IL VELIERO CANNIBALE – WATSON AND THE SHARK

IL VELIERO CANNIBALE - WATSON AND THE SHARK

Watson and the Shark, di John Singleton Copley, 1778, Boston

 

 

WATSON AND THE SHARK

Al di là del bene e del male, c’è un luogo.
Noi ci rincontremo là.
(Rumi)

 

 

Esistono tre versioni conosciute del dipinto di John Singleton Copley che ritrae il salvataggio di Brook Watson dopo l’attacco di un pescecane.

Era il 1749, il futuro sindaco di Londra aveva solo 14 anni, era imbarcato su una nave mercantile dello zio e nuotava da solo nella baia dell’Avana.

Lo squalo con un primo morso gli aveva strappato una porzione importante del polpaccio destro, e con il secondo gli aveva troncato di netto il piede all’altezza della caviglia. L’intervento di alcuni compagni di bordo, una convalescenza di tre mesi nell’ospedale spagnolo della città – in una stanza pulita e silenziosa, in cui il suo stato di orfano e le conseguenze che ne derivano gli erano sembrate chiare come non mai – lo avevano restituito alla vita senza troppi drammi, perchè la gamba ridotta alla metà, ironicamente si era ritrovata compensata da un’anima traboccante di gratitudine e voglia di vivere.

La prima versione, che Copley dipinse su richiesta del suo nuovo amico Brook Watson, data 1778 ed è oggi esposta alla National Gallery of Art di Washington.

La seconda, praticamente una copia, risale allo stesso anno e si trova a Boston.

La terza è di quattro anni dopo; ha una forma diversa, verticale, e il mostro ha dei tratti meno grotteschi.

Tutte e tre le versioni, a quanto pare amate senza riserve da Watson, soffrono a mio modesto parere di una staticità e di una retorica che fanno della scena, più che un esempio di realtà un buon lavoro teatrale.

Conosco, però, una quarta trasposizione di quell’avvenimento, per forza di cose misconosciuta.
L’ho vista pochi minuti fa, materializzarsi dal pennello di un John Singleton Copley che un secolo e mezzo dopo, a quanto pare non ha perso la mano. Anzi.

Watson galleggia nell’oceano, ha gli occhi chiusi, l’Avana è appena una striscia di terra e pietra sull’orizzonte. Lo squalo non c’è, non c’è la scialuppa dei soccorritori. C’è solo un ragazzo di 14 anni, la vita davanti; il sole e la libertà di un giorno senza sussulti, liquido, sospeso.

Ho visto Watson esaminare il quadro e annuire.

– Era così che poteva andare – ha detto a Copley, mentre fissava ancora la tela.

– No, è così che è andata – gli ha risposto il pittore.

Brook Watson, come per ristabilire una verità ormai opaca, ha picchiettato con le dita sulla gamba di legno, che però non ha rimandato alcun suono.

La vita è un sogno. Ma anche la morte lo è.