POESIA A CONFRONTO – Laudi
SAN FRANCESCO, GUINIZELLI, D’ANNUNZIO, VALDUGA
La forma poetica (e musicale) della lauda, derivante dalla tradizione trobadorica, trova affermazione nella cultura medievale, italiana in particolare, come forma fondamentale della poesia sacra e religiosa, spesso associata all’accompagnamento musicale.
Non a caso il primo testo accreditato della letteratura volgare (secondo la lettura prevalente) è rappresentato dal “Cantico delle Creature” di San Francesco d’Assisi, poesia e preghiera insieme, in cui tutte le opere della creazione diventano “fratelli” e “sorelle” dell’uomo, compresa anche la morte, che non va temuta perché naturale compimento della vita “corporale” dell’uomo che prelude alla vita eterna a cui può ambire chi sia in grazia di Dio e abbia ottenuto la remissione dei peccati. La composizione, caratterizzata da una spontaneità fresca e comunicativa, presenta ancora oggi una presa efficace sul lettore, il che la rende un classico indiscutibile.
Nella tradizione stilnovistica, di cui qui riportiamo uno dei più celebri sonetti del maestro Guinizelli, la lauda diventa lo strumento per elogiare le virtù, soprattutto spirituali, della donna amata che è una trasfigurazione del divino, manifestazione di quella gentilezza e di quella capacità di redimere l’uomo (offrire “salute”, ossia salvezza) che sono il motivo conduttore dell’esperienza nobile dell’amore stilnovistico. Tema questo, come ben noto, ripreso e portato alle estreme conseguenze dagli altri poeti maggiori dello Stilnovo: Dante e Cavalcanti.
D’Annunzio riprende il tema della lauda, nella sua raccolta poetica più importante: “Le laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi”. Qui proponiamo l’incipit della Prima Lauda, Maia, nota anche come Laus Vitae, una composizione che consta nell’insieme di circa 8.400 versi. D’Annunzio sperimenta qui la sua “strofe lunga” con versi fondamentalmente liberi, di lunghezza variabile, per dare preminenza all’energia e alla vitalità della espressione poetica che ricerca in questo suo nuovo lavoro, ispirandosi anche a forme della tradizione classica come il ditirambo e la poesia dionisiaca in genere. Ne esce un quadro di forte rottura con la tradizione, anche se il linguaggio resta letterario e aulico, all’insegna di un edonismo che viene rivendicato a chiare lettere, nei confronti della vita e di tutte le sue “diversità” che vanno esperite e fatte proprie, vissute senza risparmiarsi.
Riprende il tema della lauda anche un’autrice contemporanea come Patrizia Valduga, non nuova a queste operazioni di rivisitazione dei generi, sapendoli però riplasmare con una sensibilità post-moderna. Qui il tema centrale è quello della perdita dell’amato compagno Giovanni Raboni; tema che viene gestito con sobrietà, grazie alla compostezza dei distici rimati che reinterpretano il genere della lauda ibridandolo con quello dell’elegia, non immune da un’ironia amara, altra cifra stilistica della Valduga.
Fabrizio Bregoli
SAN FRANCESCO
Da Storia della letteratura italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno (Milano, Garzanti, 1965, rist. 1984, v. 1. Le origini e il Duecento, p. 535-536), La letteratura italiana, diretta da Carlo Muscetta (Bari, Laterza, 1970, v. 1. Il Duecento, parte prima, p. 148-149)
CANTICO DELLE CREATURE
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate
GUIDO GUINIZELLI
(Da Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini, Ricciardi, 1960)
Io voglio del ver la mia donna laudare
ed assemblarli la rosa e lo giglio:
più che stella diana splende e pare,
e ciò ch’ è lassù bello a lei somiglio.
Verde river’ a lei rasembro e l’âre
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.
Passa per via adorna, e sì gentile
ch’ abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ‘l de nostra fé se non la crede;
e no-lle pò apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior virtute:
null’om pò mal pensar fin che la vede.
GABRIELE D’ANNUNZIO
(da Maia. Laus Vitae, Treves, 1903)
I.
O Vita, o Vita,
dono terribile del dio,
come una spada fedele,
come una ruggente face,
come la gorgóna,
come la centàurea veste;
o Vita, o Vita,
dono d’oblìo,
offerta agreste,
come un’acqua chiara,
come una corona,
come un fiale, come il miele
che la bocca separa
dalla cera tenace;
o Vita, o Vita,
dono dell’Immortale
alla mia sete crudele,
alla mia fame vorace,
alla mia sete e alla mia fame
d’un giorno, non dirò io
tutta la tua bellezza?
Chi t’amò su la terra
con questo furore?
Chi ti attese in ogni
attimo con ansie mai paghe?
Chi riconobbe le tue ore
sorelle de’ suoi sogni?
Chi più larghe piaghe
s’ebbe nella tua guerra?
E chi ferì con daghe
di più sottili tempre?
Chi di te gioì sempre
come s’ei fosse
per dipartirsi?
Ah, tutti i suoi tirsi
il mio desiderio scosse
verso di te, o Vita
dai mille e mille vólti,
a ogni tua apparita,
come un Tìaso di rosse
Tìadi in boschi folti,
tutti i suoi tirsi!
Nessuna cosa
mi fu aliena;
nessuna mi sarà
mai, mentre comprendo, mondo
Laudata sii, Diversità
delle creature, sirena
del mondo! Talor non elessi
perché parvemi che eleggendo
io t’escludessi,
o Diversità, meraviglia
sempiterna, e che la rosa
bianca e la vermiglia
fosser dovute entrambe
alla mia brama,
e tutte le pasture
co’ lor sapori,
tutte le cose pure e impure
ai miei amori;
però ch’io son colui che t’ama,
o Diversità, sirena
del mondo, io son colui che t’ama.
Vigile a ogni soffio,
intenta a ogni baleno,
sempre in ascolto,
sempre in attesa,
pronta a ghermire,
pronta a donare,
pregna di veleno
o di balsamo, tòrta
nelle sue spire
possenti o tesa
come un arco, dietro la porta
angusta o sul limitare
dell’immensa foresta,
ovunque, giorno e notte,
al sereno e alla tempesta,
in ogni luogo, in ogni evento,
la mia anima visse
come diecimila!
È curva la Mira che fila,
poi che d’oro e di ferro pesa
lo stame come quel d’Ulisse.
Tutto fu ambìto
e tutto fu tentato.
Ah perché non è infinito
come il desiderio, il potere
umano? Ogni gesto
armonioso e rude
mi fu d’esempio;
ogni arte mi piacque,
mi sedusse ogni dottrina,
m’attrasse ogni lavoro.
Invidiai l’uomo
che erige un tempio
e l’uomo che aggioga un toro,
e colui che trae dall’antica
forza dell’acque
le forze novelle,
e colui che distingue
i corsi delle stelle,
e colui che nei muti
segni ode sonar le lingue
dei regni perduti.
Tutto fu ambìto
e tutto fu tentato.
Quel che non fu fatto
io lo sognai;
e tanto era l’ardore
che il sogno eguagliò l’atto.
Laudato sii, potere
del sogno ond’io m’incorono
imperialmente
sopra le mie sorti
e ascendo il trono
della mia speranza,
io che nacqui in una stanza
di porpora e per nutrice
ebbi una grande e taciturna
donna discesa da una rupe
roggia! Laudato sii intanto,
o tu che apri il mio petto
troppo angusto pel respiro
della mia anima! E avrai
da me un altro canto.
[…]
PATRIZIA VALDUGA
(da Libro delle laudi, Einaudi, 2012)
Di luce in luce vengo verso te,
e la luce si fa sempre più chiara.
Poso la testa sopra i tuoi ginocchi…
Sto bene… Ce la faccio, anima cara…
Guarda! Il cielo è sereno… È tutta luce
la neve sulle cime dello Schiara!
***
E la notte si fa e si disfà,
e siamo fatti entrambi senza età:
ha funzionato meglio dell’analisi
il marchingegno della tua pietà.