RITI DI SEDUZIONE di Ottavio Rossani (Nomos Edizioni 2013, prefazione di Maurizio Cucchi).
A leggere il titolo dell’ultimo lavoro poetico di Ottavio Rossani, Riti di seduzione edito da Nomos Edizioni e caratterizzato in copertina dalla sigla d’uso dell’Editore Poesia contemporanea, non si può non pensare a un altro bellissimo libro di poesie di seduzione uscito non molto tempo fa per Einaudi: Affari di cuore di Paolo Ruffilli. In quello l’autore trevigiano confeziona e restituisce al lettore un erotismo e una seduzione carnali, penetranti, che fanno (per citare un altro bel libro del Ruffilli) una gioia e un lutto del tacco della scarpa della donna.
Sfogliando Riti di seduzione di Ottavio Rossani, poeta, scrittore, regista teatrale, giornalista da 40 anni per il Corriere della Sera e curatore del blog poesia.corriere.it, si ha però un’impressione totalmente diversa da quella avuta di primo acchito dal titolo e si comincia a capire non solo il libro, ma anche l’autore e la chiave di lettura dello stesso. Perchè già dai primissimi testi (Lettura, Inciampi, Mistero creativo) si comprende quanto il termine seduzione vada letto sotto un altro aspetto. La seduzione non è il succitato ruffilliano tacco della scarpa ma più un eros e thanatos (intesi come ciò che di cui si ha bisogno e ciò che si ha dalla realtà) in un’urgenza umana imprescindibile (Ignotamente, dunque, te ne vai. / Scoprirai maldestramente qualcosa, / qualcosa che già da sempre era / informe e urgente nella mente) che ha intrinseco il dato del dramma (quando la fusione dei corpi è avvenuta / si portebbe anche chiarire / dove si blocca o si scatena la creazione, / forse si scoprirebbe che c’è troppo dolore) e che giustifica l’altro termine importantissimo del titolo: Riti. Perchè i riti, il rito umano, non è altro che l’accettazione della pulsione e la sua regolarizzazione, che crea poi la speranza, l’aspirazione, che cozza poi con la realtà e appunto il suo dramma. Un dramma che, nello svolgersi del libro e più specificatamente nella prima sezione che dà nome al volume, Seduzioni, porta la chiave di lettura del titolo a un significato ancora più antico. Seduzione è anche la relazione che il serpente costruisce con Eva nel giardino di Eden al fine di farle perdere la luce divina. Una seduzione non fisica, ma psicologica, addirittura esistenziale, che ha la tragedia della caduta come componente essenziale della seduzione stessa.
Ottavio Rossani resta in un equilibrio assolutamente non precario ma perfetto nella sua capacità di riflessione ed esame della realtà (non dimentichiamo che è giornalista da 40 anni, con all’attivo viaggi in tutto il mondo) che lo stesso prefatore Maurizio Cucchi gli riconosce affermando: questo nuovo libro di Rossani si sostanzia anche di un elemento importante, che è quello di una pacata saggezza, frutto, certo della maturità e dell’esperienza varia dell’autore, ma anche di una naturale disposizione a un felice equilibrio riflessivo. L’autore in una serie di testi d’osservazione della realtà è capace di intitolare una poesia Luce per poi iniziarla fin dal primo verso con Annunciano orrori. Il contrasto tra ciò che l’occhio desidera come pulsione e ciò che l’occhio assorbe e accetta come realtà evolve addirittura in un senso di inadeguatezza (Sei qui. Siamo qui. / E non ci vediamo. / Forse non sappiamo / più come si fa) che lascia una sorta di fame all’occhio stesso (Poi, d’improvviso, una voce: / è ora di spostarsi verso la luce). Non manca un’eco ricorrente anche in altri autori non più giovanissimi, che forse indica la saggezza raggiunta con l’esperienza (l’autore di questa recensione non può ancora dirlo, avendo solo 35 anni): Domani torneremo / alle nostre banali case, / nella vita senza passione. / Finchè non s’incendierà / un altro buio (mi viene in mente lo Squarotti di Fu sempre certo di aver avuto molto / da Dio perchè ebbe te i due figli qualche ansia e affanni / sopportabili, cioè la verità che forse salva / anche se non consola).
Un altro dato che colpisce nella composizione di questo libro è la distinzione netta tra i tre capitoli (Seduzioni, Cartoline, Finestre aperte) che Maurizio Cucchi spiega con le differenze compositive (nel primo regolarità strofiche, nel secondo epigrammi, nel terzo microracconti). Tre modi diversi di osservare il reale, non solo a livello formale ma anche sostanziale con l’uso, anche questa volta, di termini chiave. In Seduzioni infatti c’è la contraddizione tra ciò che è necessario (la luce) e ciò che invece si vede (l’orrore, il dramma, la perdita, ma anche ciò che è fuori contesto). In questa sezione non è raro leggere il termine vedere, mostrare, che indica il cronista poetico che annota ciò che vede e lo mette a confronto con ciò che umanamente lui vorrebbe come esigenza umana. In Cartoline invece il tono si modula nell’intimo, nell’introspettivo, allontanandosi un poco dalla cronaca per esaminare ciò che l’esperienza precedente del cronista ha lasciato dentro, nell’umanità dolente interiore. E inevitabilmente l’autore non può non incappare nel suo bisogno, nella sua natura che chiede e che cerca nonostante il reale. Uno dei termini chiave della sezione è, in maniera tutta emblematica, la parola colore (Esplosioni di vuoti / in colori sgargianti ma anche Datemi ora buone notizie, / se potrò ravvivarmi / nel campo dei colori o tremuli colori, un nuovo giorno). In Finestre aperte infine il dato è un racconto, ciò che l’autore osserva dalla metaforica finestra di casa senza aver più bisogno di navigare il mondo e prendendo atto della navigazione interiore appena trascorsa (in Cartoline). Le storie mantengono la componente del dramma (Quei ragazzi oggi canuti sentono / ancora rimorso per un crimine) ma scoprono e guadagnano una differente relazione basata sulla fascinazione, sull’incredulità (E sotto la crosta del sorriso / resto una costante incredulità). Un guadagno effettivo che viene recitato nei testi da Ottavio Rossani non come un proprio successo, come un obiettivo raggiunto della propria vita, bensì come un’affermazione di realtà. Rossani pare spiegare sul foglio che non c’è luce senza ombra, e l’ombra stessa è solo un percorso temporaneo verso la luce (Pianse chiuso nel sottoscala, / con la testa tra le mani, / tre giorni e tre notti. / Così si sfebbrò e cominciò / a guardare le ragazze).
La redenzione, o almeno un tentativo di essa, è una parte fondamentale di questa sezione (L’offerta più generosa quell’anno venne / da un ricco commerciante di mucche, / che aveva spezzato un’anca / alla fidanzata rea di un sorriso). Redenzione reale, redenzione formale, comunque un passaggio che porta al termine chiave di questo capitolo: l’andare. Andare nel tempo, andare nella vita, andare nei luoghi (Solo quindici anni dopo / si dissero che si piacevano. – Il piccolo assorto sulla spiaggia / corse via intimorito. – Ogni giorno durante il campeggio in Sila / si facevano marce di chilometri). Fino all’ultimo testo della sezione e della raccolta che evolve il significato del termine andare in ritornare, un ritornare verso casa (La casa arancione era al centro […] Fu l’unico tempo spensierato, rimasto nella memoria come un altare).
Lo spazio di una recensione è ovviamente sempre ingrato al recensore e al suo desiderio di dire tutto (o almeno di provarci) sul libro in esame. E le cose da dire su Riti di seduzione di Ottavio Rossani sono tante, veramente tante. Per avviarmi alla conclusione in uno spazio accettabile per un lavoro come questo voglio sottolineare un accorgimento che evidentemente l’autore ha voluto mettere nell’architettura del suo lavoro, forse ad aiuto del lettore stesso. Ogni capitolo, come spiegato caratterizzato da un termine chiave che ne dà il tono e il significato, ha nel capitolo precedente una poesia introduttiva con lo stesso termine chiave. L’ultimo testo di Seduzioni infatti, e che apre a Cartoline, parla specificamente di colori come il capitolo in apertura (Fulminanti i colori dell’acqua / -giade, turchesi, topazi, smeraldi- / dopo il viaggio nel sogno restituiscono / alla rituale festa di dolori). Così come l’ultimo testo di Cartoline apre alla tematica dell’andare di Finestre aperte (Andrò molto lontano. / Lungo il tragitto troverò / qualche buon compagno. / Anche da solo tuttavia / arriverò. Arriverò). La stessa cosa la troviamo addirittura nel penultimo testo del libro, che introduce il concetto del ritornare della poesia conclusiva (Dalla stazione arrivò fino a casa / tre chilometri a piedi su un viottolo) dove chi vi scrive sottolinea una piccola rima, un piccolo parallelo che rischia di diventare, forse inconsapevolmente, il significato ultimo del libro: Lui, a suo tempo, s’era fatto riformare. Un riformare che echeggia il ritornare, la soluzione, la conclusione.
Ma sulle conclusioni di un libro non è mai bene soffermarsi, perchè come le poesie sono più del lettore che del poeta anche le conclusioni godono dello stesso destino, della stessa appartenenza. Per cui del libro di Ottavio Rossani, che Maurizio Cucchi definisce come un libro di umanissima maturità poetica e al quale giustamente augura tutta la fortuna che si merita, voglio per chiudere citare uno dei testi più belli ed emblematici dell’intero lavoro, e che ne esplorano l’occhio, il viaggio, probabilmente anche il ritorno: Se la felicità esiste, / come tu sostieni, / sarà ellittica, avulsa / dal luogo designato. / Come identificarla / tra le forme cangianti / dell’inatteso dolore…
Alessandro Canzian