Amore a posteriori – Canto per voce sola, Alessia Bronico (Edizioni Ensemble, Roma, 2021).
Il silenzio, la nuda parola, la sensibilità spiccata, il sentimento che promana talvolta voluttuoso talaltra candido connotano il verso di Alessia Bronico, una delle voci più limpide della poesia contemporanea (classe 1981), la cui silloge in oggetto si è distinta in diversi premi letterari e si inserisce nel solco di una già buona produzione sinora edita. Autrice affermata anche nella narrativa, ricordiamo solo il “Premio Internazionale Città di Como” assegnato nella sezione Inediti al suo romanzo Splendora in corso di presentazione in varie città italiane, la poetessa di Atri (la “Regina delle colline”), ma da tempo residente sul Garda, impregna la sua scrittura di un forte sostrato musicale, derivantegli da una profonda conoscenza del settore (è, tra l’altro, diplomata in Canto nonché docente di Educazione musicale nelle scuole secondarie).
E sono le note, come su un pentagramma, a battere tempi e ritmi dell’esistenza, tra cadute e risalite, felicità e disincanto, accecanti tumulti del cuore e rarefatte immagini, spossessamento e ardore. Prendiamo ad esempio una delle poesie iniziali: “Vado nella direzione opposta: la vita” che rima idealmente con un’altra più oltre “la menzogna più grande è quella di essere sopravvissuti”: È evidente una rottura evidente con tutto ciò che è effimero, manchevole, superficiale, mentre si segue il flusso dei “moti dell’animo” che è spesso travaglio e sofferenza, inebriante pur nella mancanza dell’altro, refrain ciclico della raccolta in questione. In questo canto-poesia che riceve l’insigne prefazione di Nadia Terranova, la quale parla di voce che “piano piano diventa adulta e matura”, è un dialogo in punta di penna tra le due arti: si vive di sussulti, come onde del mare, si alternano gli epigrammi, gli schizzi visivi che balzano luminescenti alla vista, quadri e stanze di un procedere vitale. C’è, fra le righe, una perenne sensazione di incompiuto, di tensione assoluta verso un obiettivo (“siamo ipotesi/da tenere in sospeso/ tra la vita e il compimento”). A parlare è sovente il silenzio, condizione a cui la poetessa si sente intimamente connessa tanto da “scoprirsi” tale, in un frenetico andirivieni: l’assenza di rumore, ma anche di parole amplifica e fornisce echi lontani di languori accennati. Non esistono più dimensioni, così “i cantucci di futuro” assumono le sembianze delle “persone che amo” che “tengo nella mano”. In Bronico è un ampio, costante navigare onde del sentimento, perennemente abbacinati dallo stupore e da un senso di meraviglia da introiettare di fronte all’avverarsi dei fatti e delle condizioni. È così possibile che la poesia si rinvenga anche “nelle cose insensate”, in ciò che sta oltre il postulato della realtà, fuori dall’hic et nunc, per assumere un suo spazio vitale, nell’universalità del rapporto armonico col mondo musicale. In questo perpetuo, assillante rivolgersi alla figura dell’amato, nel richiamo diuturno alla sua assenza-presenza giocata su semplicità e profondità al tempo stesso, l’autrice abita anche i territori di un eros fremente (il tempo forte, in musica) che funge da suggello nel richiamo dell’altro.
Seguire i moti dell’animo richiede perizia e coraggio: è ciò che la poetessa affronta in questa composizione “per voce sola” invitando ad assecondare la bufera “e far finta d’annegare”, prendendosi gioco in qualche misura del destino, beffandolo. Come in “Splendora” ecco inoltre manifestarsi l’animale-totem dell’autrice, l’upupa, cara pure a Montale, che assieme al pettirosso condivide con noi “questa lingua di terra”. Eterni elementi sono il mare, il vento, la pioggia, visioni che appaiono e scompaiono come sfondi (e sottofondi) delle azioni e delle parole, per poi far abitare la mente da quella terra d’Abruzzo al contempo aspra e dolce, mutevole e selvaggia, che le ha dato i natali e il cui dialetto marcato compare a chiusura della silloge nella “voce originaria”: la scrittura conduce ora a uno straniamento, figlia di un vivace candore. Narra di un fuoco che tutto accende, “il paese, il cuore, l’amore”, è fiamma creatrice ed alimentatrice, musica che tocca le corde dell’anima. Ogni cosa si tiene nel verso che dispone le pedine in maniera ordinata: il sentimento, il tempo, la natura, periclitanti se non ci fosse, giustappunto, un amore a posteriori a custodire tanta grazia, la sola Parola da lasciare in eredità.
Federico Migliorati
riposo di baci
mi dedichi al mattino
ritmo tètico di carne alla carne
fiocco di burro
tra le tue labbra sode
ritmo tètico di fiato in fiato
siedo accanto a te che non parli
perché mi ami, mi guardi grande
sperando sia io a suggerire parole
invece cominciamo a passeggiare
: non voglio più che tu mi veda né che tu sia mio:
sono un petalo leggerissimo
da soffiare via