Odissea Elitis

Odissea Elitis
 
 

Odissea Elitis (1911-1996) ha vinto il Nobel nel 1970 per aver cantato “la lotta dell’uomo moderno per la libertà e la creatività”. Componenti della sua poesia la luce, il mare, l’amore.

“L’essere greco è per Elitis molto più che un dato biografico, è piuttosto la sua impronta digitale, unica, irripetibile e senz’altro non causale” dice Paola Maria Minucci. L’infanzia e l’adolescenza trascorse d’estate a Spetses una piccola isola del mare argolico costituirà l’alfabeto della sua poesia insieme con la morte e l’angoscia, per i lutti subiti ancora giovane.

Negli anni 1935-40 scrive le prime opere Orientamenti, Sole il primo, Canto eroico e funebre, vicine al surrealismo, dopo viaggi in Europa e a Parigi. Dal ’48 al ’51 è di nuovo a Parigi con Picasso, Léger, Matisse, Chagall, Giaometti. Dopo anni di silenzio riprende a scrivere: Dignum est intriso di Platone e grecità.  Elitis procede dal’astratto al concreto, con una pluralità di toni linguistici che si perdono nella traduzione. Il libro da cui sono tratti i versi seguenti è un’antologia del 2000 di Donzelli, È presto ancora… a cura di Paola Maria Minucci.

 

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Marina delle rocce
 
Hai un sapore di tempesta sulle labbra – ma dove vagavi
Tutto il giorno nel duro sogno della pietra e del mare
Vento da aquile ha spogliato i colli
Ha spogliato fino all’osso il tuo desiderio
E le pupille dei tuoi occhi hanno accolto il segnale della Chimera
Rigando di schiuma il ricordo!
Dov’è la consueta erta del breve settembre
Nella rossa polvere dove giocavi guardando in basso
I profondi faveti delle altre fanciulle
Gli angoli dove le tue compagne lasciavano bracciate di rosmarino
 
– Ma dove vagavi
Tutta la notte nel duro sogno della pietra e del mare
Ti dicevo di contare nell’acqua spoglia i suoi giorni luminosi
Di goderti supina l’alba delle cose
O anche di vagare per gialle vallate
Con un trifoglio di luce al petto eroina di giambo.
 
Hai un sapore di tempesta sulle labbra
E una veste rossa come il sangue
In profondo dentro l’oro dell’estate
E nel profumo dei giacinti – Ma dove vagavi
 
Scendendo verso rive e baie con i ciottoli
Là c’era un’erba marina fredda salmastra
Ma più giù un sentimento umano che sanguinava
E aprivi c on stupore le braccia dicendo il suo nome
Salendo leggera fino alla trasparenza del fondo
Dove brillava a tua stella marina.
Ascolta, la parola è la saggezza degli ultimi
E il tempo scultore impetuoso degli uomini
E il sole lo sovrasta belva di speranza
E tu più vicina a lui stringi un amore
Con un amaro sapore di tempesta sulle labbra.
 
Non puoi contare azzurra sino all’osso su altra estate
 
Perché cambino corso i fiumi
E ti riportino indietro alla loro madre,
Per baciare altri ciliegi
O per andartene a cavallo del mastreale
 
Avvinta alle rocce senza ieri né domani,
Nei pericoli delle rocce con la raffica della tempesta
Darai l’addio al tuo enigma.
 
(Da Orientamenti, 1940)