POESIA A CONFRONTO – Sono solo canzonette:
GIACOMO DA LENTINI, LORENZO DE’ MEDICI, RABONI, FORTINI
Ci avvaliamo del titolo di una canzone famosa di Edoardo Bennato per proporre in questo confronto una selezione di poesie riconducibili al genere della “canzonetta”. La canzonetta, variante semplificata della canzone – struttura metrica per eccellenza della lirica volgare, secondo Dante – è una forma poetica fra le più antiche che, mutuata dalla tradizione provenzale, raggiunge particolare fortuna nella poesia italiana a partire dalla scuola siciliana.
“Maravigliosamente” di Giacomo da Lentini, detto Il Notaro, è un esempio notevole di canzonetta amorosa, tutta inscritta nella tradizione della poesia cortese: l’elogio della donna amata, “fiore d’ogn’amorosa”, che qui diventa “figura” dipinta nel cuore del poeta, sempre presente nei suoi pensieri, anche se il poeta è incapace di manifestare il suo amore davanti all’amata, per naturale imbarazzo, per quanto in lui arda “una doglia” che lo travolge e che gli è arduo dominare. La canzonetta allora è il messaggero d’amore che, recapitato all’amata, con la sua “lingua” sincera, si fa testimonianza di questo amore, invocato come ciò che è più caro.
Una variante della canzonetta è il canto carnascialesco, nato per celebrare i carri in maschera, con accompagnamento musicale ed esecuzione in forma corale. L’esempio più celebre è “La canzona di Bacco” di Lorenzo de’ Medici, tutta intrisa di immagini mitologiche che invitano alla gioia, in una rivisitazione, decisamente in chiave edonistica, del “carpe diem” oraziano. Il ritornello “Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia! / Chi vuole esser lieto, sia, / di doman non c’è certezza” ha il pregio, con il suo gioco di rime e con la sua musicalità, di essere ricordato facilmente, quasi come un mantra, tanto da averlo reso ben noto anche a chi non frequenta la poesia, e a maggior ragione non quella rinascimentale.
Avvicinandoci ai nostri tempi, la canzonetta è un genere che conferma ancora la sua vitalità, naturalmente con l’aggiornamento di questa forma poetica alle nuove esigenze della contemporaneità. Ne sono un esempio magistrale le canzonette mortali di Raboni: il tema dominante è sempre l’amore, qui vissuto sulla soglia della fine, nella percezione di una vita che si sta esaurendo e che sarà costretta a interrompere il legame fra l’anima del poeta e della sua amata, molto più giovane di lui. L’amore va vissuto con una “furia” necessaria, perché la linea del tempo procede secondo una progressione diversa per i due (“più di tanto / non avrà tempo il tempo”) e impone la consapevolezza della perdita: “Occhio per occhio, parola per parola, / sto ripassando la parte della vita.” Interessante la struttura formale del poemetto che si compone di 10 strofe con numero decrescente di versi da 10 a 1, proprio come se si trattasse di un lento estinguersi della voce, man mano che si avvicina alla fine, “a poca luce”.
La canzonetta è anche un espediente tecnico per denunciare l’impostura facendo leva sul suo tono all’apparenza scanzonato, ma che può diventare amaramente ironico, se non sarcastico. È il caso delle “canzonette del Golfo” dell’ultimo Fortini in cui l’autore, da sempre schierato sulla linea di una poesia dell’impegno, denuncia il dramma della guerra (qui quella in Iraq e Kuwait del 1991): è un poeta anziano e disilluso a scrivere, con grande consapevolezza dell’inutilità della guerra, della strage e della morte che essa comporta. È un forte richiamo alle coscienze, quello di Fortini, perché per ciascuno è facile estraniarsi, sentirsi non coinvolto da una guerra che si fa “lontano”, che sembra non riguardarlo (“il sangue degli altri”, emblematicamente). Anche la poesia è inane (“Potrei sotto il capo dei corpi riversi / posare un mio fitto volume di versi?”): da un lato ha il dovere di scriverne, dall’altro è incapace di cambiare le cose.
Fabrizio Bregoli
GIACOMO DA LENTINI
(XIII Secolo)
Maravigliosamente
Un amor mi distringe
E sovenemi ogn’ora.
Com’omo che ten mente
In altra parte e pinge
La simile pintura,
Così, bella, facc’eo:
Dentr’a lo core meo
Porto la tua figura.
In cor par ch’eo vi porte
Pinta como voi sete,
E non pare di fore.
O Deo, che mi par forte!
Chè non so se savete
Com’eo v’amo a bon core;
Ca son sì vergognoso
Ch’eo pur vi guardo ascoso
E non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
Dipinsi una pintura,
Bella, a voi simigliante;
E quando voi non vio,
Guardo in quella figura
E par ch’eo v’aggia avante;
Si com’om che si crede
Salvarsi per sua fede
Ancor non veggia inante.
Al cor m’arde una doglia
Com’om che ten lo foco
A lo suo seno ascoso,
Che quanto più lo ’nvoglia,
Allor prende più loco
E non po stare incluso:
Similemente eo ardo
Quando passo e non guardo
A voi, viso amoroso.
Se siete, quando passo,
In ver voi non mi giro,
Bella, per risguardare:
Andando ad ogni passo
Gittone uno sospiro
Che mi face angosciare:
E certo bene angoscio
Ch’a pena mi conoscio,
Tanto forte mi pare.
Assai v’aggio laudato.
Madonna, in molte parte,
Di bellezze ch’avete;
Non so se v’e contato
Ch’eo lo faccia per arte,
Che voi ve ne dolete:
Sacciatelo per signa
Ciò che vi dirò a lingua
Quando voi mi vedete.
Canzonetta novella,
Va, e canta nova cosa,
Levati da maitino
Davanti a la più bella,
Fiore d’ogn’amorosa,
Bionda più ch’auro fino.
Lo vostro amor, ch’è caro,
Donatelo al Notaro
Ch’è nato da Lentino.
LORENZO DE’ MEDICI
(1490 – in Poesie, Rizzoli 1992)
CANZONA DI BACCO
Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuole esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.
Quest’è Bacco e Arïanna,
belli, e l’un dell’altro ardenti;
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe e altre genti
sono allegri tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo,
se non gente rozze e ingrate;
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s’altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi,
oggi sìan, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi.
Ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti,
arda di dolcezza il core:
non fatica, non dolore!
Ciò che ha esser, convien sia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
GIOVANNI RABONI
(Da Canzonette mortali – Crocetti, 1987)
Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro
e solo del futuro, di nient’altro
ho qualche volta nostalgia
ricordo adesso con spavento
quando alle mie carezze smetterai di bagnarti,
quando dal mio piacere
sarai divisa e forse per bellezza
d’essere tanto amata o per dolcezza
d’avermi amato
farai finta lo stesso di godere.
Le volte che è con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
è perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l’amore.
Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…
Non questa volta, non ancora.
Quando ci scivoliamo dalle braccia
è solo per cercare un altro abbraccio,
quello del sonno, della calma – e c’è
come fosse per sempre
da pensare al riposo della spalla,
da aver riguardo per i tuoi capelli.
Meglio che tu non sappia
con che preghiere m’addormento, quali,
parole borbottando
nel quarto muto della gola
per non farmi squartare un’altra volta
dall’avido sonno indovino.
Il cuore che non dorme
dice al cuore che dorme: Abbi paura.
Ma io non sono il mio cuore, non ascolto
né do la sorte, so bene che mancarti,
non perderti, era l’ultima sventura.
Ti muovi nel sonno. Non girarti,
non vedermi vicino e senza luce!
Occhio per occhio, parola per parola,
sto ripassando la parte della vita.
Penso se avrò il coraggio
di tacere, sorridere, guardarti
che mi guardi morire.
Solo questo domando: esserti sempre,
per quanto tu mi sei cara, leggero.
Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.
FRANCO FORTINI
(da Composita solvantur – Einaudi, 1994)
Da Sette canzonette del golfo
Lontano lontano si fanno la guerra.
Il sangue degli altri si sparge per terra.
Io questa mattina mi sono ferito
a un gambo di rosa, pungendomi un dito.
Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.
Oh povera gente, che triste è la terra!
Non posso giovare, non posso parlare,
non posso partire per cielo o per mare.
E se anche potessi, o genti indifese,
ho l’arabo nullo! Ho scarso l’inglese!
Potrei sotto il capo dei corpi riversi
posare un mio fitto volume di versi?
Non credo. Cessiamo la mesta ironia.
Mettiamo una maglia, che il sole va via.