La strofa saffica (esercizio)

 

Questa volta tratteremo la più diffusa (forse) delle forme “barbare” adattate alla nostra prosodia: la strofa saffica.

Tale strofa può essere resa, nella nostra prosodia, con una strofa tetrastica di tre endecasillabi con varia accentuazione (che conservino naturalmente un’accentuazione canonica a minore o a majore), più un adonio, reso con un quinario con (eventuale ma consigliato) accento secondario di 1°.

L’adattamento “ideale” della strofa saffica nella prosodia italiana, a mio parere, è dato da tre endecasillabi a minore che riprendano gli accenti dell’ultimo verso, e dunque quello di 1° e quello di 4°, e un andamento dattilico (e dunque un accento fisso di 7°).

Le soluzioni sono però diverse, e spesso gli adattamenti combinano semplicemente tre endecasillabi e un quinario, con diversi andamenti.

Qui di seguito riporto la trasposizione più diffusa, mantenendo gli accenti dell’adonio nell’endecasillabo:

 
Tre endecasillabi saffici:
 
1°, 4°, (6°) / (7°) / (8°), 10°
(7° per conservare un andamento dattilico)
 
Più un adonio, reso con un quinario di 1°:
1°, 4°
 
Esempio:
 
Tutto ricorda nell’animo umano
L’umile belva ch’un tempo siam stati:
Tu lo rinneghi, inebriato dal vano
Lume dei Vati.
 

Propongo inoltre una diversa versione che riprende gli accenti classici, con un endecasillabo “non canonico” (di 5°):

 
Tre endecasillabi saffici:
–U–U– | UU–U–U
1°, 3°, 5°, 8°, 10°
 
Un adonio:
–UU–U
1°, 4°
 
Esempio:
 
Sveli antico il morbo di quest’affetto,
preso appena il lume da tanta cura:
no – mi dici – mai sentirai a te stretto
l’astro futuro.
 
Traccia:
 
TEMA = libero.
 
METRO = endecasillabi e quinari.
 

SCHEMA = quattro strofe saffiche rimate ABAb, formate da tre endecasillabi e un quinario oppure da tre “endecasillabi saffici” 1°, 3°, 5°, 8°, 10° (adottare una sola soluzione per il componimento), e un “adonio” 1°, 4°.

 
Esempio:
 
Chi oggi t’ignora t’amerà, o Citera,
delle tue schiume inebrierai l’umani:
chi già l’ammette, t’offre voti e spera
dolce il domani.
 
Ché pur tu prendi dell’Egioco i moti,
hai avvinto Febo, e i più olimpi divi:
che posson lumi ver ciprigne doti,
strali pei vivi?
 
Se sarai cara, bell’amor traendo,
non fia prigione, ma d’Elisio face:
procella nostra e sol. M’acquieto e arrendo,
canto la pace.
 
Ma se nel Tartaro cadrà illusione,
o solitario la dovrò portare,
impazzirò: quel dì vorrò oblivione,
Leucade mare.
 

Mario Famularo