POESIA A CONFRONTO – Ballate
CAVALCANTI, COLERIDGE, SANGUINETI, CERONETTI
Dice Wikipedia: “La ballata è una forma di poesia chiamata anche canzone a ballo perché destinata al canto e alla danza, è un componimento che si trova in tutte le letterature di lingua romanza […]. Inoltre era particolarmente caratteristica della poesia popolare Britannica e Irlandese dal periodo del Tardo Medioevo fino al 1800; usata ampiamente in Europa e più tardi in America, Australia e in Nord Africa. Questo tipo di poesia fu spesso utilizzata dai poeti e dai compositori a partire dal 1700 per produrre ballate liriche.”
Nella nostra proposta di ballate messe a confronto partiremo dal XIII secolo con uno dei massimi poeti di tutti i tempi: Guido Cavalcanti. Proponiamo la sua più celebre ballata, per l’esilio dalla patria e dalla donna amata, segnata tutta dall’elegia straziante (“Tanto è distrutta già la mia persona”) che nasce dalla percezione dell’impossibilità del ritorno, della ricongiunzione. Il distacco è così lacerante da portare alla dissoluzione dell’io (“vita m’abbandona; / e senti come ’l cor si sbatte forte / per quel che ciascun spirito ragiona”), come in molta produzione di Cavalcanti; l’unica cura possibile per chi si sa “servo d’Amore” è la “salute” offerta dal “valore” della donna amata, condannata però a restare distante, inattingibile. Solo tramite e anello di congiunzione fra amato e amata è appunto questa “ballatetta”, “servente” dell’autore che chiede “pietate” per chi è solo “voce sbigottita e deboletta / ch’esc[e] piangendo de lo cor dolente”. La perfetta compostezza formale, l’armonia delle rime, il controllo del ritmo rendono questa ballata un capolavoro assoluto del genere, un riferimento imprescindibile della letteratura mondiale.
La ballata torna in auge durante il Romanticismo, in ambiente anglosassone, soprattutto ad opera delle “Lyrical Ballads” (1798) di Coleridge / Wordsworth da cui è tratta “The rime of the ancient mariner” di cui si riportano le strofe finali: il marinaio, “dall’occhio lucente” (irrealmente chiaro), terminato il racconto della sua storia, prende commiato dall’ospite di nozze, suo interlocutore, con un messaggio di fratellanza universale che accomuna tutti gli esseri viventi in una “pietas” compiuta che li vede uniti sotto il nome del Creatore comune (”the Great Father”). Come accade per l’ospite di nozze, compresa questa verità, non si può se non diventare uomini nuovi, più tristi forse, ma senz’altro più saggi, capaci finalmente di amare consapevolmente.
Al fascino della ballata non resta immune nemmeno un poeta sperimentale come Sanguineti che se ne serve per una celebrazione, tenera e controcorrente insieme, della figura della donna, in un linguaggio semplice e popolareggiante, con quella ridondanza pronominale, il ricorrere di anacoluti e la punteggiatura sovrabbondante, che spesso ritroviamo nel suo stile. È l’umanità nella sua condizione più autentica a essere celebrata nella donna, perché “è culla una pancia di donna”, come donna è la morte che bisogna sapere accogliere (“pancia è cassa, che viene al finire”, “la lunga notte che divento niente”) senza timore, nella visione tutta laica di Sanguineti. È tutto un gioco di corrispondenze su cui verte la poesia: donna / morte / carne / terra / cielo /femmina, con una struttura circolare, a ricordarci che l’uomo, non solo la donna, dovrebbe ambire a essere “carne di terra che non vuole guerra”, messaggio affine a quello di Coleridge, a ben vedere.
Di impronta civile anche la ballata di Ceronetti, tutta centrata sul problema di assoluta attualità del “fine vita”, qui affrontato con il caso concreto di Eluana Englaro, balzato alla cronaca qualche anno fa come uno dei primi che poneva all’attenzione dell’opinione pubblica questa tematica scottante. E Ceronetti lo fa con una presa di posizione netta a partire dall’incipit perentorio (“Urlate urlate urlate urlate”) fino allo splendido verso, tutto ossimoro, che riassume il dramma di Eluana: “priva di morte e orfana di vita”. Autentica poesia di denuncia, questa, in una società che ancora non ha saputo affrontare una questione così essenziale, improrogabile (“una bieca Italia di congiura / che mi sentenzia che non è natura” dove “anche il Signore non dice e non fa niente”).
Fabrizio Bregoli
GUIDO CAVALCANTI
(Da Rime – XIII secolo)
XXXV.
Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.
Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.
Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.
Deh, ballatetta mia, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».
Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.
SAMUEL TAYLOR COLERIDGE
(Da The rime of the ancient mariner – versione del 1834,
prima in Lyrical Ballads di T.S. Coleridge e W. Wordsworth, 1798)
FROM PART IV.
[…]
O Wedding-Guest! this soul hath been
Alone on a wide wide sea:
So lonely ’twas, that God himself
Scarce seemèd there to be.
O sweeter than the marriage-feast,
‘Tis sweeter far to me,
To walk together to the kirk
With a goodly company!
To walk together to the kirk,
And all together pray,
While each to his great Father bends,
Old men, and babes, and loving friends
And youths and maidens gay!
Farewell, farewell! but this I tell
To thee, thou Wedding-Guest!
He prayeth well, who loveth well
Both man and bird and beast.
He prayeth best, who loveth best
All things both great and small;
For the dear God who loveth us,
He made and loveth all.
The Mariner, whose eye is bright,
Whose beard with age is hoar,
Is gone: and now the Wedding-Guest
Turned from the bridegroom’s door.
He went like one that hath been stunned,
And is of sense forlorn:
A sadder and a wiser man,
He rose the morrow morn.
[…]
Ospite nuziale! Quest’anima è stata
sola sul mare sconfinato:
era così sola, che Dio stesso
sembrava non esserci, laggiù.
Oh! Più dolce della festa di nozze,
è di gran lunga più dolce per me
camminare insieme fino alla chiesa
in buona compagnia!
Camminare insieme fino alla chiesa,
e tutti insieme pregare,
mentre ci si inginocchia al Buon Padre,
vecchi, e neonati, e amici che si vogliono bene
e ragazzi e ragazze tutti in festa!
Addio, addio! Ma questo
ti dico, ospite nuziale!
Prega sinceramente, chi ama sinceramente
uomini uccelli e animali.
Prega sinceramente, chi ama sinceramente
tutti gli esseri viventi, grandi e piccoli;
perché il buon Dio che ci ama,
ha creato e ama tutti, indifferentemente.”
Il marinaio, dall’occhio lucente,
dalla barba tutta bianca per l’età,
se ne andò: e allora l’ospite nuziale
partì dalla casa della sposa.
Se ne andò tutto sbigottito
e sconvolto nel profondo:
e un uomo più triste e più saggio
si svegliò il mattino dopo.
EDOARDO SANGUINETI
(Da Il Gatto Lupesco – Poesie (1982,2001) – Feltrinelli, 2010)
BALLATA DELLE DONNE
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano.
GUIDO CERONETTI
(Da Le ballate dell’angelo ferito – Il Notes Magico, 2009)
BALLATA DELL’ANGELO FERITO
Urlate urlate urlate urlate.
Non voglio lacrime. Urlate.
Idolo e vittima di opachi riti
Nutrita a forza in corpo che giace
Io Eluana grido per non darvi pace
Diciassette di coma che m’impietra
Gli anni di stupro mio che non ha fine.
Una marea di sangue repentina
Angelica mi venne e fu menzogna
Resto attaccata alla loro vergogna
Ero troppo felice? Mi ha ghermita
Triste fato una notte e non finita.
Gloria a te Medicina che mi hai rinata
Da naso a stomaco una sonda ficcata
Priva di morte e orfana di vita
Ho bussato alla porta del Gran Prete
Benedetto: Santità fammi morire!
Il papa è immerso in teologica fumata
Mi ha detto da una finestra un Cardinale
Bevi il tuo calice finché sia secco
Ti saluta Sua Santità con tanto affetto
Ho bussato alla porta del Dalai Lama.
Tu il Riverito dai gioghi tibetani
Tu che il male conosci e l’oppressura
Accendimi Nirvana e i tubi oscura
Ma gli occhi abbassa muto il Dalai Lama
Ho bussato alla porta del Tribunale
E il Giudice mi ha detto sei prosciolta
La legge oggi ti libera ma tu domani
Andrai tra di altri giudici le mani.
Iniquità che predichi io gemo senza gola
Bandiera persa qui nel gelo sola
Ho bussato alla porta del Signore
Se tu ci sei e vedi non mi abbandonare
Chiamami in cielo o dove mai ti pare
Soffia questa candela d’innocente
Ma il Signore non dice e non fa niente
Ho bussato alla porta del padre mio
Lui sì risponde! Figlia ti so capire
Dolcissimo io vorrei darti morire
Ma c’è una bieca Italia di congiura
Che mi sentenzia che non è natura
E il mio papà piangeva da fontana
Me tra ganasce di sorte puttana.
Cittadini, di tanta inferta offesa
Venga alla vostra bocca il sale amaro.
Pensate a me Eluana Englaro.