cercare
dalla sabbia calore
con quel gesto
che i miei sensi rallenta
e il mio sangue
trascina
in tramortite nostalgie.
 
 
 
 
 
 
Resta vicino a me ti prego
poco resta al biancore dei miei seni
e presto di fiori di carta le mie labbra
senza sangue saranno
senza domande.