Il quinario e il doppio quinario (versi con ritmo libero)

Il quinario, insieme al settenario e all’endecasillabo, appartiene alla cerchia dei versi più “nobili”, nella valutazione dantesca, della nostra tradizione letteraria. Consentono effettivamente una maggiore versatilità, considerando la loro struttura meno vincolata ad accenti fissi, che impongono andamenti binari o ternari.

Il quinario è un verso che ha un accento fisso sulla quarta sillaba metrica. Gli altri accenti non sono fissi, e possono liberamente cadere in 1°, 2° o 3° sede.

Idealmente rappresenta la prima parte del cosiddetto endecasillabo a minore, che, per l’appunto, ha il primo accento fisso sulla quarta sillaba metrica.

 

Io qui non sono.

[Io/qui/non//no]

 

(piano)

 

Lui qui non è.

[Lui/qui/non/è]

 

(tronco)

 

Non si può essere.

[Non/si/può/ès/se/re]

 

(sdrucciolo)

 

Preme rilevare che il quinario, quando vuole riprodurre l’ultimo verso della strofa saffica, dovrebbe conservare un accento secondario di 1° sede, per rispecchiare l’adonio classico.

Il quinario ben si sposa a endecasillabi, (soprattutto a minore), e a settenari (magari di 4°, o con altri richiami ad accenti secondari del quinario).

Sul doppio quinario va detto solo che la stessa libertà negli accenti secondari si ripete nella struttura del verso doppio, con scelte che spettano all’autore sulla eventuale omogeneità dello schema accentuativo.

 

Questo lo schema:

(X°), 4° || (X°), 4°

(X°), 4° || (X°), 4°

 

Ed un esempio:

 

Questa mia vita fugge e va via:

rimane solo malinconia.

 

Il doppio quinario non va confuso con il decasillabo, i cui accenti fissi sono diversi e il cui ritmo è più serrato e vincolato, con un andamento anapestico (e accenti fissi in 3°, 6° e 9° sede).

 

Mario Famularo