In questo periodo leggere un poeta è spesso un risentire i suoi testi che si sono prima ascoltati dalla voce della persona e poi ritrovati tra le pagine del suo libro. Perchè questo è il tempo dei reading, dei festival, senza dimenticare youtube. Per questo leggere Portarsi avanti con gli addii di Francesco Tomada (Raffaelli Editore 2014) mi ha prima di tutto riportato alla mente, o meglio all’orecchio, quell’inconfondibile voce di Francesco tra il nitido e il sommesso, tra il netto e l’introverso. Un leggere che ho sempre avuto l’impressione fosse una cosa privata, intima, un’esclusione dei presenti non per una volontà di arroccamento quanto per una precisa disposizione d’animo. Cosa che ho ritrovato anche nei testi.
Portarsi avanti con gli addii è un libro che definisce una maturità e una pulizia di linguaggio sempre maggiori, sempre più limpidi, all’interno della storia delle pubblicazioni di Francesco. Un libro riuscito, senza dubbio, e che in qualche modo dà un nome all’autore: poeta del silenzio. Perchè i versi che si leggono in questo prezioso libriccino illustrato da Anton Špacapan Vončina e completato dal (come sempre) ottimo Fabio Franzin in postfazione, sono chiaramente soliloqui silenziosi. Anche nel momento in cui l’autore si riferisce a un tu la poesia tende a chiudersi in una riflessione che la forma poetica dice muta, o perlomeno sussurrante, ingioiellandosi in un’universalizzazione che diventa tale proprio perchè si racchiude nel luogo più intimo della persona: il proprio io.
Ed è nell’io che risiedono gli affetti, i fatti di cronaca, la storia, la non fede in Dio, i rammarichi. È nell’io che sono conservate le parti più vere dei padri, dei figli e delle mogli. Ed è nell’io che riesce quel punto di contatto tra microcosmo personale e macrocosmo universale, umano. Perchè il poeta ha e deve avere la capacità di diventare punto di contatto tra la propria vita, l’unica che gli è dato di vivere, e la vita dell’uomo in quanto tale. Paradossalmente ottenendo così di diventare tutti gli uomini, tutte le vite e tutte le storie. Francesco in questo modo ci dice di sapere bene una cosa: che vivere il proprio tempo è già abbastanza complicato, doloroso, impegnativo. E che probabilmente vivere a fondo e con verità è già cosa sufficiente a dare un senso alle cose. Che poi, come appena detto, sa diventare il senso delle cose di tutti.
Per questo Fabio Franzin nel suo intervento sottolinea che viene da pensare che sia un autore che scrive solo se mosso da un pensiero acuto e partecipe, da uno stimolo forte, con passione e compassione, facendo tesoro della sua esperienza, con sguardo aperto e allo stesso tempo vagante, dalla terra al cielo, dal selciato di un confine apertosi all’incontro delle genti, alla sbarra moltiplicata di una realtà che ingabbia tutto fuorché lo sguardo, intento a seguire le rondini e la voce, l’anelata primavera di una civiltà. Perchè è solo nell’affrontare completamente e senza sconti le proprie giornate, i propri incontri e i propri addii, che si ha la possibilità di toccare e confrontarsi con il magma umano, la sua materia costituente, a cui Francesco dà nome di poesia. Ed è per questo che Franzin afferma che Il poeta non è un fingitore e soprattutto questo poeta non è un fingitore.
Ma resta un’ultima cosa da dire su questo libro. Scorrendo le poesie emerge chiaro un atteggiamento: per rapportarsi alle cose, siano persone o sia la vita, Francesco ha necessità di creare in mezzo un vuoto, un’assenza. Uno spazio che sia metro di misura, di paragone. E che diventa quel succitato curvarsi nel silenzio di sè che chiude quasi tutti i testi. Uno spazio che è specchio, forse più agevole al poeta, dove non ci sono virgole, nè ci sono disperazioni, ma dove non manca nulla. Dove non c’è il mondo ma c’è tutta la sua immagine riflessa. E dove il poeta può facilmente misurare la quantità di vuoto e di pieno della vita.
Una poesia inevitabilmente necessaria al lettore. Perchè oggi (ma forse è sempre stato così) trovare un uomo e un poeta (ma cos’altro è un poeta se non prima un uomo?) che non fingono di fronte alla vita, che non la sfuggono, è quasi una rarità. Forse un atto di coraggio. Sicuramente è poesia.
La grammatica
Quando i bambini cominciano a parlare
non pronunciano frasi intere
ma singole parole ridicole e imperfette
però palla è palla
gatto è gatto
ed è una cosa imparata che resta per sempre
a me di tutto l’italiano basterebbe poco
soltanto qualche vocabolo, ma da dire con quella sicurezza
come madre padre figlio
e la parola casa come una parentesi che chiude
la parola noi
Gli anni di piombo
Quando ritrovarono il corpo di Aldo Moro
nel bagagliaio di una Renault rossa
oppure
quando il Partito Comunista alle politiche
prese più voti della Democrazia Cristiana
ricordo il silenzio assoluto di mio padre
credo pensasse che cosa accadrà adesso?
ma non lo diceva
è lo stesso silenzio con cui ci guarda oggi
suo fratello i miei figli e me
ormai senza capire chi siamo
la vita intera passata a combattere
contro il nemico sbagliato
alla fine non è stato il comunismo
ma la malattia
che ci ha resi tutti
spietatamente uguali
L’Italia (è un melograno)
Io in vita mia ho comprato e trapiantato un unico albero
un melograno
ho scelto un angolo del giardino
da dove si vede la ghiera dei monti
dal San Gabriele fino al Nanos
quella cresta è stata Italia e Jugoslavia e poi Slovenia
è stata terra dolorosa e di rancore
i confini dovrebbero essere come gli orizzonti
quando ti muovi si muovono anche loro
se ti fermi si fermano con te
ma ti fanno sempre sentire al centro esatto del mondo
e patria è dove
un uomo pianta un melograno
e può aspettare di mangiarne i frutti
Le donne della Seleco
Le ho viste uscire alla fine del turno
camminando ma senza toccare il suolo
guardando i lampioni ma senza vedere
la luce e mentre svanivano le ho
immaginate aprire la porta
baciare i figli scaldare in forno
la cena e poi ripulirsi e a volte
giacere sotto un marito qualsiasi
con l’aria di chi da anni ha imparato
che manca sempre mezz’ora di troppo
alla fine del giorno
La piena del 5 novembre
Acqua che frusta i piloni dei ponti
e sbatte sugli argini come per dire
da oggi tutto questo torna mio
e intanto si prende tronchi e macerie
e il corpo di un capriolo annegato
sulle carte geografiche l’Isonzo
è una linea azzurra quasi delicata
siamo capaci di disegnare il percorso di un fiume
ma non la sua ira
A conti fatti
Lo puoi vedere ancora nei miei occhi:
sono stato un bambino con poca gioia
invece il tuo sorriso esplode spesso senza alcun motivo
allora ho pensato che ne potesse avanzare per me
e anche per altri
per questo è nel tuo ventre
che ho cercato i miei figli
Portarsi avanti con gli addii, pt. II
Il silenzio è la materia di cui sono fatti i tronchi degli alberi
i sassi
e spesso anche mia madre
è il pettirosso ucciso dal gatto
che si decompone nella terra del giardino
il silenzio cementa le malte dei muri
si stringe sui chiodi piantati
abiterà le stanze quando i nostri figli
saranno andati via
io e te quel silenzio
dovremo vuotarlo come un salvadanaio
per vedere se prima
lo avevamo riempito
Nostra Signora del Disordine
Stiamo sempre a riempire e vuotare scatole
spostare i vestiti negli armadi
portare qualcosa in soffitta o in cantina
così sembra di traslocare di continuo
anche se viviamo nella stessa casa
tu non sei mai soddisfatta e io
non capisco non ti capisco più
abitare non vuol dire
che gli oggetti hanno ognuno il giusto posto
piuttosto
che dovremmo averlo noi
Una forma di gelosia
Ti sei addormentata ancora nuda
adesso il tuo torace si muove lentamente
lo sento appoggiandoti le mani sulla pelle
penso al fiato veloce di prima
che era tuo e nostro insieme
mentalmente faccio la differenza
per capire quanta parte del tuo respiro
sia dedicata a me
Quello che posso insegnare
Intanto impara le cose semplici
non come ieri che hai attraversato
la strada senza guardare
per la paura poi ti ho abbracciato
gridando
hai spiegato che non si sentiva
il suono di nessun motore
intanto impara due cose semplici
le auto di domani saranno sempre più silenziose
e non è detto che chi ti sta aspettando
sia sempre qualcuno che ti vuole bene