Ad ora incerta – Tomaso Pieragnolo

pieragnolo
 

Esce, per i tipi della Rivista LaRecherche.it al numero 164 (a dimostrazione di un lavoro presente già da tempo), l’Antologia di traduzioni curata da Tomaso Pieragnolo Ad ora incerta. Un’opera tanto importante quanto interessante di un poeta capace di versi quali Ma giunge infine un giorno uguale / a tanti giorni con degli uomini lo stesso / rumore, il pari rifiuto infuriato e luce / che invade tremando, un mattino palpitante / di pesci vivi e vesti sventolate / sopra i rami asciugando sudori, il simile / giorno di un uomo e di una donna / spaventati dalle certezze, che uniscono / i loro piedi nel semibuio per toccare / il mistero azzurro di un nuovo cuore / che saluta il mondo. E che anche in traduzione non delude le aspettative.

Una collezione di poeti spesso sconosciuti in Italia (Francisco Ruiz Udiel, Norberto Salinas, Ana Istarú, Adriano Corrales, Rodolfo Dada, Osvaldo Sauma, Magda Zavala, Gloria Gabuardi, Carlos Villalobos, Carlos Calero, Arabella Salaverry, Simon Zavala Guzmán, Teresa Melo, Xavier Villaurutia), di provenienza centroamericana, spesso inediti anche nel loro paese per quanto riguarda i testi proposti, usciti nella prestigiosa rivista Sagarana dal 2007 al 2013.

Del lavoro Pieragnolo stesso dice: Con questa seconda antologia di traduzioni “Ad ora incerta” che segue a distanza di poco più di un anno la precedente “Nell’imminenza del giorno”, si raccoglie integralmente un intenso lavoro di ricerca e di traduzione, che ho pubblicato dal 2007 al 2013 principalmente nella rivista Sagarana, proponendo per la prima volta in Italia la voce di poeti soprattutto centroamericani, al tempo ancora inediti e sconosciuti nel nostro paese. Di questo lungo viaggio, impegnativo quanto appassionante, ringrazio ancora mia moglie Rosa Gallitelli, senza la cui collaborazione ed intuito non sarebbe stato possibile presentare con la cura necessaria la totalità degliautori compresi nelle due antologie. Ringrazio inoltre gli amici poeti che mi hanno affidato i loro testi, spesso ancora inediti nei loro stessi paesi.

 
 
 
 
 

Francisco Ruiz Udiel

 
 
 
 
LASCIA LA PORTA APERTA
 
A Claribel Alegría
Sua Maestà

 
Lascia la porta aperta.
Che le tue parole entrino
come un arco tessuto da cipressi,
appena più leggere
della ineludibile vita.
Lontano è il porto
dove le barche di ebano
riposano con tristezza.
Poco mi importa giungere ad esse,
poiché lungo è l’abbraccio con la notte
e corta la speranza con la terra.
In qualunque luogo io vada
il mare mi scaglia lontano,
un’altra alba dove l’immaginazione
ormai non può convertire il fango
in vasi dove accumulare ricordi.
Mi stanco di svegliarmi,
la luce mi ferisce quando non voglio vedere.
Il viaggio ad Itaca nulla mi offre.
Se avessi almeno un poco di vino
per ubriacare i giorni che ci restano
ubriacare i giorni che ci restano
che ci restano.
 
 
 
 
EJA LA PUERTA ABIERTA
 
A Claribel Alegría
Su Majestad

 
Deja la puerta abierta.
Que tus palabras entren
como un arco tejido por cipreses,
un poco más livianas
que la ineludible vida.
Lejos está el puerto
donde los barcos de ébano
reposan con tristeza.
Poco me importa llegar a ellos,
pues largo es el abrazo con la noche
y corta la esperanza con la tierra.
Donde quiera que vaya
el mar me arroja a cualquier parte,
otro amanecer donde la imaginación
ya no puede convertir el lodo
en vasijas para almacenar recuerdos.
Me canso de despertar,
la luz me hiere cuando ver no quiero.
El viaje a Ítaca nada me ofrece.
Si hubiera al menos un poco de vino
para embriagar los días que nos quedan
embriagar los días que nos quedan
que nos quedan.
 
 
 
 
 
 
POESIA PER RESTARE IMMUNE
 
Reco una grata tra le mie dita
una prigione di vento che ti parla
toccami e sarò libero.
Reco due occhi che si aprono
grandi nella notte
e un abisso che separa
il mio corpo
da un altro corpo.
Quattro milioni di anni
mi imprigionarono
aria vuota in un fianco
e mi riconsegno al suolo
perfino la libertà atterrisce
nell’ultimo istante.
Non mi riconosco
in un’alba di traditori
in una lama ossidata
dall’odore dei miei morti
né nella fredda corteccia
degli alberi che attendono
sarà che già mi sono abituato
affinché sotterrino nei miei occhi
una sera amara
e due aghi di cielo.
Che altro può ferirmi?
 
 
 
 
POEMA PARA QUEDAR INMUNE
 
Llevo una reja en mis dedos
una prisión de viento que te habla
tócame y seré libre.
Llevo dos ojos que se abren
grandes en la noche
y un abismo que separa
a mi cuerpo
de otro cuerpo.
Cuatro millones de años
me encerraron
cuenco aire en un costado
y me devuelvo al suelo
incluso la libertad aterra
en el último instante.
No me reconozco
en una madrugada de traidores
en una hoja oxidada
por el olor de mis muertos
ni en la fría corteza
de los árboles que esperan
será que ya me acostumbré
a que me entierren en los ojos
una amarga tarde
y dos agujeros de cielo.
¿Qué más puede herirme?
 
 
 
 

Ana Istarú

 
 
 
 
IL MIO UNICO UCCELLO
 
Oggi indosso
la mia veste tenera.
E la casa è dorata
come un orcio di miele.
Oggi,
quando il cielo nuovamente ascendeva
sopra il mio albero
ho strappato d’un soffio
l’unico uccello che possedevo.
Mentre si allontanava,
sembrò che l’anima mi si colmasse di piume.
E un solo uccello attraversò il mattino.
Si starà dissanguando
sul tetto oscuro della tua casa.
Questa mattina l’unico uccello
che mi restava
si è spezzato fino a spegnersi,
aurora che si lacera.
Questa mattina,
quando il sole
seminava di margherite
tutti gli angoli.
La tua porta era chiusa.
 
 
 
 
MI ÚNICO PÁJARO
 
Hoy llevo puesto
mi vestido tierno.
Y la casa está dorada
como un jarro de miel.
Hoy,
cuando el cielo ascendía de nuevo
sobre mi árbol
he arrancado de un soplo
el único pájaro que tenía.
Cuando se alejaba,
parecía que el alma se me llenaba de plumas.
Y un solo pájaro atravesó la mañana.
Debe de estar desangrándose
en el tejado oscuro de tu casa.
Esta mañana el único pájaro
que me quedaba
se ha roto hasta apagarse,
aurora que se desgarra.
Esta mañana,
cuando el sol
sembraba de margaritas
todos los rincones.
Tu puerta estaba cerrada.
 
 
 
 

Simón Zavala Guzmán

 
 
 
 
VORAGINE
 
Se tu fossi qui e mi
domandassi
a che cardine devo
accostare
l’ora del mio destino,
a che molo deve ancorarsi
la vela della mia barca,
dietro quale sipario
devo lasciare il mio dramma quotidiano;
ti risponderei
dal profondo
che la mia ora sovrasta il percorso
e germina sotto il sole
e si sparge
come intermittente
territorio d’occhi;
che la mia nave
è un’arteria lunga, veritiera,
dove viaggia la linfa della
terra
come vegetale moltitudine
in cerca del giorno luminoso;
che il mio dramma
è il dramma dell’uomo,
la condizione del mais,
la resistenza
della città assediata;
un dramma
che cela un desiderio collettivo
di spezzare il pianeta
e porre intorno al mondo
un altro scenario.
 
 
 
 
VORAGINE
 
Si estuvieras aquí y me
preguntaras
en qué quicio tengo que
arrimar
la hora de mi sino,
en qué rampa debe anclar
la vela de mi barco,
detrás de qué telón
debo dejar mi drama cotidiano;
te respondería
de raíz
que mi hora está sobre el trayecto
y brota bajo el sol
y se derrama
como un intermitente
territorio de ojos;
que mi nave
es una arteria larga, verdadera
donde viaja la savia de la
tierra
como una muchedumbre vegetal
buscando el día luminoso;
que mi drama
es el drama del hombre,
la suerte del maíz,
la resistencia
de la ciudad sitiada;
un drama
tras el cual hay un deseo colectivo
de quebrar el planeta
y poner alrededor del mundo
otro escenario.
 
 
 
 

Teresa Melo Rodríguez

 
 
 
 
IL TERREMOTO
 
Nella terra breve che sgrano
fiori di cedro, felci, betulle:
segni del mutamento.
La gazzella di ieri
miagola nella mia carezza
nel luogo caldo delle vesti di sale.
Fiori di cedro
che non sono la tavola odorosa, la sedia tornita.
 
La farfalla che conosce i cieli annebbiati
volge in pesce il sogno per amare il pesce:
amano i pesci trasfigurati
la luce della vela.
Sono queste le canzoni che canto nell’oscurità.
Altri saranno i canti della luce
nella voce di mia figlia.
Lei non conoscerà i leggiadri affogati
che sostengono la piattaforma marina dell’isola.
Lei cercherà un’altra spiegazione
così sicura come questa, così inutile da descrivere.
 
Segni del mutamento
acqua in canasta è il nostro sapere:
scorre tra le pieghe della paglia
e torna al sito minerale.
 
Sono le canzoni che canto nell’oscurità
per nominare l’uomo
la sua vanità che si specchia,
i suoi tre metri di troppo.
La poesia ci veste di piccoli dèi,
di totem.
 
Conservo la poesia. Cullo
il poeta insieme ai leggiadri affogati
per calmare il loro pianto infantile,
la loro solitudine, la loro terrestre paura.
 
 
 
 
EL TEMBLOR
 
En la tierra breve que desgrano
flores de cedro, helechos, abedules:
signos de la transformación.
La gacela de ayer
maúlla en mi caricia
en el sitio cálido de las ropas de sal.
Flores de cedro
que no son la mesa olorosa, la silla torneada.
 
La mariposa que conoce los cielos aneblados
vuelve pez su sueño para amar al pez:
aman los peces transfigurados
a la luz de la vela.
 
Son éstas las canciones que canto en la oscuridad.
Otros serán los cantos de la luz
en la voz de mi hija.
Ella no conocerá a los hermosos ahogados
sosteniendo la plataforma marina de la isla.
Ella buscará otra explicación
tan cierta como esta, tan inútil para describir.
 
Signos de la transformación
agua en canasta es nuestro conocimiento:
escurre por los entresijos de la paja
y vuelve al sitio mineral.
 
Son las canciones que canto en la oscuridad
para nombrar al hombre
su vanidad espejando,
sus tres metros demás.
La poesía nos viste de diosecillos,
totems.
 
Guardo el poema. Al poeta
lo acuno junto a los hermosos ahogados
para calmar su llanto infantil
su soledad, su terrenales miedos.
 
 
 
 

Xavier Villaurutia

 
 
 
 
NOTTURNO MARE
 
Né il tuo silenzio, duro cristallo di roccia,
né il freddo della mano che mi tendi,
né le tue parole secche, senza tempo né colore,
né il mio nome, nemmeno il mio nome,
che pronunci come cifra nuda di significato;
 
né la ferita profonda, né il sangue
che sgorga dalle tue labbra, palpitante,
né la distanza ogni volta più fredda
lenzuolo neve di ospedale inverno
teso tra noi come il dubbio;
 
nulla, nulla potrà essere più amaro
del mare che porto dentro, solo e cieco,
il mare antico Edipo che mi rincorre a tentoni
da tutti i secoli,
quando il mio sangue ancora non era il mio sangue,
quando la mia pelle cresceva nella pelle di un altro corpo,
quando qualcuno respirava per me perché ancora non esistevo.
 
Il mare che sale muto fino alle mie labbra,
il mare che mi satura
con il mortale veleno che non uccide
poiché prolunga la vita e duole più del dolore.
Il mare che fa un lavoro lento e lento
forgiando nella caverna del petto
il pugno adirato del mio cuore.
 
Mare senza vento né cielo,
senza onde, disorientato,
notturno mare senza spuma sulle labbra,
notturno mare senza collera, fedele
a leccare le pareti che lo tengono imprigionato
e schiavo che non rompe le sue sponde
e cieco che non cerca la luce che gli rubarono
e amante che solo brama il proprio disamore.
 
Mare che trascina spoglie silenziose,
oblii dimenticati e desideri,
sillabe di ricordi e rancori,
sogni affogati di neonati,
profili e profumi mutilati,
fibre di luce e naufraghi capelli.
 
Notturno mare amaro
che circola in stretti corridoi
di coralli arterie e radici
e vene meduse capillari.
 
Mare che tesse nell’ombra la sua trama oscillante,
con azzurri aghi infilati
di fili e nervi e tesi cordami.
 
Notturno mare amaro
che inumidisce la mia lingua con la sua lenta saliva,
che fa crescere le mie unghie con la forza
del suo segno oscuro.
 
Il mio udito segue il suo segreto rumore,
sento crescere le sue rocce e le sue piante
che allargano e allargano le sue labbra e le dita.
 
 
 
 
NOCTURNO MAR
 
Ni tu silencio, duro cristal de roca,
ni el frío de la mano que me tiendes,
ni tus palabras secas, sin tiempo ni color,
ni mi nombre, ni siquiera mi nombre
que dictas como cifra desnuda de sentido;
 
ni la herida profunda, ni la sangre
que mana de tus labios, palpitante,
ni la distancia cada vez más fría
sábana nieve de hospital invierno
tendida entre los dos como la duda;
 
nada, nada podrá ser más amargo
que el mar que llevo dentro, solo y ciego,
el mar antiguo Edipo que me recorre a tientas
desde todos los siglos,
cuando mi sangre aún no era mi sangre,
cuando mi piel crecía en la piel de otro cuerpo,
cuando alguien respiraba por mí que aún no nacía.
 
El mar que sube mudo hasta mis labios,
el mar que me satura
con el mortal veneno que no mata
pues prolonga la vida y duele más que el dolor.
El mar que hace un trabajo lento y lento
forjando en la caverna de mi pecho
el puño airado de mi corazón.
 
Mar sin viento ni cielo,
sin olas, desorientado,
nocturno mar sin espuma en los labios,
nocturno mar sin cólera, conforme
con lamer las paredes que lo mantienen preso
y esclavo que no rompe sus riberas
y ciego que no busca la luz que le robaron
y amante que no quiere sino su desamor.
 
Mar que arrastra despojos silenciosos,
olvidos olvidados y deseos,
sílabas de recuerdos y rencores,
ahogados sueños de recién nacidos,
perfiles y perfumes mutilados,
fibras de luz y náufragos cabellos.
 
Nocturno mar amargo
que circula en estrechos corredores
de corales arterias y raíces
y venas medusas capilares.
 
Mar que teje en la sombra su tejido flotante,
con azules agujas ensartadas
con hilos y nervios y tensos cordones.
 
Nocturno mar amargo
que humedece mi lengua con su lenta saliva,
que hace crecer mis uñas con la fuerza
de su marca oscura.
 
Mi oreja sigue su rumor secreto,
oigo crecer sus rocas y sus plantas
que alargan más y más sus labios y sus dedos
 
 
 
 
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Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. La casa editrice Passigli di Firenze ha pubblicato il suo ultimo libro, il poema “nuovomondo”, finalista al Premio Palmi, Metauro, Minturnae, rosa finale del Premio Marazza e vincitore del Saturo d’Argento – Città di Leporano. Fra le sue precedenti pubblicazioni: “Il silenzio del cuore” (1985), “La lunga notte” (1987, Premio Giovani Città di Palermo), “Lettere lungo la strada” (2002, premiato al Città di Marineo e finalista al Guido Gozzano di Belgirate), “L’oceano e altri giorni” (2005, già finalista nel 2003 al Premio Libero de Libero inedito, poi Guido Gozzano di Belgirate e Ultima Frontiera e vincitore del Premio Minturnae Giovani). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). La sua attività di traduttore di poesia latinoamericana si è svolta in collaborazione con la rivista Sagarana, nella quale dal 2007 ha proposto principalmente autori del Costa Rica e del Centro America, mai tradotti in Italia, e con alcune case editrici, che hanno pubblicato le sue traduzioni di Eunice Odio (“Questo è il bosco e altre poesie”, Via del Vento 2009, Menzione Speciale Camaiore per la traduzione) e di Laureano Albán, (“Gli infimi crepuscoli”, Via del Vento 2010 e “Poesie imperdonabili”, Passigli 2011, finalista Premio Internazionale Camaiore, rosa finale Premio Marazza per la traduzione). Ha pubblicato inoltre l’antologia di traduzioni “Nell’imminenza del giorno” (ebook la Recherche, 2013).