Accogli con gioia la responsabilità – Ilaria Grasso

Accogli con gioia la responsabilità - Ilaria Grasso
 
 
Scatto n. 10
 
Un poeta ti parlò della vanità.
Lo prendesti in parola quando
ancora la parola sapeva avere senso.
 
E tu togli con costanza la vanità
da ogni cosa, anche da una rosa.
 
Ne rimane solo il vero
e sono anni che lo immortali
in bianco e nero.
 
 
 
 
 
 
Scatto n. 28
 
L’inganno è una ferita che non si cuce
nemmeno con l’immaginazione.
 
I lembi, molto spesso,
non sono rime che combaciano.
 
E il volto si copre di pianto.
 
 
 
 
 
 
Scatto n. 16
 
Accogli con gioia la responsabilità.
Non temere la solitudine, i fraintendimenti
che comunque ti capiterà di subire.
 
Se tu riesci a vivere in maniera retta,
se tutti viviamo in maniera retta,
non c’è bisogno di “qualcuno” che ci protegga.
 
Saremo tutti nel bene.
 
La giustizia diventa consuetudine serena
senza sofferenza, né pena.
 
 
 
 
 
 
Scatto n. 30
 
Ciò che di bello mi è capitato di vivere
non l’ho chiesto. È accaduto,
semplicemente.
 
La bellezza è un qualcosa che interviene
nell’esistenza e per certi versi ha a che fare
con il bene comune che manda avanti tutti
nell’universo.
 
 
(Ilaria Grasso, Pentax K1000 – Poesie per Letizia Battaglia, Ensemble, 2021)
 
 
 
 

La poesia di Ilaria Grasso è di impegno civile, il che non si riduce a una retorica della cronaca giornalistica o dell’episodio storico, ma è una concreta vocazione: sin dalle sue prime pubblicazioni (Epica quotidiana affronta sotto più profili il tema del lavoro subordinato, dello sfruttamento, dello straniamento, degli abusi di ogni genere e classe), il focus sui più deboli e sulle ingiustizie del nostro “ordine” sociale non è postura di stile, ma naturale e personale inclinazione.

Lo dimostra la naturalezza con cui un linguaggio senza particolari orpelli riesce a tagliare l’ipocrisia di costume per mostrare spesso scene insopportabili, che pretendono tutto il nostro sdegno, come invito a prendere fermamente posizione, e a non “sopportare”.

Ne è prova ulteriore questa nuova pubblicazione, che si sofferma sul personaggio di Letizia Battaglia: si affronta dunque l’impegno contro le mafie, l’emancipazione femminile nella società maschilista di quegli anni, il rapporto tra arte ed impegno civile “militante”.

I testi qui proposti, in verità, non vogliono reggersi “comodamente” su queste tematiche, ma vogliono, come ulteriore e conclusiva conferma espressiva, mostrare i testi più autonomi, al di là del tema civile, capaci di una propria e completa caratura stilistica e poetica, indipendente dalle tematiche affrontate: e così affiora che il primo impegno è la sottrazione della vanità dal reale per fare emergere il vero, simboleggiata dall’opera fotografica della Battaglia; emerge il rapporto tra i dolorosi inganni e il gioioso accogliere un vivere responsabile e retto; emerge, infine, la commovente epifania di una bellezza imprevedibile, istantanea ed incontrollabile, che allo stesso tempo muove il mondo e orienta verso un bene comune.

Il parallelismo tra poesia e fotografia è lampante nel primo testo: “un poeta ti parlò della vanità … quando la parola sapeva avere senso”, e la prima denuncia è nei riguardi dell’abuso del linguaggio in forme inflazionate, capaci di ridurre ogni cifra di significato al vuoto; “e tu togli con costanza la vanità da ogni cosa … ne rimane solo il vero … sono anni che lo immortali / in bianco e nero”. La poesia diventa possibilità di riflettere sulla realtà fino a misurarsi con essa con impegno e responsabilità; in questa immagine sembra quasi di vedere un manifesto del pensiero dell’autrice.

Nonostante sia chiara e lampante la presenza di contraddizioni dolorose nell’esistere quotidiano (“l’inganno è una ferita che non si cuce / nemmeno con l’immaginazione”, a riprova che la realtà sa essere dolorosa in modo inconfutabile), con un ulteriore richiamo alla poesia (“i lembi … non sono rime che combaciano”), nonostante l’afflizione venga mostrata nella sua natura fisica, innanzitutto (“il volto si copre di pianto”), la Grasso invita ad accogliere “con gioia la responsabilità” di combattere vanità e “inganni”, senza temere “la solitudine, i fraintendimenti / che comunque ti capiterà di subire”.

In una visione davvero collettiva (“se tutti viviamo in maniera retta … saremo tutti nel bene”) di un senso universale del giusto e del bene, “senza sofferenza, né pena”, l’autrice vede la prospettiva di senso estrema, una caratura di responsabilità unanime e generale. Nonostante la visione abbia un che di utopistico, la leggerezza (nel migliore dei sensi) con cui l’immagine viene tratteggiata la rende verosimile, desiderabile, concreta.

E infine, tutto questo viene collegato alla bellezza, un fenomeno che “è accaduto, / semplicemente”, senza essere richiesto, “un qualcosa che interviene / nell’esistenza” e “ha a che fare / con il bene comune che manda avanti tutti”.

Il vero, l’impegno, la giustizia sociale, dunque, si ricollegano infine al bello universale, che viene ritrasmesso come ideale ultimo di significato, relazionale e umano, per la parola della Grasso, con una concordanza sinergica di senso civico e vocazione alla parola poetica.

Mario Famularo