Liturgie del silenzio, Vittorino Curci (la vita felice, 2017)
“Dovremmo dirci qualcosa, altrimenti/che senso avrebbe essere qui e tacere”.
Liturgie del silenzio è un libro che parla di spaesamenti e lo fa con una lingua a volte ostica ma mai fine a se stessa. Anche quando l’autore crea neologismi non lo fa per puro esercizio letterario ma per sottolineare questo spaesamento.
“Scarnifichiamo a fondo la memoria/ con i riccioli di una qualsiasi domanda”.
Il silenzio è il luogo dei parlamenti serali, il posto dove rielaborare le certezze, trasfigurarle. Qui non si parla di vuoto: “quello che ci insegna la voce/ è un piccolo passo immeritato”. Si tratta di guardare le incrinature, valorizzarle.
L’eternità diventa lo scenario all’interno del quale l’individuo può fare i conti con una coscienza di volta in volta in discussione – e per questo – più forte, poiché consapevole. Alla fine la risposta è nell’accettazione: “non chiediamoci/perché siamo soli”. La poesia di Vittorino Curci è lavoro intenso sulla parola e sulla visione, quando guardarsi dentro non basta, perché il dentro e il fuori si confondono e appartenere a un tempo (che è anche il titolo dell’ultima sezione) è tornare cambiati, interiorizzare l’inquietudine.
Melania Panico
Infinito più infinito meno
invece di una soluzione cercavano un colpevole.
sapevamo anche noi che la notte i ponti
restano in ascolto, ma questo non bastava.
la storia accelerava. i rivoltosi chiedevano
con urgenza una buona fornitura di cammelli
per farla breve non so se faccio bene a parlarne.
zolle sature di cielo azzurravano i sassi.
l’irrequietezza delle bestie
era l’ultimo dei pensieri. per farla breve
ci giocavamo tutto in un istante: così poco durava
il passaggio da un paese all’altro
verso sera la fontana cominciò a ragliare.
l’attacchino era circondato da curiosi.
l’aria sembrava più leggera. restava un mistero
cosa mettere insieme. una volta lo sapevo
Non sono litanie insensate
se vengono inghiottiti dal tempo
ce ne facciamo una colpa,
quei giorni in cui eravamo noi
e che non possiamo raccontare
a nessuno. al ritorno è un’altra
strada – cose viste e pensieri
in disordinati elenchi
dove non c’è data e neanche
un fiore. il nome di un fiore
Prima che passi
dovremmo dirci qualcosa, altrimenti
che senso avrebbe essere qui e tacere.
scusa, non eri tu che a undici anni
la sera a letto piangevi di nascosto
perché anche ai tuoi genitori
sarebbe toccato morire?
e ora invece? la normalità implode
e così ti accorgi che dei tuoi migliori
amici uno scrive sui muri e un altro
sputa per terra, e tutt’e due vengono
portati via di peso dai gendarmi
che segnano tutto su un quaderno
lanciando nell’aria starnuti e bestemmie.
poi, una sospensione di punti
in mezzo a tante vite scombinate…
un orrore, una sventatezza che puoi
a malapena guardare
Poeta e sassofonista di musica improvvisata, Vittorino Curci vive a Noci, in provincia di Bari, dove è nato nel 1952. Collabora alle pagine culturali di diversi quotidiani pugliesi e alla rivista «Nuovi Argomenti». Nel ‘99 ha vinto il Premio Montale di poesia per la sezione “Inediti”. Con La Vita Felice ha pubblicato nel 2012 la raccolta poetica Il pane degli addii.