Scrivere, salvare – Samir Galal Mohamed

Scrivere, salvare - Samir Galal Mohamed 1

 
 
 
 
Tra un millennio
o tra qualche
questa sfera si somiglierà
non sembrerà altri che se stessa
 
non avremo nessun altro luogo
 
significheranno tutti allo stesso modo
 
i piani
le regioni
gli arcipelaghi
 
i paesaggi
 
i grattacieli
le chiese
le macchie:
 
vi circolerà il medesimo senso
 
l’interdizione del senso
 
il dettato sarà taciuto
ogni voce, di ogni spazio e di ogni tempo
tra qualche millennio
resterà inascoltata.
 
 
 
 
 
 
Scrivere/salvare

Monia Andreani in memoriam

 
Un indirizzo di casa, un numero di telefono,
o un profilo digitale, come triangoli semiotici,
senza un referente, semplicemente non funzionano.
Per questo, ho cestinato tutte le email
che ci siamo scambiati: continuavo a rileggerle.
Il morboso che è in me non è poi molto diverso
dalla sessione di composizione di una poesia:
in perenne agitazione, in stato d’agguato perpetuo.
Allora la scrittura si declina in una questione di etica,
accoglie il tragico per tornare a parlare di deontologia.
La morte di un essere umano, di uno in particolare,
agli occhi di coloro che rimangono, mi rende speciale.
Scrivo in memoria per scrivere di quanto lavoro
ci resta ancora da fare: scrivere, salvare.
 
 
 
 
 
 
Scrivere comunque
 

Superare il trauma della riconfigurazione, della disposizione dei mobili ai colori delle pareti, delle tende rinfrescate agli armadi vuoti: la casa sarebbe rimasta altrimenti inalterata.

Superare il trauma della negazione, della vita nuova che rigetta l’accaduto; più prosaicamente: un trapianto immobiliare.

Ritornare ai luoghi della relazione, riconoscersi un intruso, avvertirsi incomprensibili. Separarsi.

Ritrovare mio padre negli occhi degli arabi. Avere timore di loro, prendermi cura di lui. Riservare il rancore agli arrendevoli. Infine, risparmiarmi.

Non essere sicuri di avere delle cose da scrivere. Scriverle comunque. Farle rivivere.

 
(Samir Galal Mohamed, Damnatio memoriae, Interlinea, 2020)
 
 
 
 

In questi testi Samir Galal Mohamed affronta la relazione tra parola scritta, memoria, e possibilità di senso, riferibile sia alla percezione individuale dell’esistere, sia alla possibilità di riconoscere un significato immanente e assoluto nella realtà circostante del mondo, dell’altro, e dell’essere-in-relazione: in questa tematica la memoria si scontra anche con la variabile macroscopica del tempo, che schiaccia quello dell’uomo e della specie umana, rendendo particolarmente afflittivo e contraddittorio il tentativo di imprimere efficacia ed energia alla parola scritta, alla sua propensione naturale ad essere portatrice di valore e di memoria individuale e storica.

Il primo dei testi proposti esprime bene questo smarrimento, con la visione di un mondo proiettato in un futuro anteriore, in cui ogni luogo si annienta in un indistinto sia geografico che visivo, ma anche di significato (“non avremo nessun altro luogo / significheranno tutti allo stesso modo”), dove l’estensione universale del medesimo senso equivale alla sua negazione; ed ecco la conseguenza naturale, che risponde ai presupposti delle problematiche dianzi esposte: “il dettato sarà taciuto / ogni voce … resterà inascoltata”, in una visione che si concreta, sostanzialmente, in uno spegnersi della memoria e anche della sua possibilità, dalla parola pronunciata alla sua impressione in una forma scritta e tramandata.

Il secondo testo raffigura una mancanza più prossima, per quanto dolorosa: nel raccogliere ogni dettaglio della perdita di una persona cara, attraverso il corto circuito che si realizza “senza un referente” umano, quando gli sopravvivono “un indirizzo di casa, un numero di telefono, / o un profilo digitale”, l’io lirico mostra bene l’introiezione desolante dell’elaborazione della contraddizione della provvisorietà, dello svanire; per quanto “la morte di un essere umano, di uno in particolare, / agli occhi di coloro che rimangono, mi rende speciale” (non senza un’amara ironia), la scrittura diventa strumento di necessaria conservazione, di preservazione di ogni dettaglio relazionale, esperienziale e di valore da quella tensione all’indistinto, annichilente, cui il mondo sembra tendere inesorabilmente: “scrivo in memoria per scrivere di quanto lavoro / ci resta ancora da fare: scrivere, salvare.”

“Scrivere comunque”, titola Samir Galal Mohamed nel terzo testo, rievocando la lezione fortiniana, nonostante “il trauma della riconfigurazione”, necessaria ad affrontare il continuo trasformarsi delle circostanze della nostra vita, nella sua precarietà e temporaneità, nonostante “il trauma della negazione”, che tende a rimuovere la spina dolorosa de “l’accaduto” per confortarsi in una “vita nuova”, fino ad essere in grado di “ritornare ai luoghi della relazione”, al punto più dolente, attraverso una comprensione nuova del passato, delle proprie origini, e della propria identità presente.

Salvare, si è detto, nella duplice accezione di sottrarre alla rovina della dimenticanza e di conservare in quanto vettore di valore; e quest’attività necessaria, funzione essenziale della parola scritta, direttamente, e della memoria, indirettamente, diventa azione – nonostante l’incertezza umana di “non essere sicuri di avere delle cose da scrivere”, perché “scriverle comunque” significa sottrarle alla morte della dissolvenza, “farle rivivere”, in un estremo atto di resistenza a quella “interdizione del senso” che attende la nostra specie e il nostro mondo al termine del suo tempo.

 

Mario Famularo