Un buon uso della vita – Gabriella Musetti


Una domanda al Poeta: Gabriella Musetti

Un buon uso della vita, Gabriella Musetti (Samuele Editore, 2021, prefazione di Chiara Zamboni).

 

Un buon uso della vita è il libro di poesie di Gabriella Musetti che segue La manutenzione dei sentimenti (2015), entrambi pubblicati con Samuele Editore. I titoli di queste ultime raccolte rimandano non soltanto a una comune area semantica, ma anche a un preciso orientamento etico. Nel nuovo libro (dal sottotitolo immagini fuori sesto, con la prefazione di Chiara Zamboni e una cartolina d’artista di Donatella Franchi) il motivo dirimente è subito dichiarato – un buon uso della vita è tema ribadito nella poesia di apertura – con un’espressione piana, diretta, inequivocabile rispetto alla prima istanza che punge la mente del poeta, e di ogni essere umano, ossia cosa fare della propria vita: «un buon uso della vita / e la nostra autobiografia / di tutti / – dice Maria Pia – / diventi un viaggio / meno accidentale / non raro non avaro / e strisci dentro / luoghi contenenti sale». Una volta catapultati in questa strana cosa che chiamiamo realtà, ci interroghiamo sul senso e sulla direzione da dare alla nostra esistenza. Ma la soluzione è tutt’altro che semplice: se uguali per tutti sono le premesse, differenti per ognuno sono gli atti consequenziali. In combinazione con i caratteri individuali, i fattori più eterogenei influiscono sul corso degli eventi e ne condizionano svolgimento ed epilogo: «non c’è una regola prescritta / uguale a tutti / ognuno trova a caso la sua stanza / chi bene – felice lui o lei – chi / con dolore» (le storie sono all’inizio).

Dopo versi che abbracciano in un respiro filosofico il bene e il sale della condizione umana, il libro prende una piega inattesa, adotta un punto di vista singolare. Si snoda una prima sequenza di poesie dall’incipit ricorrente, replicato con minime varianti, in cui prevale il sintagma lei era morta, variamente adattato alle storie raccontate. Ogni quadro percorre, più evocando che descrivendo, la vita di una donna a partire dalla sua fine, compila una sorta di resoconto a ritroso per risalire alla causa, o al caso, che l’ha condotta alla morte. E ogni morte si verifica sempre come un evento improvviso, inaspettato, dirompente anche quando in obliquo dai fatti si sarebbe potuto intuire il finale: «è morta questa mattina è morta / ma non si è accorta di morire / rideva come una bambina», oppure «era morta con la luna storta / era morta sopra un cuscino estraneo / di un vicino fuori della sua casa», e ancora «lei (invece) era morta di notte / tra le botte della sera e quelle del mattino» (è morta questa mattina è morta, era morta con la luna storta, lei (invece) era morta di notte). La lettura di questa teoria di versi impone un suo ritmo e scorre senza pause, come a non voler interrompere il filo di una storia in cui siamo tutti implicati. Si prova una sorta di curiosità mista a sgomento, da un lato lo stupore di ritrovare dettagli che combaciano con il proprio vissuto o la propria esperienza delle vite altrui, dall’altro la percezione viva e dolorosa che ogni esistenza, in misura maggiore o minore, tradisce le sue stesse premesse, disattende le aspettative.

L’idea della circolarità del vivere e morire sottesa all’intero poema si esplicita in una citazione di María Zambrano, che fa da cesura e al contempo da legame tra la prima e la seconda parte del libro: «Essa [la vita] ritorna nella cavità della grotta iniziale protetta dalla luce e da qualsiasi elemento che non sia lei, torna alla terra, alla terra come tale, al viscere terrestre».

L’immagine del ritorno alla terra introduce una serie di poesie in cui la morte è ancora protagonista, ma in questo caso si tratta della fine delle scrittrici suicide (da Sylvia Plath a Virginia Woolf, da Marina Cvetaeva ad Amelia Rosselli, da Ingeborg Bachmann ad Antonia Pozzi). Ancora una volta Gabriella Musetti punta al cuore delle cose: in ogni primo verso descrive il modo in cui ciascuna artista ha scelto di darsi la morte, ma lo fa capovolgendo la frase da affermativa a negativa. Attraverso l’espediente di una negazione segna un discrimine tra chi ha cristallizzato la propria vita nel gesto definitivo e la parte restante delle donne che continuano a vivere, seppure disilluse o rassegnate a un mondo inadeguato. Emblematici, tra tanti, i versi dedicati a Sylvia Plath e Amelia Rosselli: «le donne che non mettono la testa / nel forno / sono tutte matte tutte ad aspettare / che qualcosa cambi – cambi l’amore / l’umore perfino il destino» (Sylvia Plath); «le donne che non volano dal balcone / giù nella chiostrina / trovano dentro la forza / di aspettare / la cantilena delle voci matte» (Amelia Rosselli).

Certamente nella scrittura di Gabriella Musetti è presente una volontà di riscatto, un desiderio di risarcimento nel focalizzare lo sguardo sulla vita delle donne, penalizzate da secoli di sottomissione e prevaricazioni. Ne danno la misura anche le annotazioni in prosa che completano il nucleo dei versi e i brani citati delle autrici amate, numi tutelari di un pensiero non solo poetico (Cristina Campo, Emily Dickinson, Audre Lorde, Simone Weil, Virginia Woolf, María Zambrano). Alla forza della poesia si affida il compito di dare luce alla sostanza del vivere, di ritrovare «la radice / selvaggia della vita / da un taglio altro di visuale», e soprattutto di raccontare «la verità / ciascuno / della propria vita».

 

Daniela Pericone

 
 
 
 
le storie sono all’inizio
tutte uguali
nasci da un ventre aperto
dal buio vedi la luce
ma subito la storia cambia
secondo il luogo lo status
il modo e l’accoglienza
non c’è una regola prescritta
uguale a tutti
ognuno trova a caso la sua stanza
chi bene – felice lui o lei – chi
con dolore
 
 
 
 
 
 
è morta questa mattina è morta
ma non si è accorta di morire
rideva come una bambina
su un prato in primavera
rideva anche di sera (e pure di mattina)
– s’è messa in salvo – qualcuno dice
volata via sopra una rondine
un po’ di soppiatto un po’ per avveduta
consolazione – la scelta unica rimasta
quasi sicura
 
 
 
 
 
 
era morta con la luna storta
era morta sopra un cuscino estraneo
di un vicino fuori della sua casa
come faceva a spiegare
a chi gliel’avesse chiesto
che era uscita in giardino
solo a fumare una sigaretta
scavalcata la finestra s’era trovata
nella casa buia decisa
a seguire il suo destino?
 
 
 
 
 
 
Una domanda al Poeta: Gabriella Musetti
lei (invece) era morta di notte
tra le botte della sera e quelle del mattino
s’era sottratta all’impeto
alla colpa perfino alla desolazione
e la solitudine che la penetrava
non dava godimento alcuno
 
 
 
 
 
 
era morta davanti allo specchio
mentre si truccava per uscire
un occhio spalancato uno chiuso
a tirare la linea sulla palpebra
la traccia l’attesa la sorpresa
ciò che vide nell’orbita spenta
era denso e molle come placenta
 
 
 
 
 
 
la sua era stata una morte protratta
iniziata tempo addietro
ancora al tempo che pareva intatto
speranze attese meraviglia
e intanto si muoveva su una faglia
 
 
 
 
 
 

Sylvia Plath

le donne che non mettono la testa
nel forno
sono tutte matte tutte ad aspettare
che qualcosa cambi – cambi l’amore
l’umore perfino il destino
che proprio un mattino si desti
un destriero di luce
che le porti via
lontano da questo mondo ombroso
da questo mondo tondo e spietato
senza empatia
 
 
 
 
 
 

Virginia Woolf

le donne che non vanno al fiume
con le pietre in tasca
aspettano silenziose alla finestra
uno sguardo al tempo
uno al paesaggio
che passi questo maggio e la stagione
fiorita torni l’autunno con le sue
brume
confonde e assopisce ogni lume
 
 
 
 
 
 

Amelia Rosselli

le donne che non volano dal balcone
giù nella chiostrina
trovano dentro la forza
di aspettare
la cantilena delle voci matte
mezzo sentite
mezzo immaginate
nel vortice del vivere distratte