Niente può durare davvero – Luca Pizzolitto

Niente può durare davvero - Luca Pizzolitto

 
 
 
 
Il vento smuove le foglie,
gli esili rami del pruno.
C’è aria di tempesta intorno,
gli uccelli volano silenziosi
nel viola sfumato di un addio.
 
Nell’istante esatto in cui il tuo cuore
si spezza e capisci che niente ritorna,
niente può mai durare davvero.
 
 
 
 
 
 
Sei tu l’attesa calda nel tramonto,
caduta come rondine in volo
riposi tra le mie braccia.
 
Hai varcato la pioggia
e nella luce incerta del ritorno,
s’è fatta carne la rosa selvatica
dei miei occhi.
 
 
 
 
 
 
Sento l’eco dei tuoi passi,
una vertigine in questa notte
colma di attesa e speranza.
 
S’alza in me il desiderio
di essere vento,
il livido candore dell’assenza.
 
 
(Luca Pizzolitto, inediti da Crocevia dei cammini)
 
 
 
 

In questi testi Luca Pizzolitto tratteggia con sapienza immagini delicate di gusto naturalistico, dove il dettaglio minimo e fragile dell’ambiente circostante si fa trasfigurazione dell’afflizione silenziosa per la separazione e la mancanza e compartecipazione universale per la spina dell’assenza e del ricordo.

Già dal primo di essi è evidente la presenza di elementi provvisori e delicati (“gli esili rami”, “il vento smuove le foglie”) nonostante vi sia una “aria di tempesta”; questa serenità surreale circoscrive l’esatto spezzarsi del cuore, e la consapevolezza raggiunta che l’attimo perduto non ritornerà (“niente ritorna, / niente può mai durare davvero”).

La coscienza dell’impermanenza dei fenomeni umani prima, e universali poi, diventa ragione per stringere ancora di più la presa intorno all’istante prezioso, che nuovamente viene raffigurato con le caratteristiche della serenità, di una pace silenziosa e fragile: “sei tu l’attesa calda nel tramonto … riposi tra le mie braccia”.

La trasfigurazione dei sentimenti e delle relazioni umane nella natura circostante ricorre ancora, con tono limpido e quieto, e allo stesso tempo intrecciato alla natura più irrazionale e antica (“s’è fatta carne la rosa selvatica / dei miei occhi”).

Nel ricorrere di un dialogo verso un tu ideale, altro da sé con cui l’io del testo si pone in relazione e compartecipazione nell’ascolto della natura e del mondo (specchio delle afflizioni e immagine concreta delle proiezioni e dei desideri dell’uomo) l’attesa e la speranza dell’altro vengono vissuti e raffigurati come un sentimento vertiginoso, fino a diventare “il desiderio di essere vento”, in un’ideale unione con l’elemento della natura che nel primo testo smuoveva le foglie e i rami del pruno, in uno alla purezza dolorosa dell’assenza: presenza e mancanza si fondono in un misto di nostalgia e commozione, per poi risolversi definitivamente in una fusione originaria e sentimentale con gli elementi e il mondo, in un dettato pacificante, riflessivo, e millesimato con sapienza essenziale.

 

Mario Famularo