Shakespeare

 
 

Nel garbuglio filologico che pongono i bellissimi Sonetti di Shakespeare (1564-1616) si avventura Gabriele Bandini in un’edizione Feltrinelli (1965, 1980) con una versione in prosa di Lucifero Darchini e in appendice un folto gruppo di traduzioni di altri autori. Scrive: “Una storia d’amore senza difficoltà non ha molte ragioni d’esser divulgata. L’epopea del quotidiano non era certo tra i temi della poesia barocca. E Shakespeare non si potrebbe illustrare con Vermeer o Chardin. Si accetti dunque la vicenda dei sonetti per quel che è, senza falsi pudori: scontata la situazione, la storia d’amore narrata da Shakespeare è tra quelle non solo più sottilmente indagate dai poeti moderni, ma è anche tra quelle nutrite della più alta dignità, qual è quella dell’umano soffrire, che riceve nei sonetti l’espressione insieme più straziante e fiera di tanta esperienza”. Ma prima di passare agli autori antologizzati, ecco una versione di Lorenza Franzin particolarmente dolce: “Devo paragonarti a un giorno d’estate? / Tu sei più amabile e moderato: / venti impetuosi scuotono gli incantevoli boccioli di maggio / e il corso dell’estate ha durata troppo breve; // talvolta l’occhio del cielo splende troppo intensamente, / e spesso il suo volto aureo viene oscurato; / e ogni bellezza dalla bellezza talora declina, / sciupata dal caso o dal mutevole corso della natura. // Ma la tua eterna estate non dovrà appassire, / né perdere la bellezza che ti appartiene; / poiché crescerai, col passare del tempo, in versi eterni. // Finché ci saranno un respiro e occhi per vedere, / questi versi vivranno e ti manterranno in vita” (Demetra, 2001). In Shakespeare e i poeti elisabettiani (Mondadori, 2012) ai sonetti segue uno scritto di Oscar Wilde a mo’ di postfazione: “(…) Come studioso di Shakespeare io pure m’ero trovato costretto a considerare i Sonetti una cosa a parte, estranea all’evoluzione dell’artista come drammaturgo, quasi indegna del suo ingegno. Ora invece (…) vedevo gli umori e le passioni che riflettevano come parte essenziale al perfezionarsi dell’arte drammatica shakespeariana e che proprio dalle esigenze del teatro elisabettiano queste poesie traevano la loro origine. Ricordo la gioia provata sentendo che quei Sonetti mirabili, – Sottili come la Sfinge, dolci e musicali / Come il liuto formato dai capelli del radioso Apollo – non rimanevano più isolati dall’impeto creativo del poeta ma erano, anzi, parte essenziale della sua attività drammatica e ci rivelavano qualcosa sui segreti del suo metodo”.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
XXII
 
Non mi convincerà lo specchio ch’io son vecchio
finché tu e gioventù siete coetanei,
ma quando in te vedrò del tempo i solchi
mi aspetterò che morte espii i miei giorni.
Ché tutta la bellezza che t’adorna
è sola degna veste del mio cuore
che vive nel tuo seno, come il tuo vive in me;
come dunque sarei di te più vecchio?
Abbi perciò, amor mio, cura di te
come io ne avrò, non per me, ma per te,
custodendo il tuo cuore, e ne avrò cura
qual tenera nutrice che un bambino guardi dal male;
non contar sul tuo cuore quando il mio sarà assassinato:
mi desti il tuo per sempre, senza restituzione.
 
Traduzione di Giorgio Melchiori
 
 
 
 
 
 
XLVIII
 
Con che animo, partendo, li ho rinchiusi,
i miei ninnoli, e con che serrature,
per trovarli, inusati, al mio solo uso,
da mani d’altri, cupide, al sicuro.
Ma tu che rendi men che nulla questi
gioielli se ti mostri, tu mio primo
conforto e ora mio cruccio, preda resti
d’ogni furfante che ti s’avvicina.
Non t’ho messo in alcuno scrigno, fuori
di quello in cui non sei, ben ch’io ti senta
qui pure: nel’asilo del mio cuore
dove tu giungi e parti a tuo talento.
Per essermi rubato, poi: se avviene
ch’è ladra anche virtù con un tal bene.
 
Traduzione di Eugenio Montale
 
 
 
 
 
 
CXIX
 
Quali bevvi pozioni delle lacrime di Sirena
stillate da alambicchi torbidi dentro come inferno,
rivolgendo speranze a paure, le paure alle speranze,
soccombente anche quando mi vidi vincere!
Quali mai commise il mio cuore errori sciagurati
mentre si presumeva come non mai augurato!
Come i miei occhi furono dall’orbita propria stravolti
in quel delirio di furiosa febbre!
Beneficio del male! Ora m’appare vero
che il meglio dal cattivo è migliorato;
che un amore crollato, ricostruito,
cresce forte, leggiadro, grande, più di prima.
Così ritorno a contentezza castigato,
e dai mali guadagno il triplo dello speso.
 
Traduzione di Giuseppe Ungaretti