Ascoltiamo il grandissimo Robert Frost: “Più d’una volta mi sarei abbondato all’estremismo, se questo avesse avuto l’originalità che vi vedevano erroneamente i suoi giovani proseliti. Quel che chiedo per la mia nazione è originalità e iniziativa. Per quanto mi riguarda l’originalità non è nulla più della freschezza d’una poesia (…) dalla gioia alla saggezza. La figura è la stessa che per l’amore. Come un pezzo di ghiaccio su un forno rovente la poesia deve scorrere sul proprio sciogliersi. Essa può essere rielaborata una volta che esiste, ma non può essere fatta esistere con mezzucci. La sua qualità più preziosa resterà il suo essersi costruita da sola ed aver portato con sé il poeta. Leggetela cento volte: manterrà sempre la sua freschezza come un metallo la sua fragranza. Non può mai perdere il senso di un significato che una volta si rivelò inaspettatamente mentre andava facendosi”. (11 gennaio 1939).
In quel delizioso libro che è Conoscenza della notte con traduzione di Giovanni Giudici (nientedimeno!) negli Oscar Mondadori (1988 e successive ristampe; a cura di Massimo Bacigalupo). Nato il 26 marzo 1874 a San Francisco, Robert Lee Frost, morto il 29 gennaio 1963, a Boston, ebbe l’infanzia e in genere la vita funestata da lutti. Come tanti altri scrittori, perse il padre ancora giovane. La madre, lettrice e scrittrice di versi, introdusse Robert a Burns, Scott, Wordsworth, Bryant, Poe ed Emerson. Frost vinse 4 premi Pulitzer. E fu concretamente aiutato per la diffondere la sua opera da Ezra Pound. Visse la maggior parte della sua vita in una fattoria e descrisse la natura.
Pierangela Rossi
Mietitura
Non si sentiva oltre al bosco altro suono che uno,
La mia lunga falce che frusciava al suolo.
Che cosa sussurrava? Non lo sapevo io stesso;
Era forse qualcosa sul calore del sole,
Qualcosa, forse, sull’assenza di suono –
Per questo sussurrava e non parlava.
Non era il sogno d’ore vuote,
O facile oro profuso da fata o da elfo:
Qualunque cosa in più della verità sarebbe apparsa
Debole al fermo amore che ordinò il prato in solchi,
Non senza delicate lanceole di fiori
(Orchidee pallide), e un fulgido serpente fugò.
Il fatto è il sogno più dolce che la fatica conosca.
La mia lunga falce frusciava, lasciava il fieno ammucchiarsi.
Ottobre
O dolce quieta mattina d’ottobre,
Sono pronte a cadere le tue foglie,
Il vento di domani, se sarà
Forte, tutte le sperderà.
Sopra la selva il richiamo dei corvi;
Forse domani se n’andranno a schiera.
O dolce quieta mattina d’ottobre,
Lente inizia le ore di questo giorno.
Fa’ che il giorno ci sembri meno breve,
Noi, cuori non avversi all’illusione,
Illudi nel modo che sai.
Stacca una foglia all’aprirsi del giorno;
A mezzodì stacca un’altra foglia;
Una dai nostri alberi, una molto lontano.
Attarda il sole con la nebbia gentile;
Incanta la terra col tuo ametista.
Oh, lentamente!
Per amore di quella vigna, non foss’altro,
Le cui foglie già sono strinate dal gelo,
I cui grappoli andranno altrimenti perduti
– Per amore di quella vigna lungo il muro.
Riluttanza
Fuori per campi e boschi
E oltre le mura ho viaggiato;
Salito su colline panoramiche
Ho guardato il mondo, sono sceso;
Per la via grande son tornato a casa,
Ed ecco ho terminato.
Le foglie sono tutte morte a terra,
Ma la quercia le sue trattiene
Per ammucchiarle una a una
E lasciarle graffiare e strisciare
Fuori sulla crosta di neve,
Quando le altre staranno a riposare.
Confuse e immobili le foglie morte,
Non più sbattute qua e là;
L’ultimo astro solitario è scomparso;
Appassiscono i fiori dell’hamamelis;
Ancora cerca e si tormenta il cuore,
Ma i passi domandano “dove?”
Ah, quando mai al cuore dell’uomo
Fu meno che un tradimento
Lasciarsi alla deriva delle cose,
Cedere con grazia alla ragione,
E piegarsi e accettare la fine
D’un amore o d’una stagione?
(Da A boy’s will, 1913)