L’incoscienza del letargo – Mario Famularo

Un nuovo modo di presentare libri e poeti. Abbiamo chiesto ad alcuni amici di ritornare sui loro libri non per raccontarli ma per stroncarli, per ammetterne e dichiararne le debolezze, i difetti. Nasce così la rubrica Riletture che ha come focus appunto la rivisitazione critica dei testi pubblicati.

Alessandro Canzian

 
 
L'incoscienza del letargo - Mario Famularo

“L’incoscienza del letargo” è stato il mio primo approccio a una poesia, con tutte le necessarie riserve del caso, contemporanea, dopo diversi anni di esercizio, studio, e scritture colme di sovrastrutture linguistiche, tematiche, retoriche, metriche, ecc. ecc. L’intento principale è stato quello di rimuovere tutte queste sovrastrutture e lasciare la parola essenziale. Ma ci sono riuscito davvero? Dopo quasi tre anni dalla scrittura di questi testi, sono riuscito (forse) con maggiore lucidità a comprenderne i limiti e i difetti, e i punti deboli su cui tentare un ulteriore lavoro.

Prima di tutto: il linguaggio. C’è un’evidente tendenza nei primi testi del libro, soprattutto nella seconda sezione, a prediligere un lessico scientifico, e spesso questo non solo risulta in immagini forzate (se non addirittura inesatte, dal punto di vista tecnico), ma in un vero e proprio vezzo personale, più che una reale esigenza linguistico – semantica. Tanto è vero che procedendo nella raccolta questa caratteristica sfuma e svanisce.

Già questo aspetto ingenera una prima incoerenza stilistica, all’interno dello stesso libro. E mi sembra già un limite importante.Va poi aggiunto che, restando sulla seconda sezione (ma anche in altri testi, ci tornerò dopo), c’è una tendenza ad astrarre che rende alcuni versi davvero oscuri, se non incomprensibili, risultando in una lettura che lascia probabilmente un punto interrogativo nel malcapitato lettore. Questo non può che essere stato causato dalla inesperienza di fronte a un linguaggio (per me) nuovo, ma in fondo questa “impalcatura astraente” non è che l’ennesima sovrastruttura, che va a sostituire quelle precedenti. Che va rimossa.

Secondo aspetto: quello metrico, e relativo alla lunghezza del verso. Non senza una certa presunzione (ho pensato all’Ungaretti più scarnificato, ma è peccato fatale fare certi pensieri), ho prediletto dei versi franti, dissimulati, che consentissero diverse letture, a seconda delle possibili inarcature tra un verso e l’altro. Mi spiego meglio: un passo come

e il padre
sorridendo continua
a passeggiare

non sente il
risuonare
del gelo che li
attende

può essere letto in diversi modi, complici le cesure e l’assenza di punteggiatura. Ad esempio: “e il padre, sorridendo / continua a passeggiare. / non sente il risuonare / del gelo che li attende”. Quattro settenari di seconda, e un ritmo piuttosto conchiuso. Ma può essere anche letto con una pausa ad ogni cesura, e senza alcuna inarcatura (o enjambement, se preferite), o in una qualsiasi combinazione delle stesse. Questo può ingenerare un’eccessiva ambiguità, con il risultato che il testo può essere letto in troppi modi, e alla fine lo scrittore se ne è lavato le mani, senza offrire una lettura ritmicamente univoca.

I problemi non sono finiti. Tornando al discorso sulla tendenza ad astrarre, che più volte assume anche toni vagamente didascalici (lungi da me voler insegnare o spiegare qualcosa, e questo è certamente un limite, se così appare, e un mio errore), molti testi mancano di un referente concreto. In alcuni è evidente il riferimento ad episodi reali, o quanto meno verosimili: vi sono immagini, eventi, soggetti. Ma in molti altri testi questi referenti sono del tutto assenti, lasciando di nuovo il rischio terribile del “punto interrogativo” in capo al lettore.

C’è infine un discorso prettamente contenutistico, da affrontare. Il libro appare ambizioso, e questo può risultare indigesto; i temi trattati, il tono utilizzato, le modalità con cui sono trattati, anche se il fine è quello di affrontare il nichilismo in tutta la sua forza per arrivare a capire se c’è qualcosa di essenziale che non può essere rimosso (e deve essere custodito), possono risultare eccessivi, e far storcere il naso a più d’uno.

E da qui si arriva al problema finale, che non è mica da poco: l’autonomia dei testi. Sono abbastanza convinto che la maggior parte dei testi della raccolta, con poche eccezioni, abbiano poca autonomia, e “funzionino” meglio se letti tutti insieme, in sequenza, indebolendosi oltremodo, se presi singolarmente. Questo denota certamente un limite e un ulteriore elemento insoddisfacente, su cui è necessario lavorare con pazienza e attenzione.

Il libro, con tutti questi limiti e punti di partenza su cui lavorare, non presenta, pertanto, “punti di arrivo” solidi, ma più che altro segna l’inizio di un lungo e nuovo percorso da affrontare con umiltà, studio, e continuità.

Mario Famularo

 
 
 
 
gli occhi moderni
drappeggi di luci artificiali
l’esperienza della vista sedentaria
la pigrizia di una ricerca
insignificante
 
il risultato della conoscenza
del viaggio
l’immediatezza della percezione
mediata
dalla macchina
 
e crepita
tra le fessure invisibili
dissimulate, incorporee
la vertigine dell’assenza
che si è fatta
endemica
 
il bisogno di spegnere tutto
ricevere il desiderio
del silenzio
assaporare l’aspirazione deviata
alla rinuncia
per dormire, finalmente
 
e sentire scivolare addosso
confortevole
uno sterminato senso
di vuoto
 
 
 
 
 
 
il signore è
congelato
 
sussurra una bambina ai
genitori
cristallina
 
la postura
controllata del
bronzeo italo
svevo
 
e il padre
sorridendo continua
a passeggiare
 
non sente il
risuonare
del gelo che li
attende
 
 
 
 
 
 
l’impero degli oggetti
promessa inanimata
di qualche utilità
 
nessuna differenza
tra le città di pietra
i grani del deserto
e i monti del
distacco
 
intorno solo cose
inutili o adeguate
nel lampo discontinuo del
capriccio della
vita
 
resisti alla lusinga
di diventare
oggetto
 
conserva l’eccezione
microscopica di
esistere
 
rallegrati per
oggi
 
perché il domani
assolve la coscienza
deteriore
 
quasi un’anomalia
nell’integro inorganico
sentire il proprio corpo
in uno sconfinato
difetto di
coscienza
 
ricorda
la vita non
ritorna