L’immagine accanto, Jacopo Curi (Arcipelago Itaca Edizioni, 2019).
Due sono gli elementi che dimorano nel lettore reduce dalla lettura delle poesie di Jacopo Curi: la bellezza delle immagini e l’uso ricercato del linguaggio. L’immagine accanto (Arcipelago Itaca Edizioni, 2019) è la sua prima raccolta di poesia in lingua e si divide in cinque sezioni (Il doppio fondo; Prove di esistenza; Vedersi vivere; Scavare il vuoto; L’immagine accanto).
Quelli di Jacopo Curi sono testi che interrogano il «doppio fondo» del vivere: «Quale impulso genera gli eventi?»; sono poesie che rilevano l’assurdo «sulla soglia del senno» e si arrampicano su una cattedrale di concetti esistenzialisti. Non a caso, viene citato Camus in esergo alla prima sezione del libro, che si apre con un distacco: «Saremo oltre lo schermo / senza connessione […] / nel luogo dove eravamo / prima di venire al mondo / e di cui non ricordiamo nulla». Il poeta predice l’assurdità di un ipotetico ritorno all’origine, a ciò che si è stati ancor prima di nascere, ma non è altro che un doppiofondo della vita, una rinascita che avviene assieme al principio del tempo «dall’urlo simmetrico della madre».
I principali processi che modellano lo spazio nei testi della raccolta sono due in un paio di testi omonimi: Materializzazione e Metamorfosi. Questi processi prolungano il dissidio fra esistenza e altrove, così come quello fra silenzio e pensiero ed è il loro scarto a generare, per assurdo, la vita. E – ne Le Mythe de Sisyphe – Albert Camus scrisse che: «Vivere è dar vita all’assurdo. Dargli vita è anzitutto sapere guardarlo. Al contrario di Euridice, l’assurdo muore soltanto quando gli si voltano le spalle».
Difatti, «fino al silenzio si sgrana / la tessitura del punto nevralgico / in una simultaneità di decisioni / che ci prendono» e per questo «le distanze si sono smisurate» nella «ubiquità / dove tutti ci diamo appuntamento». Il silenzio è il cavo che collega la “vera” vita alla vita assente ed altra, mentre il pensiero crea un’interferenza tale da sbiadire i confini fra ciò che è l’universo palpabile e quello che invece non può esserlo. Ed è naturale chiedersi se ciò che si materializza può coincidere o meno con la metamorfosi della coscienza, una volta stabilizzatasi in una sorta di veglia.
In sostanza, le parole di Jacopo Curi percorrono un esistere parallelo, rovesciato in un viaggio immaginario, che inizia dall’altra parte della vita (parafrasando Louis-Ferdinand Céline, altro autore citato in esergo alla raccolta).
Vernalda Di Tanna
Cominciò con un trovarsi
in mezzo alle cose
senza aver avvertito il passaggio
e aver potuto arrestare il passo
nello spogliatoio dei corpi.
A volte mi sveglio dalla veglia e penso:
sei tu questo vedere, questo fare tardi
per avere più tempo e per un momento
sento la pelle intorno e la carne addosso
mi percepisco insieme assopito e desto
che entro ed esco da questo corpo.
Quando da tutte le direzioni
sottrarrà spazio l’altra dimensione
avverrà la trasfusione inversa
e sarà di nuovo lo scambio dei corpi,
un cercarsi inutile nel vuoto.
Il tacere più profondo
della campagna là in fondo
apre un corridoio di trasparenza,
un’aria che sfiorando sfiorisce.
Anche qui avverandosi svanisce
ciò che le cose lasciano intendere
ma è un’attribuzione indebita
di questo soliloquio, un pensare
del mio pensiero in loro.
Tutto così spento vive,
nel luogo s’intravedono i luoghi
e si ricorda il futuro:
la partenogenesi,
l’immagine accanto.