Il Tempo, nella sua accezione di fuggevole elemento connaturato alla nostra vita, ci presenta un doppio stigma: rendere ciascuno di noi costantemente diverso sì da perdere talvolta la cognizione esatta di ciò che siamo poiché in continuo divenire e mutamento, e condurci a considerare vieppiù la morte quale cornice sempre più predominante giacché passo dopo passo in avvicinamento. Posti accanto a questa situazione due sono le possibilità: prendersi gioco del trascorrere del tempo stesso o far sì che la fine dell’esistenza sia se non esorcizzata quantomeno resa la più innocua possibile con la scrittura. Silvio Raffo (1947) è poeta esperto, con una vasta e pluripremiata produzione, e in L’estasi insicura (Interno Libri, 2024), come scrive bene Silvio Aman nella prefazione dell’opera uscita per Interno Poesia, assomma tali e tante suggestioni lungo i 21 capitoli di cui è composta da costruire un’architettura in forma di selva-arabesco, il tutto inserito in una cornice metrica perenne di endecasillabi che affinano e rafforzano ulteriormente il valore del testo nella sua ampiezza. Vi ritroviamo, muovendo da esperienze personali, i dilemmi di ogni uomo, la morte certamente, le persone scomparse che, come nel poco più giovane Stefano Simoncelli recentemente mancato, vanno a costituire una sorta di “museo itinerante” nella nostra mente, il percussivo quasi ossessivo rilancio sul futuro inconoscibile spesso giocando tra il qui e l’altrove. È evidente, inoltre, la percezione di ciò che sta al di là dei sensi, dell’umano: non è un caso che da più parti si rinvenga il termine “trasumanare”, uno dei neologismi creati da Dante per indicare l’esperienza di valicare la finitudine connessa alla nostra dimensione naturale e aggettare su ciò che nessun uomo ha potuto mai riferire vale a dire la natura divina. Non c’è purtuttavia alcuna certezza nella poesia elaborata, elegante e incisiva del poeta romano-varesino: egli si sente in effetti un deraciné quotidiano, soprattutto nel tempo di una solitudine ch’è vittima del vuoto, dell’assenza, dell’inerzia. La diade più possente, quella che marchia a fuoco l’intero corpus del volume, è amore-morte, Eros e Thanatos, un classico dei versi di ogni tempo ma che qui rinveniamo come una contrapposizione, quasi una sfida tutta interna allo scrittore in versi, una sorta di contrappuntistico doppio registro in cui i due elementi dialogano nella stessa mente finendo per sovrapporsi talvolta. Rimasto privo di molti affetti, sogguardando con mestizia e malinconia il proprio passato abbarbicato al desiderio di amare, ma nella permanente capacità di dominare i sentimenti, egli assiste oggi al
“rassegnarsi al nulla di un oblio senza catarsi”.
Non c’è pietismo, però, si badi bene nella ricca elaborazione poetica: ogni rima, ogni assunto sono esattamente calibrati all’interno di un complesso in cui tutto si tiene anche laddove più forte si erge un’elegia romantica
“Il cuore ha palpiti stremati
Vittima di una torpida acquiescenza”
Se il “buio niente” è ciò che tutti attende, se siamo “alla morte consegnati” è d’uopo in ogni caso alimentare sempre più in maniera feconda il tempo che viviamo ricercando bellezza e verità, “un atomo solo di tutto il creato”, magari lasciandosi affascinare dal fantasticare, quella lieve e leggera onda che è essa stessa linfa per un nuovo dire. Nella tessitura linguistica di Raffo si fa strada un’arte antica: l’affabulare cosciente del ruolo che, nel nostro tempo, l’intellettuale deve avere. Non più di vate o di guida bensì di attento osservatore, capace di decriptare ciò che sfugge spesso all’occhio e alla mente: l’interiorità più vivida, l’anima segreta che si fa coscienza,
“sinuose volute e arcani abbracci”
che altro non sono se non quell’ordito rappresentato dalla vita, nell’ignoranza del “celibe cuore”. E se la Speranza è l’ultima dea aggettano su ogni uomo
“il profumo dei giorni, l’eco immota
di antiche risa e palpiti segreti”
in un caleidoscopico percorso a ritroso nel tempo e nello spazio, tra opposti sentimenti e plurime visioni, nel coscienzioso apprendimento di cadute e risalite, aspetto predominante in questa pregevole raccolta nella quale si apre anche su vari movimenti di pensiero come la Gnosi, oggetto di una serie di componimenti, così come esperimenti linguistici, è il caso di “Orgasmi del Logos”, quartetto di fonemi che mettono in mostra la vorace costanza del poeta nel dipanare le parole, nel giocarvi con diletto, senza mai limitare il proprio elevato stile.
È una cifra originale la sua, una metodica acribia che si manifesta nell’accedere a echi di altri autori (da Dante a Leopardi, da Pavese a Penna, da Pascoli alla stessa Dickinson di cui è il più profondo cultore e più apprezzato traduttore in Italia) permanendo su un terreno vergine quanto alla ricostruzione di un pensiero e alla fisionomia dell’opera letteraria. Tutto ruota, tra verità e finzione, intorno al verso in esergo,
“il malioso inganno della letteratura”
entro il quale tutto è esprimibile, anche l’inesprimibile, tra l’ineffabile paradiso e il gorgo dell’inferno, il magico dualismo il cui respiro è qui pienamente compreso e analizzato. È una letteratura, segnatamente questa in versi, che tocca le corde più intime dell’uomo offrendo potenza e forza espressiva di rara qualità.
Federico Migliorati
Perennial bliss
Remoti giorni tornano talvolta
del crepuscolo al grigio limitare,
un’antica fragranza che dissolta
credevi, ed ecco torni a respirare,
un pallido barlume che riaffiora
tra fitte nubi, identico a un allora
di non sai quando. Sei quello che eri
nella stranita azzurrità di ieri.
Tu, la tua vita, paradiso e inferno
lo stesso sogno effimero ed eterno.
Amore è luce
Amore non è mai specchio d’inganni
che riflette il tuo volto deformato
Amore è luce che procura danni
quasi accecante, ma che svela il vero
La sua non è la forza del pensiero
né di un sottile incanto delicato
ma quella di una folgore che schianta
in un attimo maschere e barriere
cure fittizie e pallide chimere
Del suo arcano potere non si vanta
ma soffre della tua stessa ferita
Del tuo sangue irrorando nuova vita
Amore sdegna ogni parola, è muto –
tu che ne parli mai l’hai conosciuto.
Sudden charge
Così lontano può sembrare a un tratto
quel che vicino ci pareva ieri
Così al cuore e allo sguardo esterrefatto
volti amati diventano stranieri.
The riddle flinging back
Vibra il Silenzio quando a sé ti chiama
d’ultrasuoni più acuti d’ogni voce.
E così la Memoria, ad occhi chiusi,
lampi improvvisi rivela, visioni
che non riafferri alla diurna luce.
Momenti d’Essere interrati vivi
nell’abisso murato della mente,
segrete epifanie dell’Incoscienza
balenano d’incanto ai sovrasensi
vigili d’una veglia stupefatta.
Ma di granito brillano le immagini
Inespressive restano le forme –
indecifrato il volto dell’Enigma.