Terzo Speciale Contest di Laboratori Poesia: in ricordo di Stefano Colletti

Continua la promozione dei 3 libri finalisti del Contest di fine 2024 di Laboratori Poesia (vedi QUI). Il Contest, ricordiamo, ha visto 30 libri in gara per 93 votanti effettivi tra i lettori dell’Osservatorio Poetico di Laboratori Poesia, per un totale di 171 voti effettivi. Tutti i risultati sono visualizzabili QUI.

Il primo Speciale ha visto una traduzione e una nota a cura di Rocío Bolaños e Alessandro Canzian su Seracchi e morene di Mauro Ferrari (Passigli, 2024, terzo posto, visualizzabile QUI). Su Corpo contro di Daniela Pericone (Passigli, 2024, secondo posto) la traduzione è stata curata sempre da Rocío Bolaños e la nota di lettura da Serena Mansueto (visualizzabile QUI). Su Sull’altra riva di Stefano Colletti (Puntoacapo, 2024, vincitore) la traduzione di Rocío Bolaños e la nota di lettura a cura di Federico Migliorati (visualizzabile QUI).

Il secondo Speciale invece è stato un invito a partecipare alla puntata su Fango Radio di Vocale, ormai punto di riferimento della promozione radiofonica della poesia a cura di Elisa Longo. Per l’occasione Daniela Pericone e Mauro Ferrari hanno letto alcuni loro testi mentre dal libro di Stefano Colletti ha letto Vernalda Di Tanna (il podcast è fruibile QUI).

Il terzo Speciale, pubblicato oggi 2 maggio, consiste in interviste agli autori a cura di Elisa Nanini (a Daniela Pericone, QUI), Vernalda Di Tanna (a Mauro Ferrari, QUI) e un ricordo a cura di Marco Molinari (su Stefano Colletti). Il quarto Speciale invece consisterà in un percorso, a cura della redazione, dentro le tre opere attraverso alcune parole chiave presenti nei libri.

I prossimi appuntamenti saranno un percorso, a cura della redazione, dentro le tre opere attraverso alcune parole chiave presenti nei libri, e un invito a leggere i propri testi al Festival della Letteratura Verde (QUI) che si terrà il 15 giugno a Porcia in provincia di Pordenone, sulle sponde del lago Burida.

 
 

SULL’ALTRA RIVA DI STEFANO COLLETTI

Ricordare un amico poeta che se n’è andato troppo presto, attraverso la sua ultima raccolta uscita postuma, che comunque ha curato fino all’ultimo dettaglio, con la sua consueta pazienza e onestà nel decidere di pubblicare, tanto che in quasi sessantatré anni di vita ne ha licenziato solo quattro, quando sentiva che le poesie erano mature per venire alla luce. Purtroppo, Stefano Colletti non ha potuto vedere stampata questa sua ultima opera, Sull’altra riva Poesie 2017-2020, puntoacapo Editrice, uscita grazie al fratello Paolo e all’amico Giancarlo Sissa.

Ricordare un amico poeta, si diceva, compito difficile e doloroso, ma questo suo ultimo libro lo solleva un poco, perché è davvero una summa del suo amore per la poesia, un concentrato dei temi che l’hanno accompagnato per tutta la vita, un affinamento prodigioso delle sue modalità espressive che hanno trovato nutrimento nelle letture appassionate dei poeti anglo-americani del novecento, data la sua perfetta padronanza della lingua, in particolare dei poeti inglesi che parteciparono alla Grande Guerra, senza dimenticare la nostra letteratura, per cui ha tracciato un’ideale linea che va da Carducci e Pascoli fino a Sbarbaro e Raboni.

Un libro, poi, che anche alla luce di quanto purtroppo è successo, si presenta davvero carico di presagi, come ha notato giustamente Sissa nella prefazione; vi sono, lasciati quasi a margine, deposti come per tracciare un percorso verso un se stesso che si proietta nel futuro, versi, incisi, annotazioni, che sembrano prefigurare ciò che è accaduto. Come interpretare altrimenti la chiusa di una nota che l’autore stesso ha scritto per spiegare un toponimo inserito in un testo, che improvvisamente vira su questa riflessione: “La ragione per cui si scrivono poesie liriche e canzoni blues è che la nostra vita è breve, dolce e fuggevole.” E cosa dire della poesia Nelle vie della città, nella quale la morte vagabonda per le strade, anonima, incrocia le persone e tiene gli occhi bassi senza farsi notare, finché: “Alza lo sguardo e si siede di fianco / A uno qualsiasi, che sente nausea / E pensa alla digestione / O al clima umido. / Il tempo di un sospiro, / E si è già alzato, se n’è già andato.”

Nella sua molteplice personalità, da una parte vitale, positiva, aperta e accogliente nei confronti dei suoi studenti e dei suoi amici, sembra proprio che Stefano abbia delegato alla poesia di raccontare la parte in ombra, la malinconia, le ferite sue e quelle che gradualmente stavano devastando il mondo in cui è cresciuto, che vede inaridirsi, perdere definitivamente ogni parvenza di umanità. Egli percepisce, nel silenzio che lo accoglie quando ritorna a casa o in quello dei risvegli nel mezzo della notte, una nuvola buia che lo opprime, un senso di inutilità del vivere, di solitudine essenziale. Intorno poi, c’è un quartiere desolato, le persone sono indifferenti ed egli ha la percezione di essere un fantasma fra fantasmi.

Come è iniziato tutto questo? Non c’è un movente unico, una data precisa nella quale si comincia a fare dei bilanci, a scavare profondamente dentro sé fino a sanguinare. Forse un indizio ci è fornito dalle due poesie dedicate ai genitori scomparsi, poste all’inizio e verso la fine, come torri di vedetta, da cui guardare dall’alto alla vita che è stata e sarà senza più loro. La prima, un ricordo della madre, come titolo la semplice data della morte 16-12-2016, e nel farne un ritratto in equilibrio fra commozione e dolore trattenuto, ricompare il presagio, sempre in agguato: “Mi preparasti un album / Di vecchie foto di me bambino, / Un bianco e nero tagliente / In cui sorridevi, giovane mamma, / Accanto a quel bimbetto / Per cui avresti vissuto, / Così mi pare, la vita in ansia. / Temevi la disgrazia, il male / Imprevisto, il lutto in agguato, / Sussultando a ogni rumore / Secco come uno sparo.”

L’altra, rivolta al padre, intitolata con un confidenziale Pa’, scritta il giorno in cui Stefano ha compiuto sessant’anni, vuole riallacciare un dialogo che soprattutto in gioventù è stato frenato dalle reticenze, dalle incomprensioni. Ora vorrebbe dirgli le tante cose non dette, ora, che non c’è più, gli racconterebbe le difficoltà, il dolore che la vita riserva, adesso arriva a comprendere le sofferenze del genitore, i gesti quotidiani che allora gli apparivano quasi banali, sono un punto di forza che gli è stato trasmesso: “Gli anni sono stati lunghi, pa’, / A volte sono stato stanco come / Non avresti mai immaginato di me. / Ho smesso di meritare, / Di voler essere ciò che avevo / Fatto di me stesso.

I ricordi, gli incontri casuali per le strade della sua Mantova e quelli avvenuti durante i viaggi, soprattutto in nord Europa, i suoi compleanni, pietre miliari di un percorso intimo, sono la materia che alimenta la poesia di Stefano Colletti. In questo pensiero incessante egli misura la distanza tra pieno e vuoto, tra gioia e tristezza, tra i momenti in cui la vita si mostra in tutta la sua interezza e ci vede protagonisti dei nostri giorni e gli altri in cui invece scompariamo, non siamo più niente e i giorni trascorrono a dispetto di noi. Cosa è successo in questo intervallo, è solo il tempo che determina questi abissi, cosa avviene dentro e fuori di noi, per cui la bellezza si trasforma in rovina, la primavera in arida terra siccitosa? È la domanda sotterranea che Stefano si pone in tanti testi e che rivolge al lettore. Perché la riflessione, così intima e personale, quando diviene vera poesia come nel suo caso, assume subito un carattere universale, non sono più le parole di un singolo uomo ma è il canto di innumerevoli anime che vivono queste piccole morti quotidiane e si ribellano, non vogliono cedere alla desolazione, proclamano che c’è stato un tempo diverso e a quello dobbiamo tornare.

Sono davvero tanti e svariati gli spunti da cui nascono le poesie di Sull’altra riva, ma tutti hanno il sigillo dell’autenticità, niente è stato costruito artificialmente. Sono ondate che arrivano e a cui non ci si può sottrarre, occorre fissarle sulla carta, come suture alle ferite, come riparare le ceramiche andate in pezzi con strisce d’oro: “Passati gli anni, / Dove mi cercherai / Se non dove crescono le rose / Che amo”. Ecco, Stefano nel tempo ha creato le sue difese, i luoghi e le parole con cui arginare il vuoto che lo assaliva. Uno di questi luoghi è la casa, considerata come trincea (“Mattina dopo mattina / Scavalco il filo spinato del mio letto”) o come tempio (“In questa luce tiepida / Bagno i miei giorni, risacca felice”), comunque un posto dove si apre il sereno; nonostante, come lui stesso dice, tutto sia accaduto altrove, fra le pareti della sua abitazione ritrova la familiarità con se stesso, la tregua, all’interno della quale, forse, sono state create le poesie della raccolta: “È nell’intrico da cui nessuno / Ti osserva / Che sta la gioia.”

Questa parola, gioia, che non è mai stata estranea alla poesia di Stefano, anche se in questa ultima raccolta fa più fatica a farsi strada, ricompare finalmente con un nuovo amore. Voglio concludere proprio con questo, insieme al rispetto e all’importanza che egli conferiva all’atto della scrittura, perché chi non l’ha conosciuto non tragga da queste poche righe l’impressione di un poeta che si macerava nell’insoddisfazione e nella mancanza di vie d’uscita. Al contrario, Stefano era un vulcano di attività e di iniziative, ma questo non gli ha mai impedito di guardare lucidamente dentro e fuori la propria anima e la scrittura era il luogo protetto dove far emergere “il volto / Tollerabile del caos”, come ha chiosato in un testo.

L’amore, come per tanti, è stato terreno di passioni eterne insieme a delusioni, rimpianti, distacchi dolorosi. Ma l’amore può anche portare una gioia che non ha confini e che tutto sommerge, e improvvisamente scompaiono le immagini grigie, i giorni si colorano di attese e il temporale, in cui diceva di abitare, non fa più così paura. Un amore nuovo in questa raccolta ci dona una manciata di poesie luminose, sempre attente e consapevoli, formano un’oasi di conciliazione con la realtà, che non cessa però di assediare la casa del poeta, ma la difesa è più salda se affrontata in due. “Si può / Fare questa cosa?” si chiede, e si risponde che sì, vale ancora la pena perdersi e ritrovarsi congiunto a un nuovo amore, con tutto il passato che si porta con sé e consapevole che ora sarà più complesso, tuttavia sempre con la passione che mai lo ha abbandonato: “Ora, pensa le mie mani / Sui tuoi zigomi, le tue mani sui miei. / La tua schiena contro il mio petto. / Le mie dita sulle tue labbra, / A caccia. Le tue mani dentro / Il mio petto, / Le unghie che mi graffiano / Il cuore a sangue. / Il mio cuore / Che sanguina quando / Non lo graffi.”

Infine, l’ultimo ricordo di Stefano riguarda l’etica con cui si è sempre rapportato alla poesia. Memore della dignità e del ruolo sociale che ha rivestito in passato, specchiandosi in figure profetiche come Giosuè Carducci o Walt Whitman, egli l’ha sempre affrontata con la serietà e il rigore che merita una forma artistica in cui colui che vi entra deve dare in pegno tutto se stesso, non può fingere, non può sottrarsi, la sua scrittura appartiene anche agli altri, porta il dolore del mondo, si affaccia verso coloro che dovranno venire. Stefano Colletti ci ha lasciato improvvisamente, in un caldo giorno di luglio del 2023, dopo un breve ricovero ospedaliero. Noi non eravamo pronti, ma lui lo era.

Marco Molinari

 
 
Scrivere
 
Scrivere non è nemmeno
Una cura, è quello che si fa
Quando è tardi
E la musica
Finisce ma la gente
Balla ancora, perché la guerra
È finita da poco e c’è troppo
Ballo da recuperare.
 
Con chi parlerò
Il giorno dopo la mia morte?
Le battute le saprò,
Non so come,
Forse le sto imparando
Mentre scrivo.
Forse scrivere è solo questo,
Essere pronti a ciò che sarà,
Appena morti.