Michele Paoletti intervista Vincenzo Mascolo
Vincenzo Mascolo è nato a Salerno e vive a Roma. Ha pubblicato Il pensiero originale che ho commesso (Edizioni Angolo Manzoni, 2004), Scovando l’uovo (appunti di bioetica) (LietoColle, 2009) e Q. e l’allodola (Mursia, 2018). Insieme a Giampiero Neri ha curato per LietoColle l’antologia Quadernario – Venticinque poeti d’oggi. Dal 2006 è il direttore artistico di Ritratti di poesia, manifestazione promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale.
Come nascono le tue poesie?
Non c’è nessuna regola, nessun metodo. Nascono in modo del tutto casuale, disordinatamente. Accadono, a volte durante l’ordinarietà della vita quotidiana, mentre guido, sono al supermercato o sotto la doccia, altre volte durante la lettura di un libro, mentre ascolto della musica, guardo un quadro. Per me il contatto con l’arte è un momento privilegiato per la genesi di una poesia. Ma lo è anche la lettura di testi scientifici, filosofici, religiosi, la contiguità, insomma, con tutto ciò che stimola quella confluenza tra moto dell’irrazionale e pensiero razionale da cui, secondo me, nasce la poesia. O meglio, la sua idea. Il resto, ciò che manca perché questa idea si trasformi in parola poetica, è fatica, duro lavoro, un continuo confondersi di pensiero e immaginazione quasi ossessivo, talvolta doloroso.
Quali sono gli autori che consideri come riferimenti nel tuo percorso di scrittura?
I miei riferimenti sono molti e non solo poetici, anzi, non solo letterari. La poesia è il linguaggio che sono in grado di utilizzare per raccontare me stesso e il mondo che mi circonda. Cerco di mettere in versi la vita, come suggeriva Giovanni Giudici. E penso che ciò sia possibile solo raccogliendo all’interno della scrittura poetica tutti gli elementi di cui si compone l’esperienza esistenziale. Ecco perché i miei testi contengono molti riferimenti, artistici, scientifici, filosofici, religiosi, si nutrono, insomma, di tutto ciò che concorre a formare il mio essere. Non voglio, però, eludere la tua domanda. Ci sono autori che hanno avuto un’importanza fondamentale nella mia formazione e che continuano a essere per me dei riferimenti. L’elenco sarebbe lungo. Mi limito a citare i principali:Omero (chiunque egli sia), Platone, Dante, Leopardi, Pessoa, Eliot, Camus. E poi Raymond Queneau, il protagonista di Q. e l’allodola, e Jean Cocteau, le cui opere attraversano sotterraneamente il testo che sto ultimando in questi giorni, nato dall’ascolto di un’opera musicale contemporanea.
Sei direttore artistico di Ritratti di poesia, punto di riferimento tra gli eventi che riguardano la poesia contemporanea. Ci vuoi raccontare qualche episodio particolare dell’edizione appena conclusa?
Secondo me la presenza di poeti che fanno parte di molte generazioni e di più nazionalità, la diversità di scritture, poetiche e lingue, le conversazioni sui temi che attraversano la poesia contemporanea con editori e direttori di riviste, rendono ogni edizione di Ritratti di poesia un’esperienza particolare. Di quella appena conclusa, comunque, mi piace sottolineare il rafforzamento del dialogo con le altre espressioni artistiche: il cinema, con il frammento di una delle ultime interviste a Ermanno Olmi; la musica, con l’ascolto delle opere composte per la poesia contemporanea da Silvia Colasanti e Michele Sganga; la videoarte, con le immagini sospese di Clare Langan che evocano il senso di attesa della parola poetica; il racconto illustrato di Nicola Bultrini e Mauro Cicarè, che immagina un futuro distopico in cui i libri non esistono più e la poesia sembra essersi estinta.
Come scegli gli autori da invitare a Ritratti di poesia? Qual è la tua opinione sulla poesia italiana contemporanea?
Le scelte sono sempre basate sulla lettura. Non credo possano esservi altri criteri. Leggo molti libri di poesia, italiana e straniera, di autori che già conosco o che mi vengono segnalati da poeti, critici, editori, traduttori. Considero anche il web una risorsa. Consulto continuamente internet alla ricerca di libri interessanti, di autori meritevoli di attenzione, ma meno visibili, o di autori più giovani. Ritratti di poesia vuole essere un osservatorio sulla poesia contemporanea e quindi ritengo sia giusto offrire al pubblico della manifestazione una panoramica ampia, diversificata per stile, poetica, linguaggio, modalità di scrittura, includendo anche le sperimentazioni performative e la “spoken wordpoetry”. Ciò è possibile anche perché in ambito poetico si avverte oggi una notevole vitalità. Mi sembra, infatti, che la poesia italiana, dopo anni di staticità che hanno sfiorato la stagnazione, sia entrata in una nuova fase, più dinamica e attraversata da salutari spinte di rinnovamento, grazie anche alle nuove generazioni di poeti e al lavoro meritorio di piccole realtà editoriali.
Parliamo adesso del tuo ultimo libro Q e l’allodola (Mursia, 2018). Com’è nato? Qual è stato il percorso di scrittura?
Mi interrogo spesso sull’origine della poesia, sul suo linguaggio, sul valore della parola poetica. Credo sia nata durante una di queste riflessioni l’idea di scrivere un testo di poesia sulla poesia utilizzando stili diversi, sulla scorta di quel libro straordinario che è Esercizi di stile di Raymond Queneau. L’architettura del libro si è formata rapidamente, ma il tempo di scrittura non è stato breve, sia perché la ricerca di un equilibrio tra forma e contenuto si è rivelata più complessa del previsto sia perché dopo la stesura dei primi “esercizi”ho avvertito il bisogno di andare ancora più in profondità. Il testo, quindi, si è via via trasformato e, impastandosi con la memoria, ha dato vita a una materia poetica più fluida, più leggera, rappresentata dall’allodola, che è la traccia di un ricordo d’infanzia, ma per me è anche la raffigurazione simbolica di Ermes,che unisce terra e cielo portando alla divinità le istanze umane. Così è la nostra condizione, perennemente divisa tra realtà sensibile e realtà soprasensibile, tra immanenza e trascendenza.
Nel libro sono presenti due partiture musicali (On the nature of daylight di Max Richter e Lamento di Silvia Colasanti).
Amo molto la musica, di qualunque tipo, e sono convinto che abbia un legame strettissimo con la poesia. È per questo che nella mia scrittura c’è una costante ricerca di musicalità e che i miei testi a volte contengono espliciti riferimenti a composizioni musicali o stralci di canzoni. Anche la presenza in Q. e l’allodola delle partiture di Silvia Colasanti e di Max Richter risponde al desiderio di sottolineare questo legame. I due brani, però, hanno un’intima e più specifica connessione con i testi del libro. On the nature of daylight di Max Richter è inserita al termine del testo V, nella parte conclusiva del dialogo immaginario con Queneau sulla poesia. La partitura, quindi, segna una cesura, il momento della trasformazione, e la sua suggestione evocativa mi è parsa essere un bel preludio al testo VI, caratterizzato dalla comparsa della materia del ricordo e dell’allodola, messaggera della luce del mattino. La partitura di Lamento di Silvia Colasanti è inserita, invece, al termine del libro e credo che nella splendida gravità del suono del violoncello si condensi il senso dell’attesa dell’allodola, dolorosa ma al tempo stesso attraversata dalla speranza. Forse una lettura scenica del libro, con l’esecuzione dei due brani musicali, farebbe comprendere meglio le mie parole.
A proposito dell’ultima sezione del libro Federico Rossignoli scrive: “Da qui in avanti il viaggio procede per terzine dantesche […]. Si potrebbe dire sia la logica risposta allo smarrimento e al cortocircuito tra forma e contenuto sviscerato nelle sezioni precedenti”. Sei d’accordo con questa affermazione?
Credo che Federico Rossignoli abbia colto un aspetto interessante. L’uso della terzina dantesca, comunque, è un chiaro riferimento alla Divina Commedia, a cui nel libro si allude continuamente, come ha osservato Guido Oldani nella quarta di copertina. Ci sono poi i propositi. Nelle mie intenzioni, il rigore della forma metrica doveva rendere più evidente la ricerca di una maggiore ariosità della poesia, di una maggiore ampiezza di sguardo rispetto a quella contenuta nei primi cinque testi. Con l’uso di un linguaggio attuale in una forma inattuale come la terzina dantesca, infine, intendevo verificare se, come si afferma, il linguaggio sia l’unico elemento che caratterizzi la poesia cosiddetta contemporanea. Non so però se la lettura del libro consenta di cogliere ciò che mi proponevo di esprimere. Altri eventualmente lo diranno. E se nessuno ne parlerà, vuol dire che non era necessario, né utile, parlarne.
Cantami, o diva, l’eterna lotta
tra i significanti e i significati
narrami l’attesa tra gli eserciti schierati
del segnale che arrosserà quel campo
i riti per propiziare la vittoria
cantami la furia di quella battaglia
che non ha avuto vincitori e vinti
raccontami la torsione dei corpi
il sudore che impregna anche il terreno
la tensione dei muscoli allungarsi
quando sferrano colpi, nel ritrarsi
fammi sentire gli zoccoli che battono
i nitriti, il clangore delle armi
il cozzo delle spade sugli scudi
le grida per gli squarci delle lance
narrami le ferite, la paura
la polvere che copre chi è caduto.
Cantami, o diva, l’ira del poeta
la sua fatica che trasuda versi:
portami il sangue della sua poesia.
Oh Queneau
Queneau
ma dimmi, a cosa servono i poeti
e tutta la fatica quotidiana
per svellere dall’ombra le parole
Queneau, sai dirmi a cosa può servire
se i loro corpi vedo evaporare
come la rugiada del mattino
se i poeti attraversano invisibili
la linea luminosa del mattino.
E tu cantami ora, casta diva,
la trama della vita che s’impiglia
nei tuoi riflessi, fai che sopravviva
in me la quotidiana meraviglia
rosa d’inverno, luce che germoglia
da quei cocci aguzzi di bottiglia.
O padre, guarda, padre, sono foglia
che sente la stagione più temuta
avvicinarsi, diventare spoglia
ogni parola che sarà perduta
preghiere nomi versi, risonanze
di questa voce fioca che tramuta
in segni numinosi le speranze.
Qui notte dopo notte si tramanda
la luce della luna. Nelle stanze
al ritmo di un’antica sarabanda
le anime volteggiano, danziamo
corpi celesti, fiori di ghirlanda
nella penombra dove consumiamo
l’attesa che l’allodola ritorni
risponda finalmente al mio richiamo.
Le poesie sono tratte dalla raccolta Q e l’allodola (Mursia, 2018)