È soprattutto negli anni a ridosso tra il XX e il XXI secolo che la media e piccola editoria ha messo in pratica un vero e proprio scouting nel campo della poesia. Nei primi anni Duemila, in sostanza, è stato possibile assistere all’implementarsi del ruolo delle piccole e medie realtà editoriali diffuse sul territorio nazionale nostrano. Ma quali sono le caratteristiche che ancora oggi ne puntellano le coordinate? Probabilmente, per trovare una valida risposta a questa domanda si dovrebbe rileggere e sondare il mercato attuale alla luce della definizione di «letterato editore», il cosiddetto homme de lettres, coniata da Alberto Cadioli (cfr. Alberto Cadioli, Letterati editori. Attività editoriale e modelli letterari nel Novecento, Milano-Cremona, Il Saggiatore, 2017). Tuttavia, ad oggi, risulta difficilissimo, se non impossibile, rispondere a una simile domanda anche tenendo sempre in considerazione quelle che sono le criticità del mercato editoriale – con annesse le sue regole – in relazione al numero di lettori o al sistema della distribuzione.
Un dato curioso è quello che è stato evidenziato da Gian Carlo Ferretti, il quale ribadiva che spesso gli editori sono sia autori che curatori, inserendosi in un discorso più ampio che prendeva in considerazione anche il fattore d’appartenenza regionale o locale dell’editore, appartenenza strettamente connessa – ça va sans dire – all’identità letteraria della casa editrice (cfr. Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004). E, poiché non è questa la sede per discettare un problema così complesso e stratificato, abbiamo selezionato e intervistato alcuni degli editori e dei curatori che riteniamo essere tra i più ardimentosi nel panorama italiano, almeno per quel che riguarda la poesia.
Si è partiti con Industria & Letteratura (realtà giovane, ma già abbastanza consolidata a livello nazionale), si è passati per il nido delle Edizioni Volatili (un progetto esoeditoriale a tratti clandestino, dove, per ammissione di Giorgiomaria Cornelio in persona, «l’esoditoria è intesa come una disciplina del dono, del dialogo ininterrotto tra chi fa il libro e chi lo riceve»), e si è approdati infine alla Ianieri Edizioni (una realtà consolidata a livello internazionale per quanto riguarda la saggistica dannunziana sebbene carente per il settore della poesia, ma aperta di nuovo, ora, anche a questo genere).
Per non appesantire eccessivamente questo Speciale non abbiamo inserito altre nuove e meritevolissime collane come Adamàs, pubblicata da La Vita Felice Editore e diretta da Tommaso di Dio, Vincenzo Frungillo e Ivan Schiavone. O ancora La pantera profumata di Manni Editore, diretta da Antonio Prete. O la Collana La Siepe di Marietti 1820 Editore, partita con una straordinaria riedizione di La sposa perfetta di Luigi Aliprandi (prima edizione Marsilio Poesia, 1998). Senza ovviamente dimenticare la Nuova Collana Scilla della Samuele Editore anticipata al Salone del Libro di Torino 2023, in occasione della Festa per i 15 anni della Casa, e che partirà a dicembre 2023 con un particolarissimo titolo di Umberto Piersanti.
Insomma uno Speciale che vuole essere solo un nostro piccolo augurio, che nel tempo approfondiremo a dovere, per un percorso che sia capace di durare a lungo e di incidere nella cultura poetica italiana laddove la grande Editoria è ormai dichiaratamente manchevole (a questo proposito si veda la bella intervista di Giuseppe Nibali, autore di Eucariota, Samuele Editore-Pordenonelegge, 2023, collana Gialla, mercoledì 8 novembre su Scrittori a Domicilio, a cura di Eleonora Molisani, QUI).
In ultima battuta vogliamo chiudere con un ulteriore augurio, questo più personale e diretto da tutta la redazione di Laboratori Poesia e Samuele Editore, per l’amico e collega Andrea Cati di Interno Poesia, da poco convolato a nozze. Come speriamo la poesia e le attività editoriali più valide in questo settore sappiano felicemente creare qualcosa di importante e buono nei prossimi anni, così auguriamo a te e a tua moglie la medesima cosa, Andrea.
Vernalda Di Tanna
Alessandro Canzian
SPECIALE
Nuove Collane di Poesia Contemporanea
INDUSTRIA & LETTERATURA EDIZIONI
Industria & Letteratura è una casa editrice nata nel 2015, che vanta già una redazione solida e pubblicazioni molto ricercate, tant’è che oggi il catalogo è arricchito da più di una collana di poesia. Del Sarto, può raccontarci la storia della Sua casa editrice, come mai si è passati a dedicare tanto spazio alla poesia, e indicarci qual è, a Suo avviso, la piega che sta prendendo l’editoria italiana di poesia negli ultimi anni?
Gabriel Del Sarto (Editore): L’idea della casa editrice è nata da un gruppo di amici, che attorno al desiderio di sviluppare una ricerca di storia orale sulla Resistenza apuana, ha costruito un progetto. L’autore di quella ricerca, Stefano Radice, ha scritto, di fatto, il primo libro pubblicato da Industria & Letteratura. Terminata, col secondo volume, quella ricerca, la casa editrice non ha fatto quasi più nulla. È stato il mio rapporto con Niccolò Scaffai, nato in Transeuropa quando facevamo parte della direzione della collana Nuova Poetica, a tenere in vita il sogno di creare un luogo che riproponesse il buono di quella esperienza, magari con uno spirito più consapevole delle dinamiche editoriali. Furono tre incontri fra me e Niccolò, tutti svolti alla Stazione di S. Maria Novella, in incroci fra treni in arrivo e treni in partenza, a convincermi che dovevo riprovarci. Proprio in quel periodo, era gennaio del 2018, ho rivisto dopo anni Flavio Santi, era venuto a Pavia alla presentazione di un mio libro, invitato da Andrea De Alberti. Lì ho iniziato la mia opera seduttiva, come scherzosamente la definiamo io e lui, perché mi concedesse un suo nuovo libro di poesia, visto che non avevo mai creduto alle sue dichiarazioni sulla fine della sua esperienza di scrittura in versi. Ci siamo scritti spesso. D’altronde le mie idee erano chiare: avrei fatto ripartire la casa editrice solo se Flavio mi avesse dato quel libro, il primo della collana Poetica. Così è nato tutto.
Non un progetto vero e proprio, insomma, ma un procedere sentimentale. Per capirci, nel dicembre 2020, quando è uscito il libro di Flavio, non avevo altri titoli da pubblicare e nessun budget preventivo. Nel giro di poche settimane è arrivato il libro di Matteo Pelliti e poi gli altri. Questo navigare a vista è l’inizio che tiene dentro anche il resto su cui si basa tutta la storia: gli incontri, le amicizie vecchie e nuove, la generosità di persone importanti nella mia storia, come Martino Baldi o Filippo Davoli. Regole poche: evitiamo i manifesti programmatici, i progetti che non siano aperti, le scuderie che si autoalimentano, anche se poi un gruppo si crea. Non andiamo dietro ai nostri gusti, e per riuscirci abbiamo chiesto a Julian Zhara, ad esempio, di seguire una collana dedicata alla poesia orale o performativa e abbiamo accolto la proposta di Riccardo Frolloni, uno dei nostri autori più giovani (uscì che aveva 28 anni), di dedicare una collana agli under 35.
Invece, rispetto alla seconda parte della tua domanda, so dirti poco. Non ho chiara la direzione che prenderà la mia casa editrice, con le sue collane, figuriamoci se so rispondere di un quadro così più ampio! Mi pare ci sia molto fermento, diverse nuove collane di piccoli o piccolissimi editori che mi sembra facciano ricerca e non chiedano agli autori di pagare, ma è un’impressione che potrebbe essere falsata dal mio angolo di osservazione. Ecco, una cosa posso dirla, con un certo rammarico: le grandi collane storiche mi sembrano un po’ sottotono, dovrebbero impegnarsi di più.
Frolloni, Le è appena stata affidata la curatela della collana di poesia under 35 Obtorto collo, inaugurata da Babajaga di Gaia Giovagnoli. Può parlarci meglio del progetto editoriale e illustrarci quali sono i criteri di selezione delle opere e/o degli autori?
Riccardo Frolloni (curatore): La collana Obtorto collo è nata dalla convinzione che le voci più interessanti della giovane poesia italiana siano quelle che abbiano superato alcuni binomi in un processo sincretico: tradizioni e trasmissione; lirica e ricerca, ecc. I risultati sono molteplici, stroboscopici e rizomatici, opere felicemente impossibili da inquadrare. Spesso lə poetə in questione utilizzano il mezzo-libro in maniera inedita, viene sfruttata la potenzialità del mezzo, diventando parte integrante della propria poetica, della propria logica: versi lunghissimi o versicoli; la posizione del testo nella pagina; la commistione tra testo e immagine; l’utilizzo di font diversi o di un layout ad hoc; copertina, quarta di copertina e interni; ecc. In quest’ottica, in questo orizzonte, qual è il ruolo dell’editore? Obtorto collo nasce dalla volontà di ragionare sul libro come progetto singolo, necessitando di una cura specifica, che sia la carta, il formato, il font o gli inserti. Ogni libro di poesia si rapporta col tempo, riflette sulla durata, raccoglie in sé periodi, epoche e falsh. Anche l’editore di un libro di poesia deve considerare questa durata e perciò fornire gli strumenti, i mezzi adeguati all’espressione artistica. In concerto con il direttore Del Sarto e in dialogo con lə autorə salezionatə, lavoreremo libro per libro, su ogni aspetto. I tempi saranno lunghi, senza una cadenza fissa, con la speranza di avere almeno due titoli l’anno. Il libro di Giovagnoli mi ha subito colpito perché non è tante cose, o meglio, ne è tante insieme: una favola gotica; un racconto in versi a puntate; una filastrocca nera; una storia magica e concretissima; una storia d’amore e di annientamento; la storia di una donna degenere e/o di una iper-donna. Non potevamo iniziare meglio. La poetica di Giovagnoli è inclassificabile ed esprime perfettamente la natura della collana. Questa incollocabilità ci ha spinti inoltre a scegliere di evitare prefazioni o postfazioni, chiedendo in compenso allə autorə di scrivere un pezzo di auto-investitura poetica, di auto-riflessione, perché la poesia giovane ha senz’altro molto da dire anche sul piano critico oltre che su quello poetico, dove “giovane” non significa immaturo. Abbiamo scelto di scrivere “under 35”, che è come dire tutto e niente, è una indicazione vaga, come dire “boomer”: nessuna questione anagrafica, poiché «boomer is a state of mind». Le scelte saranno ponderate e ragionate, ma anche condivise e discusse: dietro ogni progetto c’è una squadra, tra graficə, ufficio stampa e curatorə, tuttə lettorə attentə che mi aiuteranno nella costruzione di questo percorso. Ospiteremo libri coraggiosi e consapevoli, libri che, obtorto collo, sono semplici libri di poesia.
EDIZIONI VOLATILI
Cornelio, Lei e l’illustratrice Giuditta Chiaravalle siete curatori e ideatori delle Edizioni Volatili. Il vostro è un progetto editoriale che si distingue da molti altri e ricorda un po’ l’operazione della storica Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy. Qual è, a Suo avviso, la piega che sta prendendo l’editoria italiana di poesia negli ultimi anni?
Giorgiomaria Cornelio (curatore): Piega è una parola che mi piace: non è forse proprio un piegarsi e spiegarsi di differenti possibilità che mette in campo l’editoria oggi, rendendo difficile una definizione univoca? Dove il fatalismo condannava tutto alla morte del libro, mi sembra invece che vi siano continue rinascite di formati e modelli editoriali, che spesso riemergono per vie tortuose, soprattutto nelle nuove generazioni. Poi bisognerebbe interrogarsi su quanto di ciò che si stampa venga effettivamente letto… ma non c’è da disperare. Ciò che serve all’editoria è un esercizio di apprendistato al molteplice fatto dai lettori: un voto di vastità pronunciato contro le proprie “zone familiari”.
Può raccontarci come e quando sono nate le Edizioni Volatili e dirci perché, oggi, si dovrebbe tornare a far circolare i libri attraverso l’esoeditoria?
Giorgiomaria Cornelio: Le Edizioni Volatili sono nate per via di un traballamento, di un “curioso” destino: durante la prima edizione della festa dei Fumi della fornace una mostra venne annullata all’ultimo minuto; io e Giuditta ci siamo inventati allora un libro, Favole dal secondo diluvio, che fosse un modo di rielaborare l’idea della catastrofe in chiave di rinascita. Da quel librino nato senza volerlo si è generata poi una “congerie” di altre opere volatili ed esoeditoriali, dove l’esoditoria è intesa come una disciplina del dono, del dialogo ininterrotto tra chi fa il libro e chi lo riceve (cose difficilmente pensabile nel contesto del grande mercato editoriale).
Come scrivevo altrove, volatilità non significa necessariamente impermanenza, ma un modo diverso di rivolgersi al tempo: una prospettiva in cui il libro non si risolve nell’immediato, ma è consegnato a quel tempo di mezzo che è definibile soltanto come tempo dell’occasione: «ecco, il libro si è fatto strada fino a me. Solo in questo momento – con questa consegna – è davvero giunta l’ora della sua leggibilità». Ma la consegna va continuamente rinnovata…
L’oggetto libro realizzato con le Edizioni Volatili si aggira sui social, librandosi nella sua clandestinità e preziosità; come mai non c’è ancora un sito web ufficiale delle Edizioni Volatili? In futuro potrà esserci uno spazio in rete dedicato a questo progetto?
Giorgiomaria Cornelio: Esiste una pagina Facebook e una Instagram; sul sito abbiamo riflettuto più volte, e forse nascerà. Ma la qualità volatile del progetto sta anche nel modo curioso con cui sfida il proprio nascondimento: i nostri libri circolano liberamente, hanno sentieri imprevedibili, nati appunto dagli incontri, dai luoghi che decidono di ospitarne la consegna. Un volatile appare su un quotidiano nazionale, un altro diventa l’innesco per un libro stampato da una “grande casa editrice”, e un altro ancora ha la sua vita minimissima, ma capace di fomentare straordinarie occasioni di ritrovo tra i lettori. Apprendistato al molteplice, appunto, anche nelle forme di diffusione…
Può illustrarci quali e quante sono le collane di poesia che avete all’attivo e dirci qualcosa di più su quali sono i criteri di selezione delle opere e/o degli autori?
Giorgiomaria Cornelio: La collana dei Cervi volanti, che conta al momento tre serie e più di venti volumi, è nata per ospitare forme poetiche e narrative senza precisi vincoli di appartenenza (neanche quelli del diritto d’autore). I libretti sono costruiti per trasparenze, inciampi, illustrazioni che sconfinano in segnalibri, sempre realizzati da Giuditta Chiaraluce insieme all’aiuto indispensabile della tipografia d’arte Grafiche Fioroni. La tiratura è limitata, ma è decisa di volta in volta con l’autore o l’autrice, che gestisce liberamente il transito. La seconda collana, Isola e isole, è dedicata invece ai saggi brevi, che si traducono in mappe e atlanti immaginativi attraverso il segno di Giuditta. Le lepri sono leporelli, montaggi e spiegamenti tra la scrittura e il disegno, per ora dedicati all’arte dell’ebrezza e della cucina. E poi c’è Minimo storico…
Ci racconta qualcosa in più sulla recente collana Minimo storico?
Giorgiomaria Cornelio: Come da titolo: libri piccolissimi nel formato, spesso costruiti come bestiari, raccolte immaginifiche di detti o situazioni che guardano con tenera spietatezza al tempo in cui viviamo, o ai vizi di chi scrive. Penso al primo titolo, Il libro delle dediche, che ho realizzato pensando alla mia ossessione per la scrittura di dediche personalizzate (spesso più arzigogolate del libro stesso), oppure a Vero metodo per la cernita dei poeti di Marco Giovenale, dove ci possiamo riconoscere tutti e tutte: «metaforuti, metricisti OCD, fulminati con l’agnolo di Benjamin, tassidermisti celaniani, barellieri per l’ermetismo, semi-invisibili, invisibili del tutto […]». Il titolo più recente è L’unicorno, o il libro delle poesie inesistenti di Davide Cortese, con il quale mi congedo: «questa poesia non è pervenuta». Che altro aggiungere?
IANIERI EDIZIONI
Attiva da oltre vent’anni, la Ianieri è considerata la casa editrice dannunziana per eccellenza, che in Abruzzo si distingue per avere affrontato con serietà un percorso a metà strada fra innovazione e tradizione. Ianieri, può raccontarci la storia della casa editrice e poi indicarci qual è, a Suo avviso, la piega che sta prendendo l’editoria italiana di poesia negli ultimi anni?
Mario Ianieri (Editore): La casa editrice Ianieri Edizioni nasce nel 2001, con il primo libro della collana dedicata agli studi dannunziani. Pubblico e critica mostrano subito profondo apprezzamento per queste pubblicazioni che hanno l’ulteriore pregio di permettere di ricostruire, attraverso la figura del Vate, una parte importante della storia culturale del Novecento. In seguito, il progetto editoriale ha abbracciato anche la narrativa, l’arte, le biografie (con la prestigiosa collana Archivio di cultura moderna) e il teatro, con la collana I quaderni di Gioia, diretta da Dacia Maraini.
Nel 2017, spinta dal desiderio di crescere, ha proiettato il suo interesse al di fuori dell’ambito regionale per raggiungere un più ampio ventaglio di lettori. Ha “rivoluzionato” il modo di lavorare, puntando sulla riconoscibilità e sulla promozione e distribuzione sull’intero territorio nazionale. Così ha dato vita alla nuova collana di romanzi d’autore Notturni, con il libro Straniera di Pamela Schoenewaldt; si è coraggiosamente tuffata nel mondo dei gialli con l’avvio della collana Le dalie nere e rinnovato, sia nella veste grafica che nella linea editoriale, la già nota collana Forsythia. Di recente, dopo diversi anni di silenzio, hanno ripreso il cammino due collane molto importanti: L’angiolo per la poesia e Le matite colorate per i bambini.
Il mercato della poesia è il più difficile, lo dimostra il fatto che anche i grandi poeti di oggi e le collane prestigiose non vendono. Emblematico anche il fatto che la poesia viene tenuta fuori dalle classifiche dei giornali. Ma nonostante questo, credo che la si possa far arrivare a un pubblico più vasto, magari con il supporto della critica, della scuola e dell’università. Sicuramente un valido aiuto al mercato della poesia potrebbe arrivare da festival, reading pubblici, blog, social e così via.
Barone, la curatela della collana L’Angiolo, riaperta da poco, è appena passata nelle Sue mani. Pur non trattandosi di una collana di poesia con un limite d’età, la scelta inaugurale è caduta su un’autrice giovane: Federica Maria D’Amato, classe ’84, ex curatrice della collana L’Angiolo, riemersa ora con La montagna dell’andare, rompendo un lungo silenzio. Può parlarci meglio del progetto editoriale e di quali sono i criteri di selezione delle opere e/o degli autori?
Fabio Barone (curatore): Già dimorava, da tempo dentro di me, il desiderio di curare una collana di poesia, pur avendo io una età — trent’anni compiuti ad aprile 2023 — e un’esperienza in qualità di scrittore, lettore, ‘studioso’ e frequentatore del mondo letterario e artistico che definisco semplicemente ‘giovane’. Giovane perché porta con sé un tempo dell’esistenza dominato da un vigore e una passione che esulta pei suoi molti slanci, dei suoi rischi poco meditati, di una certa (forse) ingenua temerarietà e azione incapace d’essere troppo misurata. Agli occhi di molti, l’essere diventato direttore della collana L’Angiolo edita da Mario Ianieri e la sua Ianieri Edizioni può sembrare un azzardo, eppure, per casualità o destino, gli incontri della mia vita han voluto portarmi fino a qui, trascinato da una corrente alla quale non ho opposto resistenza, ma che ho scelto di assecondare. Io e Mario Ianieri ci siamo incontrati, prima dell’estate scorsa, a una presentazione di un libro edito dalla sua casa sulla poesia del conterraneo Giuseppe Rosato. In quell’occasione abbiamo toccato l’argomento della sua collana di poesia chiusa da circa sei anni. A quel punto, lo slancio, il tocco fatato di un calciatore che piazza un assist perfetto per un gol. Dissi a Ianieri che se aveva bisogno avrei potuto occuparmi io della collana. Da quell’incontro ci lasciammo con un “va bene, riflettiamoci, ci risentiamo a metà o fine estate per riparlarne”, anche perché nel periodo che ha preceduto l’estate ero impegnatissimo con la prima edizione dei Premi Flaiano Poesia.
Trascorso un mese dalla cerimonia finale del Flaiano, svoltasi a fine giugno, io e Mario Ianieri ci siamo casualmente incontrati a un festival e gli intenti di entrambi non erano mutati: io ero ancora convinto ed entusiasta della mia proposta e così lui. Da quel momento presi la direzione della collana, lanciammo la notizia sui social e sui giornali e cominciarono ad arrivare i manoscritti. Una dozzina, circa, nel primo mese. Tra questi c’era quello di Federica D’Amato, ex direttrice della collana dal 2013 al 2017. Come è ovvio, presi in uguale considerazione ogni manoscritto insieme a quello della D’Amato, da sei anni chiusa in un silenzio letterario dopo il suo ultimo libro A imitazione dell’acqua edito da Nottetempo (entrato nella terna finalista del Premio Letterario Città di Como di quest’anno, dove si è aggiudicato la terza posizione). La mia scelta è caduta su di lei per le caratteristiche e la forza di mostrarsi, in questo La montagna dell’andare (in uscita il 10 novembre, giorno in cui lo presenteremo al FLA – Festival di Libri e Altre Cose di Pescara), nuda di fronte alla sua esperienza di vita e di ricerca di senso, che l’ha messa in crisi e tenuta in silenzio per lungo tempo. Quel che intendo per ‘nudità’ in poesia, oggi, è una caratteristica rara da trovare, nel senso di un’espressione linguistica che non nasconda e simbolizzi troppo ai lettori le proprie metamorfosi, le stagioni esistenziali della vita, e sappia farne un’arte come nel caso della D’Amato i cui testi sono circondati in modo soffuso da una caratteristica per me fondamentale: il canto, un ritmo e la musicalità nel comporre, elementi che non rispondono a mera esigenza tecnica bensì hanno «a che fare con la coscienza immediata», usando le parole di Yves Bonnefoy.
La sovraffollata situazione editoriale nella poesia odierna, le cui caratteristiche più in voga sono quelle di un verso prosastico estremamente analitico, distaccato dal proprio sentire, opaco e spesso privo di una visione che consideri l’oggetto libro come un piccolo sistema di pensiero per mettere a fuoco una una verità valida per tutti, mi ha fatto propendere in accordo con Ianieri di non pubblicare più di due massimo tre libri l’anno. I ‘criteri’ poi, la ‘condotta’ o forse meglio la linea che cerco nei futuri autori o autrici de L’Angiolo è, prima di tutto, un rapporto ustorio con la conoscenza — pur nei limiti ovvi di ogni propria, modesta e limitata esperienza di vita; ancora la capacità di saper riflettere quell’attenzione conoscitiva in un linguaggio che non nasconda i limiti suddetti incontrati nel proprio cammino esperienziale, una voce che sappia dunque tendere al lirismo dal quale poter evincere una partecipata visione del mondo, e così la temperatura attraverso la quale lo si sente, quel mondo, e non un semplice resoconto simile a uno schedario. In conclusione, a compendio e chiosa di quanto detto, riporto delle parole di Mary Oliver, poeta americana morta nel 2019, che in pochi versi fa brillare il senso spirituale che credo debba orientare ogni autore/autrice: «Quando sarà finita, voglio poter dire: tutta la vita / sono stata una sposa della meraviglia. / […] Non voglio finire con l’avere solamente visitato questo mondo» (When Death Comes).