POESIA A CONFRONTO – Guerra

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foto di Dino Ignani

 
 
 
 

POESIA A CONFRONTO – Guerra
TIRTEO, BERTRAN DE BORN, BUFFONI

 
 

Al tema guerra abbiamo già dedicato un confronto specifico relativo ai “Diari di Guerra” (QUI); ora allarghiamo il discorso alla sua accezione più ampia.

Nella letteratura classica – si vedano qui i versi proposti da Tirteo – in linea con la tradizione omerica, domina un’idea della guerra come circostanza in cui l’uomo ha la possibilità di dare massimo valore al suo coraggio, puntare all’eroismo, tutto in virtù del valore superiore della fedeltà alla patria. Allora diventa onorevole morire per la patria (vedi anche Orazio), soprattutto se si è giovani e si è data dimostrazione dell’attaccamento alla patria fino al punto di sacrificare in suo nome il bene più alto di cui si disponga: la vita. Regna in questi versi uno sprezzo della paura, un inno alla temerarietà nella battaglia, come campo di prova dove dare evidenza tangibile del proprio valore e, in definitiva, del proprio destino.

Anche nella società cavalleresca del Medioevo permangono visioni e ideali affini, come emerge con evidenza nella canzone di Bertran de Born, tra i maggiori autori in lingua provenzale. Con fama di guerrafondaio, ben confermato dallo spirito bellicoso che anima i versi qui proposti, de Born tesse un vero e proprio elogio della battaglia, affiancata nella strofa iniziale alla primavera per ammettere la superiorità della prima nel generare piacere nell’animo del poeta. La canzone si sviluppa in un incessante invito alla guerra, con precisione di dettagli molti dei quali cruenti, un’esortazione allo scontro senza esclusione di colpi come ideale di bellezza: l’ardimento è un valore in sé a cui non si può e non si deve rinunciare. La battaglia deve avere precedenza rispetto a ogni compromesso diplomatico o accordo politico: da qui, l’invito finale al signor “tentenna”, a cui è rivolta la canzone, di non esitare un attimo a imbracciare le armi, escludendo da subito la pace come opzione possibile. La pace – ci dice de Born – è solo la scelta dei vili.

Ben diversa naturalmente la sensibilità contemporanea, reduce dai conflitti mondiali e dagli altri numerosi conflitti, genocidi, stermini che hanno purtroppo popolato il nostro tempo più recente. Ecco allora come in “Guerra”, con un linguaggio asciutto e categorico insieme, Franco Buffoni ci offre una raccolta che denuncia la guerra in tutta la sua brutalità, nella sua inammissibilità a priori. La poesia qui proposta, tutta centrata sul dettaglio macabro degli occhi raccolti nel cesto dal “colonnello”, bene evidenzia la crudeltà e la disumanizzazione a cui la guerra porta: senza esprimere alcun giudizio esplicito la poesia lascia che siano i fatti a parlare, capaci come sono di essere auto-evidenti, di farsi strada attraverso la nettezza e l’incisività delle parole.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
TIRTEO
 
τεθνάμεναι γὰρ καλὸν ἐνὶ προμάχοισι πεσόντα
ἄνδρ᾽ ἀγαθὸν περὶ ᾗ πατρίδι μαρνάμενον·
τὴν δ᾽ αὐτοῦ προλιπόντα πόλιν καὶ πίονας ἀγροὺς
πτωχεύειν πάντων ἔστ᾽ ἀνιηρότατον,
πλαζόμενον σὺν μητρὶ φίλῃ καὶ πατρὶ γέροντι
παισί τε σὺν μικροῖς κουριδίῃ τ᾽ ἀλόχωι.
ἐχθρὸς μὲν γὰρ τοῖσι μετέσσεται οὕς κεν ἵκηται,
χρησμοσύνῃ τ᾽ εἴκων καὶ στυγερῇ πενίηι,
αἰσχύνει τε γένος, κατὰ δ᾽ ἀγλαὸν εἶδος ἐλέγχει,
πᾶσα δ᾽ ἀτιμίη καὶ κακότης ἕπεται.
†εἰθ᾽ οὕτως ἀνδρὸς τοι ἀλωμένου ούδεμί᾽ ὤρη
γίνεται οὔτ᾽ αἰδὼς οὔτ᾽ ὀπίσω γένεος,
θυμῶι γῆς περὶ τῆσδε μαχώμεθα καὶ περὶ παίδων
θνήσκωμεν ψυχέων μηκέτι φειδόμενοι.
ὦ νέοι, ἀλλὰ μάχεσθε παρ᾽ ἀλλήλοισι μένοντες,
μηδὲ φυγῆς αἰσχρῆς ἄρχετε μηδὲ φόβου,
ἀλλὰ μέγαν ποιεῖσθε καὶ ἄλκιμον ἐν φρεσὶ θυμόν,
μηδὲ φιλοψυχεῖτ᾽ ἀνδράσι μαρνάμενοι·
τοὺς δὲ παλαιοτέρους, ὧν οὐκέτι γούνατ᾽ ἐλαφρά,
μὴ καταλείποντες φεύγετε, τοὺς γεραιούς.
αἰσχρὸν γὰρ δὴ τοῦτο, μετὰ προμάχοισι πεσόντα
κεῖσθαι πρόσθε νέων ἄνδρα παλαιότερον,
ἤδη λευκὸν ἔχοντα κάρη πολιόν τε γένειον,
θυμὸν ἀποπνείοντ᾽ ἄλκιμον ἐν κονίηι,
αἱματόεντ᾽ αἰδοῖα φίλαις ἐν χερσὶν ἔχοντα ‒
αἰσχρὰτά γ᾽ ὀφθαλμοῖς καὶ νεμεσητὸν ἰδεῖν ‒
καὶχρόα γυμνωθέντα: νέοισι δὲ  πάντ᾽ ἐπέοικεν,
ὄφρ᾽ ἐρατῆς ἥβης ἀγλαὸν ἄνθος ἔχηι,
ἀνδράσι μὲν θηητὸς ἰδεῖν, ἐρατὸς δὲ γυναιξίν,
ζωὸς ἐών, καλὸς δ᾽ ἐν προμάχοισι πεσών.
ἀλλά τις εὖ διαβὰς μενέτω ποσὶν ἀμφοτέροισι
στηριχθεὶς ἐπὶ γῆς, χεῖλος ὀδοῦσι δακών.
 
 
 
 
Giacere morto è bello, quando un prode lotta
per la sua patria e cade in prima fila.
Abbandonare la città, le sue ricche campagne,
e mendicare, vagando con la madre diletta,
il padre vecchio, i bimbi, la cara sposa,
è la cosa più turpe.
Dovunque giunga l’esule sarà come un nemico,
vittima del bisogno e dell’odiosa
miseria. E insozza la sua stirpe, guasta la figura,
ogni infamia lo segue, ogni viltà.
Se per chi va così ramingo non c’è cura,
non c’è rispetto o riguardo o pietà,
combattiamo coraggiosi per la patria, e per i figli
moriamo. E non risparmiamo la vita.
 
Via, combattete gli uni accanto agli altri, giovani,
non datevi alla fuga, al panico,
fatevi grande e vigoroso l’animo nel petto,
bandite il meschino amore della vita,
perché la lotta è con uomini; non lasciate,
fuggendo, chi non ha più l’agilità: gli anziani.
È uno scandalo che un vecchio cada in prima fila
e resti sul terreno innanzi ai giovani,
con quel suo capo bianco e il mento grigio, e spiri
l’animo suo gagliardo nella polvere,
con le mani coprendo il ventre insanguinato
(spettacolo indecente, abominevole),
e le carni nude: nulla c’è che non s’addica
a un giovine finché la cara età brilla nel fiore.
Da vivo, tutti gli uomini l’ammirano, le donne
l’amano, cade in prima fila: è bello.
Resista ognuno ben piantato sulle gambe al suolo,
mordendosi le labbra con i denti
 
(traduzione di Filippo Maria Pontani)
 
 
 
 
 
 
BERTRAN DE BORN
 
Be·m platz lo gais temps de pascor,
Que fai foillas e flors venir;
E platz mi qand auch la baudor
Dels auzels que fant retentir
Lor chan per lo boscatge;
E plaz me qand vei per los pratz
Tendas e pavaillons fermatz;
Et ai gran alegratge,
Qan vei per campaignas rengatz
Cavalliers e cavals armatz.
 
E platz mi qan li corredor
Fant las gens e l’aver fugir,
E plaz mi, qan vei apres lor
Gran ren d’armatz ensems venir;
E platz me e mon coratge,
Qand vei fortz chastels assetgatz
E·ls barris rotz et esfondratz,
E vei l’ost el ribatge
Q’es tot entorn claus de fossatz,
Ab lissas de fortz pals serratz
 
Et atressi·m platz de seignor
Qand es primiers a l’envazir
En caval armatz, ses temor,
C’aissi fai los sieus enardir
Ab valen vassalatge.
E pois que l’estorns es mesclatz,
Chascus deu esser acesmatz
E segre·l d’agradatge,
Que nuills hom non es ren prezatz
Troq’a mains colps pres e donatz.
 
Massas e brans, elms de color,
Escutz trancar e desgarnir
Veirem a l’intrar de l’estor,
E maint vassal essems ferir,
Don anaran aratge
Cavaill dels mortz e dels nafratz.
E qand er en l’estor intratz,
Chascus hom de paratge
Non pens mas d’asclar caps e bratz,
Car mais val mortz qe vius sobratz.
 
E·us dic qe tant no m’a sabor
Manjar ni beure ni dormir
Cuma qand auch cridar: “A lor!”
D’ambas las partz et auch bruïr
Cavals voitz per l’ombratge,
Et auch cridar, “Aidatz! Aidatz!”
E vei cazer per los fossatz
Paucs e grans per l’erbatge
E vei los mortz qe pels costatz
Ant los tronchos ab los cendatz.
 
Pros comtessa, per la meillor
C’anc se mires ni mais se mir
Vos ten hom e per la genssor
Dompna del mon, segon q’auch dir.
Biatritz d’aut lignatge,
Bona dona en ditz et en fatz,
Fons lai on sorz tota beutatz,
Bella ses maestratge,
Vostre rics pretz es tant poiatz
Qe sobre totz es enansatz.
Baron, metetz en gatge
Castels e vilas e ciutatz
Enans q’usqecs no·us gerreiatz.
 
Papiols, d’agradatge
a.N Oc-e-No t’en vai viatz
e dijas li que trop estai en patz.
 
 
 
 
Molto mi piace la lieta stagione di primavera
che fa spuntar foglie e fiori,
e mi piace quand’odo la festa
degli uccelli che fan risuonare
il loro canto pel bosco,
e mi piace quando vedo su pei prati
tende e padiglioni rizzati,
ed ho grande allegrezza
quando per la campagna vedo a schiera
cavalieri e cavalli armati.
 
E mi piace quando gli scorridori
mettono in fuga le genti con ogni lor roba,
e mi piace quando vedo dietro a loro
gran numero d’armati avanzar tutti insieme,
e mi compiaccio nel mio cuore
quando vedo assediar forti castelli
e i baluardi rovinati in breccia,
e vedo l’esercito sul vallo
che tutto intorno è cinto di fossati
con fitte palizzate di robuste palanche.
 
Ed altresì mi piace quando vedo
che il signore è il primo all’assalto,
a cavallo, armato, senza tema,
che ai suoi infonde ardire
così, con gagliardo valore;
e poi ch’è ingaggiata la mischia
ciascuno dev’essere pronto
volonteroso a seguirlo,
ché niuno è avuto in pregio
se non ha molti colpi preso e dato.
 
Mazze ferrate e brandi, elmi di vario colore,
scudi forare e fracassare
vedremo al primo scontrarsi
e più vassalli insieme colpire,
onde erreranno sbandati
i cavalli dei morti e dei feriti.
E quando sarà entrato nella mischia
ogni uomo d’alto sangue
non pensi che a mozzare teste e braccia:
meglio morto che vivo e sconfitto!
 
Io vi dico che non mi dà tanto gusto
mangiare, bere o dormire,
come quand’odo gridare «all’assalto»
da ambo le parti, e annitrire
cavalli sciolti per l’ombra,
e odo gridare: «aiuta, aiuta!»
E vedo cader pei fossati
umili e grandi tra l’erbe,
e vedo i morti che attraverso il petto
han tronconi di lancia coi pennoncelli
Baroni, date a pegno
castelli, borgate e città,
piuttosto che cessare di guerreggiarvi l’un l’altro.
 
Papiol, volonteroso
al Signor Sì-e-No vattene presto,
e digli che troppo sta in pace.
 
(traduzione di A. Roncaglia, in Le più belle pagine delle letterature d’“oc” e d’“oïl”, Nuova Accademia Editrice, 1961)
 
 
 
 
 
 
FRANCO BUFFONI
(Da Guerra – Mondadori, 2005)
 
SOTTO LA STATUA DEL COSTRUTTORE DI NAVI DA GUERRA
 
Sotto la statua del costruttore di navi da guerra
La più grande canoa ha il motore diesel
Attraversa persino il canale
Il ponte basso coi segni dei camion
Che tentarono di passare,
Trasporta fino a cento fantaccini
Di un rito bizantino slavo.
Il culto si era diffuso
Nelle province ecclesiastiche oltre Sava
Con la madonna al centro della pala,
La tovaglia stesa ad asciugare
E su un riquadro rosso ad ombreggiare
La marca tedesca di una radio.
“Sono ostriche, comandante?”
Chiese guardando il cesto
Il giovane tenente,
“Venti chili di occhi di serbi,
Omaggio dei miei uomini”
Rispose sorridendo il colonnello.
Li teneva in ufficio
Accanto al tavolo.
Strappati dai croati ai prigionieri.