Poesie per la Resistenza

Poesie per la Resistenza

 
 
LA NOTTE DI SERRAVALLE
 
Suona e sfugge l’ora di notte,
la confusione dell’estate.
Pioggia e stridi di carte sul piazzale.
E il malvagio pallore
il gran teatro di Serravalle
i logori battenti apre a miracolo;
qui trafuga le sue ultime sue specie
la terra alla deriva,
e fronte scagliata
agli agitati abissi
tutta spigoli rompe Serravalle
tutta festoni cresce, tutta scale.
 
Apre i battenti la strada strozzata
e la nobile pietra si torce si consuma
alle furie montane della pioggia.
O mondo acceso d’archi spento d’archi,
mondo trafitto da mille flagelli
vitrei viventi,
lampo a lampo arrischiato,
il lastrico nell’acqua scatta e arranca
il cancello di ferro desolato
ruggine e acqua infonde al mio costato.
 
Andrea Zanzotto
 
 
 
 
 
 
I COMPAGNI CORSI AVANTI
 
Compagni, a sera volgo, ove al corso
d’aneliti e di piante affonda il bosco.
Ah perduto alle spalle, tra il nemico
sole, perché più ormai non ti conosco?
 
E va, l’estate in guerra, muove al corso
dei suoi dolori le grandi erbe e i fumi.
Ah compagno, chi ti darà soccorso
quando agosto deflagri e ti consumi?
 
Esule il cuore, dentro il regno vuoto
brancolo, è tardi, e monte io muto a monte.
Dove, con altro sguardo, nel remoto
gorgo, nel fango celi la tua fronte?
 
Fieni in faville sui cammini e, vive
ancora, d’altri dì memori di luci.
Ah compagno, ma a quali spente rive
la disillusa vita riconduci?
Dove sei se Diana già trasuda
gemmante tra i notturni rami e invade
delle ore il diafano e denuda
terrori ebbri di foglie e di rugiade?
 
Oh stringiti alla terra, a terra premi
tu la tua fantasia. Strugge la mite
notte Hitler, di fosforo, e congiunta
 
in alito di belva sugli estremi
muschi dardeggia Diana le impietrite
verità della mia mente defunta.
 
Andrea Zanzotto
 
 
 
 
 
 
LA MADRE
 
Quando la sera tornavano dai campi
Sette figli ed otto col padre
Il suo sorriso attendeva sull’uscio
per annunciare che il desco era pronto.
Ma quando in un unico sparo
caddero in sette dianzi a quel muro
la madre disse
non vi rimprovero o figli
d’avermi dato tanto dolore
l’avete fatto per un’idea
perché mai più nel mondo altre madri
debban soffrire la stessa mia pena.
Ma che ci faccio qui sulla soglia
se più la sera non tornerete.
Il padre è forte e rincuora i nipoti
Dopo un raccolto ne viene un altro
ma io sono soltanto una mamma
o figli cari
vengo con voi.
 
Piero Calamandrei
 
 
 
 
 
 
LAPIDE AD IGNOMIA
 
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
 
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
 
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
 
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ORA E SEMPRE RESISTENZA
 
Piero Calamandrei
 
 
 
 
 
 
ALLE FRONTE DEI SALICI
 
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche alle nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
 
Salvatore Quasimodo
 
 
 
 
 
 
CANTO DEGLI ULTIMI PARTIGIANI
 
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell’acqua della fonte
La bava degli impiccati.
 
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull’erba secca del prato
I denti dei fucilati.
 
Mordere l’aria mordere i sassi
La nostra carne non è più d’uomini
Mordere l’aria mordere i sassi
Il nostro cuore non è più d’uomini.
  
Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pungi dei morti
La giustizia che si farà.
 
Franco Fortini
 
 
 
 
 
 
PER I MORTI DELLA RESISTENZA
 
Qui vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti li avessero aperti
per sempre alla luce.
 
Giuseppe Ungaretti
 
 
 
 
 
 
25 APRILE
 
La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
 
Alfonso Gatto
 
 
 
 
 
 
COMPAGNI FRATELLI CERVI
 
Sette fratelli come sette olmi
alti robusti come una piantata.
I poeti non sanno i loro nomi,
si sono chiusi a doppia mandata:
sul loro cuore si ammucchia la polvere
e ci vanno i pulcini a razzolare.
I libri di scuola si tappano le orecchie.
Quei sette nomi scritti con il fuoco
brucerebbero le paginette
dove dormono imbalsamate
le vecchie tavolette
approvate dal ministero.
Ma tu mio popolo, tu che la polvere
ti scuoti di dosso
per camminare leggero, tu che nel cuore lasci entrare il vento
e non temi che sbattano le imposte, piantali nel tuo cuore
i loro nomi come sette olmi:
Gelindo,
Antenore,
Aldo,
Ovidio,
Ferdinando,
Agostino,
Ettore?
Nessuno avrà un più bel libro di storia,
il tuo sangue sarà il loro poeta
dalle vive parole,
con te crescerà
la loro leggenda
come cresce una vigna d’Emilia
aggrappata ai suoi olmi
con i grappoli colmi
di sole.
 
Gianni Rodari
 
 
 
 
 
 
CELEBRAZIONE
 
I morti per la libertà.
 
                 Chi l’avrebbe detto.
         I morti.
                                  Per la libertà.
 
Sono tutti sepolti.
 
Giorgio Caproni
 
 
 
 
 
 
Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’ Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce…
 
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile….
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
 
Pier Paolo Pasolini