POESIA A CONFRONTO – Ricette in poesia

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POESIA A CONFRONTO – Ricette in poesia
BIANCHI, PASCOLI, FABRIZI, DE FILIPPO, BALESTRINI

 
 

La poesia non ha mai rinunciato ad accettare sfide, anche le più impervie o singolari; fra queste ne affronteremo nel confronto di oggi una particolarissima: la ricetta in versi, sperando che nel caso siano di vostro interesse possiate cimentarvi nella loro esecuzione (in definitiva la parola poesia etimologicamente deriva del verbo greco “fare”, concretamente, con le proprie mani, e cosa c’è di più concreto se non cimentarsi in una ricetta?).

Augusto Bianchi, cronista del “Il Corriere della sera” e caro amico di Giovanni Pascoli, indirizza al poeta, dopo averglielo promesso, una ricetta in versi su uno dei cavalli di battaglia della cucina milanese: il risotto allo zafferano. Scrive Augusto Guido Bianchi (La cucina italiana, 1930): “Una sera, a Pisa, io gli parlai, durante un pranzo improvvisato in casa sua, del risotto alla milanese, che a lui pareva, con quel suo color di zafferano, una preparazione alchimistica. Gli promisi di inviargli la ricetta per farlo. E la promessa mantenni. Dio me lo perdoni, come il Pascoli mi perdonò, cercando nobilitare la ricetta scritta da mia moglie, col tradurla” in versi. Pascoli a sua volta scrisse come tutta risposta una ricetta in versi per un “risotto / romagnolesco”, quello cucinato dalla sorella Mariù. In perfette terzine dantesche, e una chiusa con una quartina, canzonando l’amico e le sue rime in -ai che rimandano a un imprecisato futuro, Pascoli gli propone invece un piatto “più sicuro / perché presente”: anche per il grande poeta, studioso assiduo delle lettere classiche, un piatto ben cucinato è il miglior “ristoro, / dopo il mio greco, dopo il mio latino”.

Aldo Fabrizi si affida invece a un sonetto in dialetto romanesco per affidarci le sue dritte su come cucinare la “pasta alla capricciosella”, il tutto con un tono lieve e rassicurante, ironico al punto giusto (come per il consiglio “funghi “cortivati”, / così magnate senz’avè patema”), proprio come ci si aspetta per un buon piatto gustato in compagnia.

Il grande Eduardo De Filippo si cimenta in lingua madre con un classico della cucina napoletana: il ragù (da non confondersi con l’analogo emiliano). Ma anche per la migliore moglie è difficile il confronto con la ricetta di mammà (a conferma dell’indole dell’italiano medio, classicamente mammone per tutta la vita), quella a cui si è legati fin dall’infanzia, il modello inarrivabile: così è breve il passo che trasforma il ragù in “carne c’ ‘a pummarola”.

Nanni Balestrini in una delle tante avventure della sua fantastica “Signorina Richmond” ci offre anche un perfetto vademecum per il suo uso: ne esce una composizione in versi, vera e propria parodia delle ricette di cucina, in una serie incalzante e straniante di istruzioni in cui si propone una preparazione assolutamente improponibile (non solo per una signorina ma per qualunque alimento), in un crescendo esilarante e ossessivo, a mimesi e smascheramento della nevrosi a cui ci sottopone la società neoliberista contemporanea.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
AUGUSTO GUIDO BIANCHI
(1904 – Ne La cucina italiana, 1930)
 
Occorre di carbone un vivo fuoco;
la casseruola; cento grammi buoni
di burro e di cipolla qualche poco.
Quando il burro rosseggia, allor vi poni
il riso crudo; quanto ne vorrei
e mentre tosta l’aglio e scomponi.
Del brodo occorre poi: ma caldo assai;
messine un po’ per volta,
che bollire deve continuo, né asciugarsi mai.
Nel tutto, sulla fine, diluire
di zafferano un poco tu farai
perché in giallo lo abbia a colorire.
Il brodo tu graduare ben saprai,
perché denso sia il riso, allor che è cotto.
Di grattugiato ce ne vuole assai.
Così avrai di Milan pronto il risotto.
 
 
 
 
 
 
GIOVANNI PASCOLI
(1904 – Ne La cucina italiana, 1930)
 
Amico, ho letto il tuo risotto in …ai!
È buono assai, soltanto un po’ futuro,
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”!
 
Questo, del mio paese, è più sicuro
perché presente. Ella ha tritato un poco
di cipolline in un tegame puro.
 
V’ha messo il burro del color di croco
e zafferano (è di Milano!): a lungo
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco.
 
Tu mi dirai:”Burro e cipolle?”. Aggiungo
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.
 
Che buon odor veniva dal camino!
Io già sentiva un poco di ristoro,
dopo il mio greco, dopo il mio latino!
 
Poi v’ha spremuto qualche pomodoro;
ha lasciato covare chiotto chiotto
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro.
 
Soltanto allora ella v’ha dentro cotto
Il riso crudo, come dici tu.
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto
romagnolesco che mi fa Mariù.
 
 
INGREDIENTI:
350 gr riso carnaroli
200 gr funghi
100 gr fegatini di pollo
1 bicchiere di passata di pomodoro
1 cipolla
80 gr burro
1 bustina zafferano
carota sedano cipolla prezzemolo per il brodo vegetale
 
 
 
 
 
 
ALDO FABRIZI
(Tratta dal sito ricetteecooking.com)
 
PASTA ALLA CAPRICCIOSELLA
 
Provate a fa’ sto’ sugo, ch’è un poema:
piselli freschi, oppure surgelati,
calamaretti, funghi “cortivati”,
così magnate senz’avè patema.
 
Pe’ fa’ li calamari c’è un sistema:
se metteno a pezzetti martajati
nell’ajo e l’ojo e bene rosolati,
so’ teneri che pareno ‘na crema.
 
Appresso svaporate un po’ de vino;
poi pommidoro, funghi e pisellini
insaporiti cor peperoncino.
 
Formaggio gnente, a la maniera antica,
fatece bavettine o spaghettini…
Bòn appetito e.. Dio ve benedica!
 
 
 
 
 
 
EDUARDO DE FILIPPO
(Tratta dal sito ricetteecooking.com)
 
‘O RRAÙ
 
‘O rraù ca me piace a me m’ ’o ffaceva sulo mammà.
A che n’aggio spusato a te, ne parlammo pè ne parlà.
 
Io nun songo difficultuso, ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu. Mò ce avéssem’ appiccecà?
 
Tu che dice? Chest’ ‘è rraù? E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faja dicere na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.
 
 
 
 
 
 
NANNI BALESTRINI
(Da Le ballate della Signorina Richmond, illustrate da Gianfranco Baruchello, Coop. Scrittori, Roma 1977)
 
ISTRUZIONI PER L’USO DELLA SIGNORA RICHMOND
 
Nettatela squamatela infilatele nel ventre
le erbe odorose fissatela allo spiedo
con un sottile filo metallico o con uno spago
umido grigliatela alla carbonella accesa
 
cospargetela con rosmarino e alloro
lasciatela riposare per un’ora così che
tutti gli aromi la penetrino poi scuoiatela
e pulitela tagliatela in grossi pezzi
 
infilzatela ben unta d’olio sullo spiedo
e praticatele qualche taglio sulla pelle
perché non abbia a screpolarsi fatela cuocere
a fuoco moderato spruzzandola di sale
 
tagliatela a dadini potatela a bollore
mescolando senza interruzione cuocetela
a fuoco scoperto molto dolce per 20 minuti
colatela attraverso un setaccio sottile
 
ponetela in una casseruola che la contenga
appena copritela con acqua fredda e portatela
lentamente a bollore toglietela dal fuoco
e lasciatela immersa nel liquido per 10 minuti
 
pulitela conditela con sale e pepe
immergetela nel latte passatela nella farina
fatela saltare nel burro e in olio
finché sia ben dorata da ambo le parti
 
ammollatela nel latte per 24 ore
immergetela infarinata nella padella
con l’olio che fuma friggetela
e sgocciolatela dorata e croccante
 
fondete il burro in una padella pesante
e fatevela saltare finchè sia tenera fatela
dorare senza che prenda troppo colore se diventa
troppo asciutta aggiungete un po’ di vino
 
spennellatela con burro sciolto e ponetela
sulla griglia riscaldata e unta
cuocetela per 7 minuti rivoltatela
spennellatela con altro burro e grigliatela
 
tagliatela a fette di un centimetro
abbondante di spessore pepatela e battetela
con un pestacarne di legno fatela rosolare
finché prenda colore sopra e sotto
 
allargatela sul tagliere e battetela
sino a ridurla dello spessore di 1 centimetro
arrotolatela e legatela con un filo grosso
fatela rosolare a fuoco vivo coprendola
 
cuocetela a fuoco dolce da 45 a 60 minuti
è pronta quando la carne si sfalda facilmente
con una forchetta aiutandovi con la garza
sollevatela con delicatezza slegatela e affettatela
 
con un grosso ago da calza o con le punte
di una forchetta punzecchiatela qua e là
poi portatela lentamente a bollore deve
rimanere morbida e avere la pelle intatta
 
pestatela con una mazza di legno
pulita spellata e privata della vescichetta
e degli occhi ponetela in una pentola capace
e fatela bollire per due ore coperta
 
strofinatela con un tovagliolo bagnato
legatela ponetela in una pentola capace
portatela a ebollizione scolatela sciacquatela
ripetete più volte l’ebollizione con cura
 
disossatela dalla testa alle spalle salatela
all’interno e ricucitela con cura dandole
ancora la sua forma legatele insieme
le gambe anteriori e quelle posteriori
 
sventratela spellatela rimuovendo con un
coltellino la pelle sul dorso cominciando
dalla coda e tirandola indietro di colpo
sul ventre la pelle non si toglie ma si raschia
 
tenetela a bagno per 12 ore in acqua
fredda spesso rinnovata poi fatela bollire
scolandola non appena è tenera poi
toglietele delicatamente la pelle
 
immergetela in acqua non troppo calda
dopo averle chiuso l’ano con un pezzetto
di sughero o altro fatela bollire 15 minuti
sgocciolatela spaccatela per il lungo
 
appoggiatela voltata sul dorso sopra un
tagliere e tagliatela nel senso della lunghezza
con un pesante coltello spruzzatela
con un poco di burro fuso e servitela calda
 
ponetela sul tagliere fatele un’incisione
fra le gambe posteriori e l’ano
rovesciatele la pelle e tiratela verso l’alto
liberate le gambe davanti fino alla testa
 
toglietele la testa e le interiora
squamatela apritela lungo il ventre
mettete da parte le uova dall’aspetto corallino
e togliete la lisca lavatela asciugatela
 
passatela alla fiamma e raschiatela
bene con la lama di un coltello
per togliere i peli praticatele un taglio
nel ventre e toglietele le interiora
 
pulitela molto bene svuotatela anche
dei polmoni e ghiandole passatela alla fiamma
lavatela asciugatela infilatele nell’apertura
naturale le erbe aromatiche sale e pepe
 
cospargete le cavità interne con un poco
di sale e pepe fiammeggiatela con cognac
ponetela in forno dolce e fatela arrostire
per circa un’ora innaffiandola frequentemente
 
pulitela all’interno e all’esterno spalmatela
internamente con burro ammorbidito cucitela
avvolgetela in una sottile fetta di lardo
e arrostitela in forno dolce per circa 1 ora
 
pulitela e riempitela con la farcia
legatele le gambe cucitele l’apertura
ponetela nel forno con un poco di vino bianco
e burro servitela nel tegamino caldissimo
 
lasciatela marinare per 2 giorni
copritela con vino rosé e chiudete il recipiente
con carta oleata cuocete a forno basso finché
la carne sarà cotta ma consistente
 
adagiatela su un foglio di carta oleata
a forma di cuore praticatele tre tagli trasversali
cospargetela con brandy chiudete il cartoccio
mettetela in un tegame e infornate per circa 1 ora
 
sfornatela cospargetela di succo di limone
ponetele una piccola mela rossa in bocca
guarnitele le orecchie con rametti di prezzemolo
e adagiatela sopra un letto di crescione