L’attualità della Teogonia esiodea: il racconto della nascita di Afrodite

Divinità da sempre associata alla bellezza e all’amore, Afrodite (Venere per i Romani) presenta un’interessante genealogia, che molto rivela delle caratteristiche e delle funzioni che le saranno proprie.

La storia della nascita di Afrodite è narrata da Esiodo nella Teogonia, poema mitologico composto nel 700 a.c. circa, che riporta le origini degli dei e del cosmo. All’inizio – racconta Esiodo – Urano (il cielo) e Gea (la terra) vivevano simbioticamente l’uno dentro l’altra. Quando un loro figlio veniva alla luce, Urano lo imprigionava nelle viscere di Gea, finché lei, al colmo della sofferenza, armò di un falcetto la mano del suo ultimo figlio, Crono, il quale evirò il padre:

Crono dalla tana allungò la mano sinistra,
con la destra impugnò la falce mostruosa dai denti aguzzi
e con un colpo solo recise il fallo di suo padre
e lo scagliò lontano, gettandoselo alle spalle.

(Th., vv. 178-181)

Il membro di Urano cadde nel mare e per lungo tempo venne sospinto qua e là dalle onde. Dal membro si formò una bianca schiuma (aphros) da cui nacque una bellissima giovane, che nuotò verso l’isola di Citera, per poi dirigersi a Cipro. Qui uscì dall’acqua e una tenera erba spuntò sotto i suoi piedi. Dèi e uomini la chiamarono Afrodite, in quanto nata dalla schiuma. Venne chiamata anche Citerea, dal nome dell’isola su cui si era recata in un primo momento.

Dapprima veleggiò alla volta dei santi Citeresi,
di qui poi giunse a Cipro cinta dalle acque.
Ne uscì pudica una bella dea, Afrodite,
la dea donata dalla schiuma, l’incoronata Citerea,
la chiamano gli dèi e gli uomini, poiché nella schiuma
fu nutrita, e Citerea perché giunse ai Citeresi,
Cipriota perché nacque a Cipro dalle molte onde,
amante del fallo perché dal fallo era apparsa.
A lei si accompagnò Eros e il bel Desiderio la seguì,
lei che era nata per prima e che aprì la stirpe degli dèi.
Questo privilegio fin dal principio le spetta,
ed è il destino che tra uomini e dèi ha avuto in sorte:
melodie di fanciulla, sorrisi e inganni,
dolce piacere e amore a base di miele.

(Th., vv. 193-206)

Fin qui la narrazione esiodea. Un inno omerico prosegue il racconto specificando che la dea venne accolta a Cipro dalle Ore, figlie di Temi, che la vestirono e la adornarono. Dopo essere stata vestita e incoronata, Afrodite fu introdotta tra gli dei, che la baciarono, le strinsero la mano, la desiderarono in moglie.

Va precisato che Omero (Il. V 370) presenta Afrodite come figlia di Zeus e Dione, mentre secondo Eliano (nat. anim. 14.28) la dea sarebbe nata da una conchiglia e con essa sarebbe approdata sull’isola di Citera. Le tre differenti versioni sono accomunate dal ricorrere dell’elemento acqua, se si considera che Dione era una divinità legata alle sorgenti, e che lo stesso Esiodo (Th. 353) la annovera tra le Oceanine. La narrazione più articolata della genesi di Afrodite è comunque, senza dubbio, quella esiodea, ed è opportuno evidenziare come in questa versione la nascita della dea dell’amore abbia avuto conseguenze significative sul piano cosmologico: dopo che Urano fu evirato, si ritirò dalla terra e stabilì la sua dimora nel cielo, di cui divenne signore (ouranos significa, appunto, cielo). In tale maniera il creato si equilibrò, il caos indistinto venne sostituito dall’ordine e dall’armonia.

È per questo che Afrodite è considerata ancora oggi una dea alchemica, dalle proprietà trasformative, in grado di conciliare gli opposti e di accordare quanto è in disarmonia. La sua venuta al mondo implica il superamento di uno stato di fusione, di simbiosi primordiale che rende necessario un taglio violento (l’evirazione di Urano), perché prenda corpo un assetto stabile e ordinato, all’insegna della pacifica coesistenza tra elementi diversi, dotati di identità propria. Il racconto esiodeo della nascita di Afrodite ci parla attraverso i millenni, suggerendo che l’equilibrio, il bello, l’amore, richiedono uno sforzo evolutivo consapevole, nell’imperscrutabile necessità dell’esistenza di ogni singolo e nell’esigenza di cooperare armonicamente con l’altro da sé.