POESIA A CONFRONTO – Epigrammi sull’amore

POESIA A CONFRONTO - Epigrammi sull’amore

 
 

POESIA A CONFRONTO – Epigrammi sull’amore
CATULLO, PENNA, CAPRONI, LAMARQUE

 
 

L’epigramma, nato originariamente come componimento principalmente dedicatorio, a scopo per lo più funerario, si contraddistingue per l’icasticità e la perentorietà della dizione. Nato nella poesia classica, continua a mantenere una duratura frequentazione anche nella modernità.

Per quanto Rilke suggerisse nella sua “Lettera a un giovane poeta” che fosse bene non scrivere poesie d’amore, perché il genere era già stato largamente abusato, è stato possibile a molti autori contemporanei, anche grazie al ricorso all’epigramma con la sua causticità, dare nuova linfa a questa tematica così rischiosa, in cui è facile a cadere nel sentimentale o nello scontato.

Nel celeberrimo epigramma di Catullo tutto si gioca sul contrasto ossimorico fra “odi” e “amo”, a sottolineare la volubilità del sentimento provato per la sua Lesbia, dramma psicologico di cui non è possibile risalire alla ragione, ma semplicemente dichiarare, esporre nella sua evidenza (“sentio”) e esperire come trauma lacerante (“excrucior” che ha nella sua radice “crux”: croce, ossia il supplizio usato nell’antica Roma per i condannati a morte).

Nella contemporaneità, l’indebolimento della tradizione e la messa in discussione della lirica, porta a nuove soluzioni stilistiche, come nel caso di Sandro Penna, dove la denuncia del suo stato di “escluso” dall’amore, anche a causa della sua condizione di omosessualità così duramente avversata dalla società a lui contemporanea, lo porta a usare la rima (amore/disonore) con un tono a metà fra l’ironico e il disincantato, nella constatazione della sconfitta. Anche qui prevale la logica dell’ossimoro, evidente anche in “lieto disonore”.

Nella poesia di Caproni assistiamo al capovolgimento del paradigma della poesia erotica, in un tono a metà fra paradosso e surrealtà: al “bisogno” tutto terreno di un “talamo” come luogo dell’incontro amoroso si contrappone la scoperta dell’improvviso “risveglio” (senza peraltro avere preventiva consapevolezza dello stato di sonno in cui ci si trova), lasciando la possibilità dell’amore nella sfera pura e irrealizzabile del “sogno”.

Infine Vivian Lamarque, con l’ironia quasi fanciullesca (ma non per questo infantile) che la contraddistingue, in un’auto-interrogazione, quasi nella forma di una domanda retorica, denuncia l’infatuazione per il suo psicanalista a cui la poesia è dedicata, contrapponendovi un’esclamazione ironicamente imperativa in cui lo invita a essere pure lui innamorato, ma – rigorosamente e sempre – usando il Lei, che da solo sancisce la misura incolmabile fra desiderio e realtà.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
CAIO VALERIO CATULLO
(84-54 a.C.)
 
LXXXV.
 
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
 
 
 
 
 
 
LXXXV.
 
Odio e amo. Perché lo faccia, forse chiederai.
Non lo so, ma sento che è così e mi mette in croce.
 
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
SANDRO PENNA
(Da Croce e delizia – Longanesi, 1957)
 
Amore, amore
lieto disonore.
 
 
 
 
 
 
GIORGIO CAPRONI – TALAMO
(Da Il muro della Terra – Garzanti, 1975)
 
Cercavamo un talamo
al nostro bisogno.
Ci svegliammo. L’amore
rimase nel sogno.
 
 
 
 
 
 
VIVIAN LAMARQUE
(Da Poesie dando del Lei – Garzanti, 1989)
 
Mi sono innamorata tanto?
Oh sì!
La prego faccia altrettanto!